L'Italia punta all'Africa con nuove missioni di pace
Nuove missioni in Africa mobiliteranno quest’anno oltre 500 militari italiani. In compenso verrà ridotta la presenza italiana in Iraq e Afghanistan. L'Italia guarda a Sud e aumenta la sua presenza nei territori da cui partono terroristi e trafficanti di uomini.
Quattro nuove missioni in Africa mobiliteranno quest’anno oltre 500 militari italiani per un costo previsto di un centinaio di milioni di euro che probabilmente verranno ammortizzarti verso la fine dell’anno dal ritiro di quasi un migliaio di militari con aerei ed elicotteri dall’Iraq (circa 700 soldati) e dall’Afghanistan (circa 200).
Roma sembra quindi voler imprimere una graduale svolta nelle operazioni all’estero. Da un lato conferma la vocazione a effettuare operazioni di supporto, addestramento e consulenza a forze militari locali evitando gli impegni in combattimento. Dall’altro punta a schierare meno forze in Iraq e Afghanistan, dove gli italiani sono di supporto agli statunitensi, spostando invece più militari alle porte di casa, in Niger, Libia e Tunisia nell’ambito di missioni Nato o europee e da dove giungono le più importanti minacce alla sicurezza nazionale, dal terrorismo jihadista all’immigrazione illegale su vasta scala.
Le nuove missioni sottolineano quindi come l’Italia torni a guardare al Mediterraneo dove già schiera contingenti in Libano (Onu) e Kosovo (Nato) oltre a diverse operazioni navali nazionali, Ue e Nato. In Libia gli italiani manterranno la missione sanitaria Ippocrate a Misurata, ma porteranno a quasi 400 i loro effettivi inviando un centinaio di militari, richiesti da Tripoli per addestrare le milizie fedeli al governo di Fayez al-Sarraj, rimettere in sesto le motovedette della Guardia costiera che cerca di fermare i flussi di migranti illegali e gli aerei da trasporto C-130 dell’Aeronautica. La missione, che di fatto rinnova le precedenti operazioni di addestramento delle forze libiche, naufragate negli anni scorsi a causa dei disordini nella nostra ex colonia, avrà un costo previsto di circa 45 milioni nel 2018.
Poco meno di quella in Niger che costerà invece 49,5 milioni ma che fino a giugno vedrà presenti solo 120 militari che istituiranno una base logistica a Niamey e addestreranno le forze locali. Nel secondo semestre dell’anno il contingente dovrebbe salire a 256 uomini, di media, con punte fino a 470 militari. Difficile ora ipotizzare nuovi compiti o possibili rischieramenti ai confini libici poiché ogni decisione in merito dovrà essere assunta dal nuovo governo italiano che uscirà dalle elezioni di marzo.
Poche sorprese dovrebbero giungere invece dalla nuova missione in Tunisia (costo previsto: 5 milioni) dove 60 militari italiani svolgeranno compiti di addestramento e supporto alle forze tunisine nell’ambito di un’operazione Nato tesa a costituire una brigata interforze che integri nei compiti di sicurezza militari, polizia e Guardia nazionale per controllare territorio, frontiere e contrastare le milizie jihadiste piene di foreign fighters rientrati dai campi di battaglia in Siria, Iraq e Libia.
A queste missioni si aggiunge l’invio di appena 5 militari nelle missioni Onu nel Sahara Occidentale e Ue in Repubblica Centrafricana oltre al mantenimento degli impegni già assunti dall’Italia in altre aree del continente africano tra cui i 12 istruttori assegnati alla missione europea che addestra le truppe del Malì, i 123 militari schierati con gli stessi compiti in Somalia e i 90 a Gibuti. Missioni nuove e vecchie che dovranno ottenere il 17 gennaio il via libera da un Parlamento formalmente già sciolto e in un clima da campagna elettorale. Difficile però ipotizzare sorprese all’approvazione del decreto missioni che solitamente ottiene ampi consensi anche in parte delle opposizioni.
Il decreto coprirà le operazioni all’estero fino a settembre poichè manca la copertura finanziaria per l’intero anno in cui di prevede una spesa di 1,5 miliardi che includono però anche i fondi per la Cooperazione allo sviluppo della Farnesina e i 120 milioni che ogni anno Roma dona a Kabul per sostenere l’esercito afghano.