Lo scaricabarile sui mafiosi scarcerati
La questione dei capimafia scarcerati negli ultimi giorni è diventata un pasticcio. La si sta buttando in caciara, come spesso accade quando la propensione alla propaganda politica raggiunge elevati livelli di esasperazione.
Una vicenda che mette in gioco il delicato equilibrio tra diversi diritti. Da una parte, l’esigenza di tutelare la salute dei detenuti. Dall’altra, quella di continuare ad assicurare alla giustizia boss mafiosi che si sono macchiati di delitti infami e che sono ancora in grado di nuocere alla collettività. Last but not least, il rispetto nei riguardi dei familiari delle vittime di mafia, ‘ndrangheta, camorra e malavita organizzata.
La questione dei capi mafia scarcerati negli ultimi giorni è diventata un pasticcio. La si sta buttando in caciara, come spesso accade quando la propensione alla propaganda politica raggiunge elevati livelli di esasperazione. Ma il rischio per i cittadini è concreto. E non basta l’emergenza pandemia a farlo passare in secondo piano.
La situazione sul pianeta giustizia è pronta ad esplodere. I magistrati antimafia sono sul piede di guerra e se la prendono con il Governo che, sopraffatto dal dramma Covid-19, avrebbe abbassato la guardia contro la criminalità, dimenticando le vittime delle stragi.
Nel mirino c’è soprattutto il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), attualmente guidato dall’ex pm di Potenza, Francesco Basentini, che si sarebbe dimostrato palesemente inadeguato al ruolo (si parla con insistenza di una sua rimozione nelle prossime ore, o di sue imminenti dimissioni) e, nel caso delle scarcerazioni, avrebbe tergiversato troppo, fino a spingere i magistrati di sorveglianza a restituire alla libertà pluriomicidi già condannati all’ergastolo. In questo caso specifico le toghe sono tra l’incudine e il martello. Se a contrarre il virus in carcere fosse uno di quei boss, la colpa verrebbe data a loro, che non avrebbero applicato le misure previste per casi del genere.
Il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, rendendosi conto, sia pure in ritardo, della gravità della situazione, ha coinvolto il presidente della commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra e prepara un decreto legge da emanare nelle prossime ore.
Ma a legittimare le scelte di molti magistrati di sorveglianza che stanno disponendo gli arresti domiciliari per personaggi di primo piano della mafia degli ultimi 40 anni non sono solo le norme già in vigore da anni, quelle che tengono conto delle precarie condizioni di salute del detenuto, bensì anche il decreto Cura Italia, del 17 marzo, nel quale tale eventualità è prevista, al fine di evitare il contagio in carcere. Le opposizioni come la Lega di Salvini danno la colpa al decreto Cura Italia, che avrebbe indotto il Dap a scrivere, quattro giorni dopo, una circolare, da molti interpretata come un “liberi tutti”. Nel provvedimento del governo si stabiliva, infatti, all’art.123, che i detenuti condannati per reati di minore gravità e con meno di 18 mesi da scontare, potessero farlo agli arresti domiciliari, proprio per non correre il rischio di contrarre il coronavirus. Dunque una soluzione, peraltro condivisibile, per diminuire l’affollamento delle carceri e impedire il collasso del sistema penitenziario, con conseguente dilagare del virus.
La successiva nota del Dap, però, era equivoca e si limitava ad elencare dieci condizioni alle quali riconnettere un elevato rischio di complicanze. Nove sono patologie e la decima è l’età (superiore ai 70 anni). Il problema è che in questa categoria rientrano anche molti dei 750 detenuti in regime di 41 bis e le migliaia di detenuti che stanno in reparti di alta sicurezza. Dunque anche boss come Francesco Bonura, Leoluca Bagarella, Nitto Santapaola e Raffaele Cutolo sono stati inclusi negli elenci compilati dai penitenziari e messi a disposizione dell’autorità giudiziaria “per eventuali determinazioni di competenza”. E la scarcerazione a quel punto è diventata quasi obbligata da parte dei magistrati di sorveglianza.
La gente è indignata e si chiede di chi sia la colpa. Lo scaricabarile tra Ministero, Dap e magistrati irrita l’opinione pubblica, già esasperata dalle restrizioni dovute alla pandemia. In particolare il ministro declina ogni responsabilità rispetto alle decisioni di mandare i boss ai domiciliari, anzi ha già inviato gli ispettori a Sassari, dove le toghe hanno scarcerato Pasquale Zagaria. Su quest’ultimo, peraltro, il giallo si infittisce, visto che il Dap non ha mai risposto alle missive con le quali i giudici sassaresi invocavano una sua collocazione alternativa al fine di non doverlo scarcerare.
Dunque, dopo le rivolte scoppiate nelle carceri a febbraio e che hanno provocato 13 morti e oltre 35 milioni di euro di danni, con il carcere di Modena praticamente distrutto, ora l’improvvida scarcerazione dei boss rischia di provocare una vera e propria frattura tra potere giudiziario e classe politica e di alimentare allarmi sociali nelle aree più a rischio come la Sicilia e la Calabria.
Tuttavia anche le forze di opposizione come la Lega dovrebbero recitare il mea culpa perché, pur avendo ragione nel denunciare le scarcerazioni di mafiosi eccellenti, non hanno mai appoggiato quei provvedimenti, sempre più necessari, di “svuotamento” delle carceri, con possibilità di far scontare ai domiciliari l’ultima parte di pena ai detenuti colpevoli di reati minori. Le carceri scoppiano e già l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, molti anni fa, aveva usato eccezionalmente lo strumento del Messaggio alle Camere per denunciare tale emergenza. Da allora nulla è cambiato. Ma ora è arrivata la goccia destinata a far traboccare il vaso delle contraddizioni della giustizia italiana: il coronavirus che diventa il miglior alleato dei criminali. Anche perché le norme “svuota carceri” del passato non sono mai state digerite dalle forze politiche più giustizialiste.