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RIVOLTA A COLOMBO

Lo Sri Lanka è fallito per debiti. In Asia non è il solo

Il 9 luglio la folla di rivoltosi ha preso d'assalto il palazzo presidenziale di Colombo, Sri Lanka. Del presidente Gotabaya Rajapaksa non si sa ancora nulla, salvo che dovrebbe dare le dimissioni il 13 luglio (domani). Lo Sri Lanka è finito in bancarotta, dopo una politica che ha indebitato troppo il Paese. In Asia non è il solo. 

Esteri 12_07_2022
Colombo. Manifestanti occupano il palazzo presidenziale

Scene curiose arrivano da Colombo, capitale dello Sri Lanka. Una folla variopinta, fatta di donne e uomini, anziani e bambini, poliziotti, militari in uniforme e civili, si diverte nei lussuosi locali del palazzo presidenziale. Moltitudini nuotano nelle piscine esclusive dei suoi giardini, a decine si assiepano nelle sale riunioni scattandosi i selfie, a gruppi si sdraiano sui lettoni del presidente e della sua famiglia. Che cosa è successo? Il 9 luglio, la folla ha sfondato i cordoni di polizia e la polizia stessa, in molti casi, si è unita alla rivolta, invadendo il palazzo presidenziale.

Del suo attuale inquilino, il presidente Gotabaya Rajapaksa, non si sa ancora nulla, mentre questo pezzo va online. Secondo un primo comunicato, poi smentito, era all’estero. Ora la versione ufficiale afferma che sia “in cura” non si sa per cosa. Mercoledì, domani per chi legge, dovrebbe rassegnare le dimissioni, stando a quel che afferma l’ufficio del primo ministro. Anche il palazzo del premier Wickremesinghe è stato dato alle fiamme dai rivoltosi. Si conclude così la rivolta dello Sri Lanka. Ora inizia una difficile fase di transizione di un Paese asiatico in bancarotta.

Ora il futuro è incerto soprattutto perché Rajapaksa non ha ancora formalizzato la sua intenzione di dimettersi. L’annuncio viene da terzi. Il presidente del parlamento Mahinda Yapa Abeywardana ha fornito la data del 13 luglio come giorno in cui verrà presentata la lettera di dimissioni. Sulla base di questa informazione non ufficiale, l’opposizione sta già facendo i conti per la formazione di un governo di transizione. Il presidente della Camera diverrebbe capo di Stato ad interim, in attesa che sia il Parlamento a scegliere un nome per ricoprire la carica di presidente fino alle elezioni. La data per il voto è prossima, entro il marzo 2023.

I partiti politici devono agire in fretta e senza provocare nuove crisi. La comunità internazionale e in particolar modo il Fondo Monetario Internazionale, tiene il Paese sotto la lente. La crisi che ha fatto saltare prima il governo e poi il presidente è infatti dovuta ai debiti contratti con l’estero. Lo Sri Lanka ha ora bisogno di tutto, con le istituzioni internazionali deve negoziare un prestito.

La causa immediata della crisi dello Sri Lanka è l’esaurimento delle riserve di valuta straniera, con cui acquista tutti i principali beni di prima necessità, fra cui carburante e medicinali. La carenza di ogni tipo di bene ha subito peggiorato nettamente le condizioni di vita locali, con lunghe code per il pane e per la benzina, oltre a causare frequenti blackout. Le riserve di valuta straniera sono finite in fretta, perché dipendevano soprattutto dalle entrate nel turismo. Con i lockdown degli ultimi due anni di pandemia e il crollo del turismo, il Paese è rimasto letteralmente a secco.

Tuttavia, se questa è la causa immediata, la causa più profonda è nella politica economica della famiglia Rajapaksa (presidente, premier e altri tre ministri chiave) e dei suoi alleati. Il clan dominante dello Sri Lanka, dopo aver contribuito a porre fine alla lunga guerra civile nel Paese, ha iniziato a condurre una politica di grandi spese, infrastrutturali soprattutto, per la modernizzazione dell’isola. E nel farlo si sono fortemente indebitati, soprattutto all’estero e in modo particolare con la Cina, che considera lo Sri Lanka una tappa fondamentale della Nuova Via della Seta.

Oltre all’accumulo di debiti, lo Sri Lanka è rimasto vittima anche della moda dell’agricoltura biologica. Con una riforma affrettata, senza la necessaria gradualità, sono stati vietati i fertilizzanti chimici, a favore delle alternative naturali. Ciò ha causato pessimi raccolti e un’impennata anche dei prezzi del cibo. Il calo della produttività dei campi ha fatto aumentare il prezzo del riso di un terzo in un solo anno dal 2020 al 2021. Pomodori e carote sono diventati cinque volte più cari. Le code di fronte ai mercati e ai negozi di alimentari erano dovute anche a quelle scelte politiche.

Dopo lo Sri Lanka, altri Paesi asiatici con forti debiti rischiano di saltare. Il Libano è il primo della fila: il più esposto ad una crisi debitoria che già viene considerata come una delle peggiori in tutta la storia contemporanea. Il Libano, che nelle ultime elezioni non ha espresso una maggioranza stabile (ed è letteralmente tenuto in ostaggio dal movimento armato sciita Hezbollah) deve negoziare urgentemente aiuti internazionali, oppure ristrutturare il debito.

Meno visibile, ma quasi altrettanto grave è la crisi tuttora in corso nel Pakistan. Anche il governo di Islamabad, dopo la caduta di Imran Khan è entrato in un periodo di incertezza politica. Il nuovo esecutivo, guidato da Shehbaz Sharif, ha dichiarato, alla fine di giugno, di aver evitato per poco un default sul debito.

Il Laos, regime comunista del Sudest asiatico, registra una forte inflazione (24% a giugno) e inizia a scarseggiare di riserve di valuta straniera. Secondo le stime della Banca Mondiale, il Laos ha la possibilità di pagare le importazioni solo per un paio di mesi.