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POLITICA

Lo "spirito di Todi" ieri e Mario Monti oggi

Pare che i vertici della Chiesa italiana si siano coinvolti nella formazione del nuovo governo. Ma davvero la politica è la priorità per la Chiesa?

Editoriali 23_11_2011
Mario Monti
Si è molto scritto in questi giorni, a proposito e sproposito, sul ruolo della Chiesa nella formazione del governo Monti. Ma aldilà delle opinioni personali un fatto nuovo si è sicuramente registrato: mentre nel passato i vertici della Conferenza episcopale hanno comunque manifestato un maggiore o minore apprezzamento per i governi che si sono succeduti a seconda del loro programma o delle loro iniziative in materie sensibili per la Chiesa, in questo caso si è avuta l’impressione di un maggiore coinvolgimento nella formazione stessa del governo.

Tanto per intendersi: non è certo un mistero che la Cei e la Segreteria di Stato vaticana guardassero con benevolenza al governo Berlusconi – almeno fino a un certo punto della legislatura – soprattutto per la sua posizione sui princìpi non negoziabili, che è stata almeno di freno a certe derive laiciste che nel precedente governo sembravano inarrestabili. Eppure tra i ministri del governo Berlusconi non c’erano esponenti di chiara appartenenza cattolica o in stretta relazione con i vertici della Cei. E anche ci fossero stati, sarebbe accaduto per la loro militanza politica. Nel governo Monti invece ci sono due ministri di chiara provenienza ecclesiale e altri riconducibili a rapporti privilegiati con la Chiesa. Lorenzo Ornaghi, ministro dei Beni culturali, è il rettore dell’Università Cattolica, uomo di fiducia prima del cardinal Ruini e oggi del cardinale Bagnasco. Andrea Riccardi, ministro della Cooperazione internazionale e dell’integrazione, rappresenta una novità addirittura storica visto che è la prima volta in un governo di un fondatore e leader di un movimento ecclesiale, la Comunità di Sant’Egidio.

Entrambi sono stati relatori all’ormai famoso convegno di Todi (17 ottobre) organizzato dal Forum delle associazioni cattoliche del mondo del lavoro, come pure un altro ministro del governo Monti, il presidente di Banca Intesa – e fra gli editori del Corriere della Sera - Corrado Passera, a cui oggi tocca dirigere il ministero per lo Sviluppo economico. Il convegno di Todi ha avuto grossa risonanza soprattutto per il rilievo che gli ha voluto dare il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, anche se con la sua prolusione ha poi spiazzato la cordata del Corriere della Sera, il cui direttore Ferruccio De Bortoli (anche lui presente a Todi) aveva già affidato ai cattolici in politica un ruolo di sostegno all’etica comune, con la rinuncia a proporre quei valori non negoziabili (vita, famiglia, educazione) ritenuti divisivi. Bagnasco fece nell’occasione un bellissimo discorso per spiegare che invece quei valori sono sorgivi per ogni politica diretta al bene comune.

Eppure lo “spirito di Todi” – così come evocato dal Corriere - sembra entrato nel governo Monti, e con l’avallo della Cei, anche se il peso dei vescovi è stato ridimensionato rispetto alle attese. Ornaghi, dato per giorni sicuro al ministero dell’Istruzione, si è ritrovato all’ultimo momento a dirigere i Beni culturali, che sarà pure un dicastero importante (in fondo Ornaghi è anche a capo del Progetto Culturale della Cei) ma certo è tutt’altra cosa rispetto alla responsabilità di scuola e università: alla fin fine il rettore dell’Università Cattolica si dovrà occupare dei muri che cadono a Pompei e delle grane piantate dai cineasti. Quanto a Riccardi, i suoi interessi vanno ben oltre la Chiesa e certamente uno dei suoi punti di forza sono stati gli stretti legami con circoli laici e la grande stima di cui gode presso il presidente della Repubblica Napolitano (vedi al proposito la biografia non autorizzata che gli ha dedicato un grande conoscitore delle cose ecclesiali come Sandro Magister).

Dall’altra parte la Cei ha ottenuto che nel governo non ci fossero la radicale Emma Bonino e l’oncologo Umberto Veronesi, che alla vigilia sembravano ben piazzati per un ministero importante e che sarebbero stati imbarazzanti per le loro posizioni in materia di bioetica. Ha dovuto però subire l’assegnazione del ministero della Sanità a Renato Balduzzi, bindiano di ferro, padre della proposta di legge sui Dico (l’equiparazione delle coppie di fatto ai matrimoni), che sui temi etici viene dato più vicino a Bonino e Veronesi che non alla dottrina della Chiesa. In più Balduzzi è da poco tempo un docente dell’Università Cattolica, che si ritrova con un dicastero molto più importante di quello affidato al suo rettore.

Alla fine dei conti, insomma, la Chiesa sembra aver dato la benedizione al governo tecnico (significativo anche il commento informale del segretario di Stato vaticano, cardinale Bertone, che ha parlato di “una buona squadra”) garantendosi che negli ultimi due anni di legislatura non verranno prese iniziative negative in materie eticamente sensibili. Peraltro, a prescindere dalle pressioni dei vescovi, non è neanche nell’interesse di Monti proporre o sostenere leggi che possano mettere in pericolo l’armonia del Parlamento. Inoltre c’è la speranza che questa legislatura possa portare a termine l’approvazione della legge sulle Dichiarazioni anticipate di Trattamento (Dat), che sta tanto a cuore al cardinale Bagnasco.

Ora, si possono dare certo valutazioni diverse sui risultati raggiunti dalla Cei nell’iter che ha portato alla formazione del governo Monti. Resta però la sensazione di una Chiesa che negli ultimi mesi è stata molto attiva nel preparare o nel dare indicazioni per il dopo-Berlusconi, una volta constatato che la parabola politica del Cavaliere era ormai al termine. In questo senso il convegno di Todi è stata solo l’ultima di una serie di iniziative “politiche”.

Detto questo, la domanda che ci facciamo è: ma davvero oggi il compito più urgente per la Chiesa in Italia è dare indicazioni per il governo, o suggerire ministri, o impegnarsi in negoziati per ottenere “buone leggi”? Noi crediamo francamente di no. Questo è un compito dei laici, chiamati ad affrontare la realtà politica fondandosi sui criteri della Dottrina sociale della Chiesa. Ai vescovi spetta piuttosto indicare con chiarezza qual è l’origine vera della crisi che stiamo vivendo che – come ha scritto da queste colonne monsignor Luigi Negri – “è una gravissima crisi di carattere culturale”. Spetta offrire ciò che è nella natura della Chiesa, ovvero un processo educativo: “E il processo educativo – diceva ancora mons. Negri - non si fa con le autostrade, il processo educativo si fa camminando per sentieri, salendo greppi – come dicono nei posti dove sono vescovo -, faticando giorno dopo giorno perché la cultura di base che la Chiesa propone diventi forma della personalità, riferimenti valoriali ultimi, obiettivi personali, familiari, sociali. L’educazione non si improvvisa e soprattutto non è frutto di qualche slogan ben detto o di qualche pubblicazione di grande o di piccolo respiro. Dobbiamo tornare a educare il nostro popolo a partire dalla fede in modo che il fenomeno della evangelizzazione diventi educazione, l’educazione diventi formazione di personalità”.

In altre parole ci attendiamo dai vescovi un impegno vero nell’evangelizzazione, che è il primo e fondamentale contributo che noi cattolici possiamo dare alla società. Meno messaggi ai palazzi, più lavoro di evangelizzazione fra la gente.