Lo stacanovismo sovietico
Aleksej Stachanov minatore indefesso, simbolo del perfetto "comunista". Ma in Urss dall'uomo macchina ai gulag il passo fu breve.
Nel 1924, nella sua opera Letteratura e rivoluzione, Lev Trotzkij scriveva che nella società comunista «l’uomo diventerà incomparabilmente più forte, più intelligente e raffinato: il suo corpo sarà più armonico, i suoi movimenti più ritmici e la sua voce più musicale (…). L’uomo medio si innalzerà al livello di Aristotele, Goethe e Marx». L’«uomo nuovo» sovietico ebbe i suoi esemplari in Nikita Izotov, un minatore che i suoi colleghi chiamavano «l’uomo macchina», e soprattutto in Aleksej Stachanov, un altro minatore che nel 1935 «riuscì a estrarre 102 tonnellate di carbone (14 volte di più della sua quota) durante un unico turno di lavoro». Il suo nome divenne proverbiale e, ancora oggi, si dice «stacanovista» uno che non riposa mai. Cfr. Michael Burleigh, In nome di Dio. Religione, politica e totalitarismo (Rizzoli).
Un altro eroe che divenne leggendario fu il giovane Pavlik Morozov, che nel 1932 denunciò il proprio padre, ex presidente del soviet del villaggio di Gerasimovka. Pavlik faceva parte dei Giovani Pionieri (l’organizzazione giovanile comunista) e accusò il padre di sabotaggio alla politica di collettivizzazione. Suo padre fu giustiziato. Ma il nonno e lo zio di Pavlik si vendicarono uccidendo il nipote. Anche loro furono giustiziati, mentre la nonna fu mandata nel gulag.