Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
CHIESA ARCOBALENO

“Liturgia queer” nella diocesi di Bolzano. Un’offesa a Dio

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Nella diocesi di Bolzano-Bressanone si sono svolte due iniziative per la “giornata del coming-out”, con la pretesa di legittimare le rivendicazioni Lgbt. Che però sono contrarie all’ordine posto da Dio e al Suo richiamo alla conversione.

Editoriali 17_10_2023

Il Sinodo in corso mostra di essere un problema anche solo per il fatto che qualcuno in regia pensi che sia possibile e persino doveroso rimettere in questione quanto la Chiesa ha già definito da secoli. “Se ne deve parlare” è il motto per giustificare un processo ininterrotto che ha il solo scopo di persuadere che si possa ripensare il celibato, rivedere il diaconato femminile, rivalutare gli atti omosessuali; in sostanza, per dare l’idea che la Chiesa è talmente aperta da essere disposta a smantellare tutto, purché tutti si sentano accolti. Tranne ovviamente quelli che non amano una Chiesa sempre in svendita.

Il famoso «tutti, tutti, tutti» di papa Francesco poggerebbe su una presunta frase evangelica, che in realtà non trova collocazione in nessun libro delle Sacre Scritture, ossia: “Dio ti ama come sei”; dal che conseguirebbe che noi dobbiamo accogliere tutti “così come sono”.

È su questa frequenza che si sono sintonizzate due iniziative nella diocesi di Bolzano-Bressanone per la “giornata del coming-out”, prontamente pubblicizzate dal sito della diocesi altoatesina. La prima, domenica 8 ottobre, è stata una “celebrazione della Parola”, guidata da don Paolo Zambaldi, nella chiesa di San Domenico a Bolzano. Tale celebrazione ha avuto persino un titolo, piuttosto eloquente: Queer? Ok for God. Tre giorni dopo, serata online in lingua tedesca con un prete omosessuale della diocesi di Paderborn, don Bernd Mönkebüscher, autore di un libro dal banalissimo e noioso titolo Es schmeckt nach mehr. In der Kirche ist für alle Platz! (Ha un sapore in più. Nella Chiesa c’è posto per tutti!).

La fanciulla responsabile dell’ufficio diocesano per il matrimonio, signora Johanna Brunner, sulle colonne del quotidiano locale Alto Adige di domenica 8 ottobre, rassicura di essere in perfetta consonanza con papa Francesco: «“Il nostro è un luogo dove c’è posto per tutti”. E dove ognuno è accolto “così com’è”». Ovviamente. L’iniziativa, secondo lei, sarebbe più che mai opportuna e necessaria, «una sfida», perché «il rapporto della Chiesa con questo universo di diverse sensibilità è stato a lungo difficile». A sentire la Brunner, «ci sono richieste di colloqui, di accompagnamento. E anche discussioni su come sviluppare una nuova morale sessuale che si possa confrontare con una moltitudine di persone che chiede ascolto e di essere accettata per quello che è». Sarà, ma di fatto, la “celebrazione della Parola” non ha registrato tutta questa affluenza di moltitudini, almeno a vedere le immagini trasmesse dal Tg regionale: chiesa desolatamente vuota, con nemmeno venti persone. Numeri a parte, queste iniziative più che scandalizzare fanno cadere le braccia per il vuoto totale di senso.

Punto primo: facciamo notare che la celebrazione della Parola sarebbe una celebrazione liturgica; ergo, la liturgia non ha altro scopo che glorificare Dio e santificare le anime. Ne abbiamo le scatole piene di queste “celebrazioni” a tema, di “liturgie” piegate a rivendicazioni di ogni tipo. Tra l’altro, questa “celebrazione della Parola” è stata presieduta da un sacerdote: e questo è un abuso. Perché il Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza di presbitero (1988) della Congregazione per il Culto Divino, specificava ‒ già nel titolo, ma non solo ‒ che queste celebrazioni devono avvenire solo quando non è possibile la celebrazione eucaristica a causa dell’assenza del sacerdote e quando per i fedeli non sia ragionevolmente possibile recarsi in una chiesa più vicina.

Punto secondo: sulla base dei testi approvati dei Vangeli canonici, risulta che il primo appello di nostro Signore sia stato il seguente: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1, 14). E non: “Dio ti ama come sei”. Per carità, quest’ultima affermazione può anche essere compresa correttamente, ma a non intenderla in modo ortodosso sono proprio i promotori di questa “giornata del coming-out” in salsa simil-cattolica. Perché il titolo Queer? Ok for God, come anche l’intento di «sviluppare una nuova morale sessuale» è l’esatto opposto dell’invito di Nostro Signore alla conversione. Sono due visioni opposte, inconciliabili: da una parte, c’è chi afferma che sono io a dover cambiare, non la legge di Dio; dall’altra, chi sostiene che è la morale sessuale a dover essere modificata, non io.

La verità è che l’amore di Dio ‒ espressione ormai così tanto stravolta, che dovrebbe esservi posta una censura decennale ‒ non lascia mai l’uomo com’è, non lo conferma nelle sue mediocrità e nei suoi peccati, non vuole semplicemente scusare; l’amore di Dio è un fuoco che brucia, cauterizza le nostre deformità, purifica dalle nostre impurità. E questo vale per tutti. La persona che rivendica di essere queer non vuole far pace con la realtà del proprio corpo, ma vuole modificarla, stravolgerla; eppure quel corpo gli è stato donato da Dio non come un soprammobile, ma come quella dimensione che costituisce la sua persona umana. Misconoscere e persino stravolgere la propria identità sessuale è una grave offesa al Creatore, così come lo è il sovvertimento dell’ordine ‒ che Dio ha posto ‒ degli atti sessuali. Mille difficoltà che una persona può vivere su questo duplice fronte non giustificano una sola decisione contro l’ordine voluto da Dio. Punto.

La signora Brunner, don Zambaldi, don Mönkebüscher, e non meno il vescovo della diocesi di Bolzano, monsignor Ivo Muser, hanno una responsabilità enorme davanti a Dio. Ritenere che si debba formulare una “nuova morale sessuale” significa che, in fondo, quella che ci ha dato Dio non va bene, che noi sappiamo meglio di Dio che cosa è bene per l’uomo e che cosa non lo è.

Punto terzo: qualcuno ci deve spiegare perché, seguendo la logica illogica della signora Brunner, non si dovrebbero fare delle “celebrazioni della Parola” anche per ladri in piena attività, o per omicidi non pentiti, o ancora per menzogneri seriali. Bisognerebbe avere il coraggio di organizzare “celebrazioni” ad hoc anche per abusatori di minori. D’altra parte, Dio ci ama come siamo e nella Chiesa c’è posto per tutti. O no? I comandamenti sono dieci: perché le “celebrazioni” dovrebbero essere riservate solamente a chi sovverte il sesto?

A che serve fare celebrazioni della Parola, se poi si dimenticano i fondamenti della Parola di Dio? Che Dio non ci chiama a rimanere come siamo, ma a convertirci? Che non ci dobbiamo illudere, perché «né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1Cor 6, 9-10)? Che «se io [Dio] dico all'empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l'empio dalla sua condotta, egli, l'empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te» (Ez 33, 8)?