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GEOPOLITICA

L'Italia sbarca in Libia sull'orlo della guerra civile

Monti si scusa per il colonialismo
e rafforza i rapporti tra i due governi.
Ma ottenere lo stop ai clandestini
è difficile: chi controlla le coste?

Attualità 25_01_2012
Libia

 

Mario Monti e il premier libico Abdel Rahim al-Kib l’hanno chiamata “Dichiarazione di Tripoli”  forse per dare un segno di discontinuità con il Trattato di amicizia italo-libico e soprattutto con i firmatari di quell’accordo, Muammar Gheddafi e Silvio Berlusconi. I contenuti dei due documenti sembrano però essere simili. L’Italia chiede di nuovo scusa per i “misfatti” del colonialismo e la Libia accetta di nuovo le scuse di Roma con l’obiettivo di  “ulteriormente rafforzare i rapporti tra i due Paesi".

Monti ha chiarito che l'Italia punta ad "essere in Libia" e vuole continuare "a farlo sempre di più"
, aggiungendo che "lo spirito che animava le precedenti iniziative continuerà" a dispiegare i suoi effetti ma "tenendo conto dei cambiamenti". Sulla stessa linea Al-Kib che ha ribadito come l’Italia "sia per noi un partner molto importante, che ha avuto un ruolo primario", ed è, "determinante che i rapporti restino stretti: saranno forti". Non solo. Il premier ha aggiunto che le relazioni saranno facilitate dal nuovo governo italiano e dal suo premier, Mario Monti, che "ha una visione molto progredita della comprensione dei rapporti internazionali", ha affermato. Al Kib, osservando che anche il suo esecutivo "rappresenta una nuova visione" alla luce della rivoluzione del 17 febbraio. "Noi crediamo che rapporti tra Italia e Libia saranno forti, avremo un accordo nel pieno rispetto della sovranità nazionale e non vediamo alcun problema nel trattare con l'Italia".

Sul fronte operativo l'Italia e la nuova Libia hanno raggiunto una prima intesa per quanto riguarda
"i crediti legittimi degli enti libici verso l'Italia e viceversa". Crediti che saranno accertati attraverso un meccanismo condiviso dalle parti. Monti ha poi annunciato una duplice missione tecnica a febbraio del ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, con imprenditori italiani interessati ad investire in Libia, e del titolare degli Interni, Anna Maria Cancellieri, per riprendere il dossier del controllo dei flussi migratori.

Il premier ha consegnato simbolicamente le chiavi di 15 fuoristrada che saranno usate dalle forze
di sicurezza libiche istituite per la protezione delle installazioni petrolifere (una sorta di Oil Police come quella costituita in Iraq)  nell’ambito di un programma di formazione e addestramento che vedrà 100 militari italiani istruire le forze militari e di sicurezza libiche (peraltro tutte da costituire) nell’ambito dell’operazione Cirene finanziata quest’anno con 10 milioni di euro ma che in teoria dovrebbe portare molte commesse alle nostre industrie per equipaggiare le nuove forze armate libiche che necessitano di tutto.

L’amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, ha annunciato che la produzione petrolifera è tornata quasi ai livelli prebellici con 270.000 barili al giorno contro i 280.000 in media prima dello scoppio delle ostilità. Scaroni ha anche rassicurato che intorno ai pozzi gestiti dall’Eni non ci sono problemi di sicurezza se si eccettua minori turbolenze nell'area di Wafa.

Gli accordi bilaterali sono però messi in forse da un aspetto ben poco considerato
anche dai media italiani, e cioè dal fatto che la Libia è in preda al caos, all’anarchia e a un passo dalla guerra civile. Un termine già più volte utilizzato dal presidente del Consiglio Nazionale Transitorio Mustafa abdel Jalil che dopo le recenti violenze popolari di Bengasi costate le dimissioni (e quasi il linciaggio) al numero due del Cnt, Abdel Hafiz Ghoga, ha dichiarato che eventuali dimissioni in massa dei membri dell’organismo politico che ha guidato la rivolta contro Gheddafi “porterebbero alla guerra civile".

In realtà la Libia sembra già fuori controllo.
In Cirenaica la popolazione contesta il Cnt accusandolo di poca trasparenza e di aver riciclato troppi esponenti del regime di Gheddafi e giusto per far capite che facevano sul serio, i manifestanti hanno attaccato la sede del Consiglio con numerose bombe a mano. Lungo il confine con l’Egitto si è insediata una milizia legata ad al-Qaeda guidata da veterani dell’Afghanistan inviati direttamente dall’erede di Osama bin Laden, Ayman al Zawahiri.    

Tripoli è ancora divisa in feudi controllati dalle principali milizie tribali.
Quelle di Misurata, di Zintan, i berberi, gli islamisti di Abdel Hakim Belahj sostenuti dal Qatar che soprattutto di notte si affrontano armi in pugno come è accaduto anche ieri. Nel sud sono ancora forti le milizie lealiste che sostennero fino all’ultimo Muanmmar Gheddafi e ancor oggi hanno il supporto di almeno un paio di tribù: i Ghaddafa e i Warfalla, quest’ultima la più importante e numerosa del Paese. A conferma della loro vitalità i lealisti hanno ripreso a sorpreso il controllo di Bani Walid, roccaforte dei Warfalla, cacciandovi dopo un breve combattimento le forze del Cnt che avevano occupato la città nell’ottobre scorso. Sulla città sventiolano le bandiere verdi della Jamahrya.

Sul piano istituzionale è slittata ancora l'adozione della nuova legge elettorale,
il cui testo dovrà essere riesaminato e, sembra molto probabile, perderà l'articolo che stabiliva una quota del 10 per cento riservata alle donne a causa della pressione dei gruppi islamici raggruppati in una decina di partiti.

Benché l’intesa militare con l’Italia preveda anche l'addestramento di 250-300 libici in Italia
, l'attività di sminamento delle aree a rischio nel Paese, la bonifica dei porti (tra cui Tripoli e Misurata), dei materiali e relitti legati alla guerra e il controllo elettronico dei confini di fatto non si sa bene chi siano i militari e i poliziotti libici dal momento che decine di bande tribali rimangono in armi a presidiare i quartieri di Tripoli e le diverse aree del Paese.

Difficile che il ministro degli Interni, Annamaria Cancellieri possa ottenere in febbraio garanzie
affidabili da Tripoli circa lo stop all’arrivo dei clandestini se non esistono forze governative libiche che controllano coste, frontiere e spazi marittimi. Improbabile anche che le piccole e medie imprese sbarchino tra due settimane in Libia al seguito del ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture, Corrado Passera, se nessuno garantisce la sicurezza nelle strade. In pratica il rischio è che Monti, a differenza di Berlusconi nel 2008, abbia firmato un accordo bilaterale con uno stato che di fatto non esiste.