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DEMOGRAFIA

L'Italia sta perdendo la prossima generazione

Secondo gli ultimi dati Istat l'Italia ha battuto il suo record negativo di denatalità. Nel 2013 sono nati solo 515mila bambini. Non sono mai stati così pochi dal 1861 ad oggi. Per il demografo Gian Carlo Blangiardo la causa è culturale, più che economica.

Famiglia 29_05_2014
Culle vuote

L’Italia è riuscita a battere un altro record negativo. Dopo quello della disoccupazione giovanile e della crisi economica più lunga della sua storia, da ieri si aggiunge anche quello del più basso numero di nascite dal 1861 ad oggi. I nati, in Italia, sono 515mila nel 2013, con una media di 1,42 figli per donna (incluse le donne immigrate residenti in Italia; il tasso di fertilità delle italiane è di 1,29). Lo rileva la statistica Istat. Il record negativo di nascite, finora, era stato registrato nel 1995, con 527mila nascite. La mancanza di nuovi italiani verrà compensata sempre meno anche dagli immigrati, perché la crisi frena il loro arrivo. Nel 2012 gli ingressi sono stati 321mila, -27,7% rispetto al 2007. Aumenta invece il numero di stranieri che se ne vanno (+17,9%) ed è un vero e proprio boom di italiani che cercano fortuna all'estero. Nel 2012 - fa sapere l'Istat - gli emigrati erano 68mila, il 36% in più del 2011, “il numero più alto in 10 anni”. Nel 2012 hanno lasciato il Paese oltre 26mila giovani tra i 15 e i 34 anni, 10mila in più rispetto al 2008. Istat spiega che negli ultimi cinque anni, si è trattato di 94mila giovani.

Per commentare questo disastro demografico, abbiamo contattato telefonicamente il professor Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia all’Università di Milano. Il quale esordisce spiegandoci che “L’anno scorso era il secondo risultato peggiore dal 1861, quest’anno siamo riusciti ad arrivare al risultato peggiore. Mai stati così in basso”.

La causa di questa bassa natalità è la crisi economica?
Sicuramente è una causa, ma non è solo quella. La tendenza a una natalità sempre più bassa c’è dagli anni ’70, quando la crisi non c’era. E’ motivata anche da fattori culturali e di lungo raggio.

Quali sono i principali motivi?
Da un lato la famiglia è sola e deve arrangiarsi a sostenere i figli. Deve sostenere tutti i costi, senza aiuti. Si preferisce, allora, fare un unico figlio, quando si è già attempati e far quadrare le compatibilità legate al mercato del lavoro, soprattutto per la donna che deve conciliare i ruoli di madre e lavoratrice. La diagnosi è stata fatta, la terapia si conosce, i costi ci sono e nessuno intende farsene carico.

Qual è la terapia, allora?
Dare una mano alle famiglie sul fronte fiscale, con detrazioni e assegni fiscali. Sarebbe un aiuto alla crescita dei figli. Occorre un sistema di leggi più amichevole per le famiglie anche nel mercato del lavoro. La società, poi, dovrebbe guardare le famiglie con figli con occhio un po’ più benevolo, riconoscendo il fatto che stanno producendo quel capitale umano che permette al Paese di sopravvivere. Sono tutte cose che, se ci fossero, renderebbero molto: la vicina Francia, con sostegni di natura economica, è riuscita a mantenere dei livelli accettabili di natalità. E la Francia e i francesi non sono né distanti, né molto diversi da noi. Le cose possono funzionare, dunque. Il problema è che qui nessuno le vuole far funzionare.

Ma quali sono le cause prettamente culturali della denatalità?
Economia e cultura interagiscono fra loro. Culturalmente parlando, si è imposto nel tempo il modello della famiglia con due figli. Che alla fine porta a una media di 1,5 figli per donna (attualmente 1,42 in Italia, immigrate incluse): o un figlio unico, o due al massimo. E’ un modello pratico dettato dall’idea di fondo di godere di un benessere anche di carattere materiale, che consenta ai figli di avere tutto ciò che gli si deve dare, istruzione, divertimento e quant’altro. La filosofia del rischio e del sacrificio, che hanno caratterizzato le generazioni passate, stanno scomparendo gradualmente. E questo incide anche su tutti i comportamenti legati alla fecondità si adeguano: le coppie si sposano più tardi. Una donna ha davanti a se solo 7 o 8 anni di vita feconda, avendo il primo figlio dopo i 30 anni. Mentre, da un punto di vista fisiologico, ne avrebbe 35 di anni di vita feconda. Ne utilizza solo una piccola parte e, per di più, proprio la parte in cui il “rendimento” (mi si passi il termine economico) è più scarso, dove la capacità di avere i figli che si desiderano è sempre più contenuta. Tutti questi comportamenti portano alla denatalità.

La denatalità causa la crisi economica e non viceversa?
Le due cose interagiscono fra loro, strettamente. Senza dire che la denatalità ci ha messo in crisi, perché discorsi come capitale umano e forza lavoro non riguardano i bambini di oggi, la caduta della natalità ha contribuito ad attenuare certi tipi di consumi e la velocità di sviluppo economico. La famiglia non rinuncia direttamente ai figli, ma li sposta. Oggi è molto più facile modificare il calendario della fecondità. E i condizionamenti sociali esterni spingono a spostarlo sempre più in là fino alla rinuncia completa.

I de-natalisti citano sempre Paesi con alti tassi di natalità e bassi livelli di tenore di vita, come il Medio Oriente e l’Africa …
Sì, ma la povertà in quelle regioni non è certo causata dal numero di bambini, ma da ben altri fattori politici ed economici. Tuttavia, in Africa la crescita demografica sta rallentando. Gli alti tassi di natalità sono dovuti a una grande percentuale di coppie giovani, ma se andiamo avanti a proiettare le nostre tendenze anche in Africa, anche lì assisteremo a un’inversione di tendenza. E non si deve fare di tutto il Medio Oriente un fascio, perché ci sono Paesi, come l’Iran, che è sotto il livello di ricambio generazionale, come nella media europea, cioè 1,5 figli per donna.

Negli Stati Uniti c’è un tasso di natalità più alto che in Europa. Perché?
Negli Usa c’è una media di 2 figli per donna, circa 0,5 in più rispetto alla media europea. Perché il modello di vita è diverso. In termini culturali c’è una maggior attitudine al rischio, una maggiore propensione a mandare avanti i propri progetti pur se non sono economicamente coperti al 100%. Un po’ come accadeva da noi in passato. Nella nostra società, al contrario si vuole aver la sicurezza di avere una copertura su tutto, di avere già tutto quel che servirà in futuro. C’è meno propensione al rischio.

E chi ha un tasso di natalità ancora peggiore del nostro?
Solo restando in Europa, c'è la Germania, tutti i Paesi dell’Est, come Repubblica Ceca, la Bulgaria, la Romania. Tutti quelli che sono usciti recentemente dal comunismo: con la caduta del Muro gli son cambiati i programmi.