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Sant’Evaristo a cura di Ermes Dovico
lectio magistralis

Lo sguardo dritto verso Dio che risana le ferite del mondo

L'intervento di S.E. mons. Antonio Suetta alla Giornata della Bussola, sabato 25 ottobre a Oreno di Vimercate (MB). Nella confusione del momento presente guardare in alto è vitale, ha ricordato il vescovo di Ventimiglia-San Remo, poiché «solo chi guarda Dio sa guardare bene l’uomo. Solo chi vive rivolto al Cielo può costruire la terra».
- Giornata della Bussola 2025, le immagini

Documenti 27_10_2025

Cari Amici,
grazie per questo invito, che oggi mi consente di trascorrere una giornata “in famiglia” essendo per me La Nuova Bussola Quotidiana non soltanto un ottimo contesto di sano giornalismo ecclesiale e civile, un opportuno e necessario veicolo di trasmissione e promozione della cultura cristiana, ma anche, e soprattutto, una famiglia, fatta di volti che via via imparo a conoscere e a custodire nella mia vita.
Grazie anche per la fiducia e il sostegno nel mio ministero.
“Lo sguardo dritto verso Dio” non costituisce soltanto il tema ratzingeriano di questa giornata, ma rappresenta anche l’orientamento restituito costantemente dal buon lavoro di questa Bussola.

“Alzare lo sguardo” è molto più che un movimento fisico: è un atteggiamento interiore, un modo di vivere. La Scrittura è attraversata da questo invito: “Alza gli occhi”, “Guarda in alto”, “Tieni fisso lo sguardo su Dio”. Quando l’uomo smette di guardare verso l’alto, il suo orizzonte si restringe, il cuore si spegne, la speranza si consuma: è il triste risultato del tramonto della presunzione moderna di estromettere Dio dalla vita dell’uomo, cui oggi stiamo assistendo con cristiana speranza, ma anche con preoccupazione per i tristi effetti riversati sull’esistenza quotidiana. È così sfocata questa epoca storica di veloci e profondi mutamenti che non sappiamo neppure bene con quali aggettivi connotarla.

Voglio subito andare ad una probabile origine etimologica del verbo contemplare, che rappresenta un’attitudine spirituale non destinata a poche anime elette (i cosiddetti contemplativi), ma che è piuttosto una dimensione imprescindibile dell’esperienza cristiana.
Quando i latini pagani decidevano di innalzare un tempio a qualche divinità per decidere dove e come tracciarne il perimetro interrogavano il cielo scrutando o le costellazioni oppure il volo degli uccelli. Nasce forse da qui il verbo contemplare come splendida intuizione che per dare forma compiuta alla terra occorra guardare verso il cielo.
Ancora dalla latinità cito una bella espressione del poeta Virgilio: «incipe, parve puer, risu cognoscere matrem» (IV ecloga, v. 60) per richiamare come l’uomo nasca non come un essere solo e smarrito, ma tra le braccia amorevoli di una madre e “naturalmente capace” (capax Dei, diciamo noi) di rintracciare un volto amico rassicurante e orientante.

Lascio al compianto card. Carlo Caffarra un ulteriore breve considerazione su tale riferimento: «Rivolgendosi ad un neonato, il poeta gli dice: "incipe, parve puer, risu cognoscere matrem". Il bambino entra in un territorio che non conosce, nell’universo dell’essere che ignora. Le domande fondamentali che ha dentro sono due: "che cosa è ciò che è?" [domanda di verità]; "ciò che è, mi è ostile o benevolente?" [domanda di bene]. Egli ha la risposta nel modo con cui la madre gli sorride, cioè lo accoglie. L’essere, il mondo è disponibile ad accogliermi: la verità dell’essere è il bene. Benedetto XVI continua a ripeterlo: la realtà è abitata dal Logos; il Logos è Agape. Quando questo incontro originario con la realtà non accade, sappiamo bene quali conseguenze devastanti ha su tutta la vita della persona.
Un volto indifferente, il volto della sfinge non fa nascere un io libero: "...risu cognoscere matrem".
Siamo così giunti a scoprire una dimensione drammatica della responsabilità dell’educatore: l’educatore è responsabile, è custode della verità dell’essere e della verità circa il bene della persona. È responsabile della nascita di un io, non semplicemente libero, ma veramente libero perché liberamente vero».

L’intuizione virgiliana può introdurci convenientemente ad un testo biblico del profeta Osea: «Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare.
Non ritornerà al paese d'Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi. La spada farà strage nelle loro città, spaccherà la spranga di difesa, l'annienterà al di là dei loro progetti. Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,1-7).

Il profeta Osea ci descrive un popolo amato da Dio ma incapace di alzare lo sguardo. È la stessa tentazione che attraversa ogni epoca: vivere ripiegati su sé stessi, sulle cose, sull’immediato.
Eppure l’uomo nasce per l’alto, è fatto per la trascendenza. Guardare in alto non è fuggire dal mondo, ma ritrovare il senso del mondo.
Il brano profetico allude ad una meravigliosa pedagogia divina, autenticamente umana; essa evidenzia come Dio creatore abbia plasmato il cuore dell’uomo “fatto per te”, come ricorda Sant’Agostino (Confessioni, 1, 1.5), e questo costituisca una “via naturale” destinata ad incontrarsi con la divina Rivelazione per un pieno compimento dell’umanità.
Sempre sul tema del “guardare” come atto dell’intelligenza ricordo un puntuale passaggio della lettera ai Romani: «L'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un'immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili» (Rm 1,18-23).

Il 1° aprile 2005, alla vigilia della morte di san Giovanni Paolo II e pochi giorni prima della sua elezione al soglio pontificio, il cardinale Joseph Ratzinger parlò a Subiaco della grande sfida della cultura moderna.
In un tempo in cui la verità sembrava (e sembra) dissolversi e la libertà ridursi a capriccio individuale, invitò i cristiani a “tenere fisso lo sguardo verso Dio” come condizione per restare umani.
Disse: «Una società che non rispetta la verità sull’uomo finisce per minare anche la libertà».
Lo sguardo verso Dio diventa allora fondamento anche di un impegno sociale e politico autentico.
Chi tiene fisso lo sguardo verso Dio non evade dalla storia, ma la abita con occhi limpidi e cuore vigile. È capace di costruire, di discernere, di dire dei “no” coraggiosi e dei “sì” generosi.

Sempre nella lettera ai Romani, l’apostolo Paolo trae efficacemente conclusioni concrete dalla contemplazione della nuova creazione avvenuta in Cristo: «il peccato non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri. Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di ingiustizia, ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia. Il peccato infatti non dominerà su di voi, perché non siete sotto la Legge, ma sotto la grazia. Che dunque? Ci metteremo a peccare perché non siamo sotto la Legge, ma sotto la grazia? È assurdo! Non sapete che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale obbedite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell’obbedienza che conduce alla giustizia? Rendiamo grazie a Dio, perché eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siete stati affidati. Così, liberati dal peccato, siete stati resi schiavi della giustizia» (Rm 6,12-18).
L’espressione «schiavi della giustizia» è una salutare provocazione per il nostro tempo e per una cultura smarrita, che ha fatto della contestazione e della ribellione la cifra per la realizzazione di una civiltà disumana e deludente.

Il salmo 123 riprende il tema additando nell’attitudine di guardare a Dio il segreto della pace e della giustizia: «Ecco, come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni; come gli occhi della schiava, alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi». 
La «pietà» divina non evoca una distante e sdegnosa liberalità lasciata cadere dall’alto verso il basso, ma piuttosto un amorevole chinarsi con tenera misericordia creatrice sull’uomo, impastato di gloria e di fragilità, che soltanto nella fondamentale relazione con Dio può comprendersi e pienamente realizzare se stesso, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II ripreso da san Giovanni Paolo II nella sua prima programmatica enciclica: «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo Redentore – come è stato già detto – rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso. Questa è – se così è lecito esprimersi – la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l’uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Nel mistero della Redenzione l’uomo diviene nuovamente “espresso” e, in qualche modo, è nuovamente creato. … Il compito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù. Contemporaneamente, si tocca anche la più profonda sfera dell’uomo, la sfera – intendiamo – dei cuori umani, delle coscienze umane e delle vicende umane» (Redemptor Hominis, n. 10).

Il termine “rispetto”, così evocativo in ordine alla dignità umana e alla giusta composizione delle relazioni sociali e così svilito da riduttive e manipolate concezioni antropologiche, deriva anch’esso dal verbo guardare, colto nella sua interessante e intelligente dimensione dello scrutare e indagare.
Contiene anche significativamente l’idea di qualcosa di riflesso da altro: re-spicere.
In effetti la ricerca del fondamento della umana dignità e l’articolazione di quanto ne derivi tanto per la vita del singolo quanto per la vita sociale, deve necessariamente attingere al “logos”, al modello, in base al quale l’uomo è stato pensato e verso il quale tende per il suo pieno compimento.
In tal modo la divina rivelazione illumina e orienta le grandi domande di senso e le decisive questioni dell’esistenza umana.

La considerazione di un fine ultraterreno, ben lungi dal rappresentare pericolose alienazioni, offre all’uomo un criterio vero, non esposto alle derive di insufficienti obiettivi intermedi, questi sì ingannevoli e deludenti surrogati, per rintracciare il senso delle cose e dell’impegno nel mondo e per regalare una speranza sicura, che dignitosamente intreccia e compone la responsabilità della libertà umana con il dono della vocazione divina.
Il vero rispetto in tal modo non si fonda quindi su di una indebita e ingiusta assolutizzazione dell’uomo, ma sulla “contemplazione” di un Volto, i cui lineamenti, ritrovati e restaurati, sui tanti volti umani sfigurati dalla menzogna e dall’inganno del male, possono restituire all’uomo il senso autentico della propria esistenza e le linee guida per costruire la storia secondo la bella agostiniana prospettiva della Città di Dio.

Gesù sottolinea come essenziale per la fede e per la sequela la necessità di uno sguardo limpido: «La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!» (Mt 6,22-23). Si colloca in questa logica la sua lapidaria affermazione: «Dov’è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21), così come la logica conseguenza che «l’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (Lc 6,45).

Alzare lo sguardo è dunque anzitutto un atto di fede, ma è anche un atto di responsabilità civile. Perché chi guarda verso Dio non può più restare indifferente davanti alle ferite del mondo, ferite che non corrispondono soltanto agli scenari di povertà, di ingiustizia e di guerra. Sono tristissime realtà che spaventano e che spesso fanno convergere uomini di buona volontà per tendere alla costruzione di un mondo migliore, come si dice.
Ferite più profonde e pericolose sono i dolorosi esiti della dimenticanza o del rifiuto di Dio; esse sono le cause di quanto accennato prima e, purtroppo, mentre gli effetti fanno tanta paura e si vorrebbero evitare, troppo frequentemente le cause non soltanto vengono tollerate nell’indifferenza, ma addirittura perseguite come via di superamento e di liberazione.
Si ripete così la tragica storia della torre di Babele.

La Chiesa ha ricevuto la missione dal suo divino fondatore di essere custode, testimone e annunciatrice della parola di salvezza e, a questo scopo, ha la vitale necessità di tenere fisso lo sguardo su Gesù per mantenere integro il deposito della fede e trasmetterlo agli uomini per la loro salvezza eterna.
Sono illuminanti le parole di San Paolo a Timoteo: «Sappi che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, empi, senza amore, sleali, calunniatori, intemperanti, intrattabili, disumani, traditori, sfrontati, accecati dall'orgoglio, amanti del piacere più che di Dio, gente che ha una religiosità solo apparente, ma ne disprezza la forza interiore. Guàrdati bene da costoro! Fra questi vi sono alcuni che entrano nelle case e circuiscono certe donnette cariche di peccati, in balìa di passioni di ogni genere, sempre pronte a imparare, ma che non riescono mai a giungere alla conoscenza della verità. Sull'esempio di Iannes e di Iambrès che si opposero a Mosè, anche costoro si oppongono alla verità: gente dalla mente corrotta e che non ha dato buona prova nella fede. Ma non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come lo fu la stoltezza di quei due» (2Tim 3,1-9).

Con questa citazione riassumo tante cose che penso circa la confusione del momento presente e l’urgente necessità che la Chiesa custodisca e incrementi lo sguardo di cui abbiamo detto.
Quando Maria alzò lo sguardo e disse “Eccomi”, cambiò la storia.
Quando Mosè alzò lo sguardo al serpente di bronzo, il popolo trovò la salvezza.
Quando Gesù alzò gli occhi al cielo e benedisse i pani, la folla fu saziata.
Ogni sguardo elevato diventa azione, impegno, solidarietà.
Guardare in alto non ci separa dal basso: ci restituisce il modo giusto per stare dentro la realtà.
Chi tiene lo sguardo fisso su Dio impara a vedere il mondo con occhi diversi.
Non si chiude nei problemi personali, ma riconosce la dignità di ogni persona e la necessità di costruire una società più giusta perché più vera.
Questo vale non solo nei rapporti personali, ma anche nella vita sociale: una persona che sa amare è una persona capace di prendersi cura.
Chi impara a guardare con occhi puri, sa anche guardare le istituzioni, la politica, l’economia con senso critico e con amore per il bene comune.

Benedetto XVI, a Subiaco, invitava i cristiani a non rinunciare alla loro voce nella società, a non abbassare lo sguardo davanti alla complessità del mondo.
Diceva che servono «uomini con lo sguardo purificato dalla fede», capaci di coniugare verità e libertà, fede e ragione.
Alzare lo sguardo, allora, significa anche non accontentarsi di una politica del piccolo cabotaggio, di scelte dettate solo dal consenso o dal calcolo, ma impegnarsi per la giustizia, la dignità della vita, la custodia del creato, la difesa dei più deboli.
Dio, pur chinandosi sulla nostra miseria, guarda sempre in alto e verso l’alto: guarda il piccolo, lo rialza, lo rimette in piedi. Noi siamo chiamati a imitare il suo sguardo, a diventare “artigiani della misericordia e della pace”.
Guardare in alto significa guardare gli altri con rispetto e tenerezza; significa non smettere di sperare anche quando tutto sembra perduto; significa impegnarsi per un mondo dove la dignità di ciascuno sia riconosciuta e protetta.

Un cristiano con lo sguardo alto non è un ingenuo: è un realista della speranza.
Sa che Dio agisce nella storia, e per questo non cede al cinismo né all’indifferenza.
“Tenere fisso lo sguardo verso Dio” e “guardare in alto” non sono due inviti separati: sono due lati della stessa vocazione. Solo chi guarda Dio sa guardare bene l’uomo. Solo chi vive rivolto al Cielo può costruire la terra.
In un tempo che ci spinge ad abbassare gli occhi — sullo schermo, sul profitto, sull’interesse —, i cristiani sono chiamati ad alzare lo sguardo, a testimoniare che esiste un orizzonte più ampio, un senso più grande, una libertà più vera.
«Questo popolo è chiamato a guardare in alto» (Os 11,7), diceva Osea.
Guardare in alto significa impegnarsi per ciò che è alto: la verità, la giustizia, la pace, la dignità di ogni vita. È così che la fede diventa cultura, e la preghiera si traduce in azione.

Preghiera conclusiva
Signore Gesù,
Tu che hai alzato gli occhi al cielo e hai ringraziato il Padre,
donaci uno sguardo limpido e libero.
Insegnaci a guardare in alto, per non perderci nelle cose che passano.
Insegnaci a guardare gli altri con misericordia,
e a guardare il mondo con la passione di chi vuole costruire il bene.
Fa’ che il nostro impegno nella famiglia, nella società, nella politica
sia sempre radicato nel Tuo sguardo d’amore.
Amen.

* Vescovo di Ventimiglia-San Remo



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