L'islamizzazione forzata dei figli dei convertiti
I cristiani iracheni rispondono all'appello del patriarca Raphael Sako e protestano contro l'ennesima forma di oppressione. Una nuova legge in Iraq, infatti, reintroduce, come ai tempi di Saddam Hussein, la conversione forzata all'islam dei minorenni, quando almeno uno dei due genitori si converte all'islam.
Si sono radunati ieri mattina davanti alla chiesa caldea di San Giorgio a Baghdad. Esponenti delle comunità cristiane irachene, ma anche rappresentanti di organizzazioni della società civile e gruppi di appartenenti alle comunità religiose dei yazidi, dei mandei e dei sabei.
Hanno aderito all’appello lanciato dal patriarca Raphael Luis Sako per protestare contro un colpo di mano giuridico che ha il sapore di una pugnalata alla schiena per le minoranze dell’Iraq. Perché non bastavano le sofferenze indicibili che stanno vivendo ormai da più di dodici anni. Non bastava la persecuzione violenta dello Stato Islamico contro i cristiani, che a Mosul e nella piana di Ninive li ha costretti a decine a migliaia a scappare dalle loro case marchiate con la lettera nun dei nazareni. Adesso ci si mette anche una legge del Parlamento di Baghdad a ledere pesantemente il diritto alla libertà religiosa per i non musulmani, prevedendo l’islamizzazione forzata dei minori nel caso in cui uno dei due genitori aderisca all’islam. Un’operazione che - tenendo presente la condanna dell’apostasia vigente nelle società a maggioranza islamica - va a significare di fatto un’imposizione definitiva della religione musulmana per un minore cresciuto in una famiglia cristiana, e questo anche nel caso in cui uno dei due genitori sia contrario.
Come spesso accade la norma è contenuta in un provvedimento apparentemente innocuo: la legge in questione infatti è quella sulle carte d’identità, approvata dal Parlamento iracheno durante l’estate. Solo che - in Medio Oriente - tutto ciò che ha a che fare con lo status della persona va a incrociare l’appartenenza religiosa, indicata anche sulle carte d’identità. Così al paragrafo 2 dell’articolo 26 è spuntata fuori la prescrizione secondo cui «i figli devono seguire la religione del genitore convertitosi all’islam». L’idea non è affatto nuova: riprende una norma che compariva già nell’articolo 21 della Costituzione irachena del 1972. Ma il punto è che dal 2005 l’Iraq ha una nuova Costituzione, che all’articolo 37 paragrafo 2 recita espressamente che «lo stato garantisce la protezione dell'individuo da ogni forma di coercizione intellettuale, politica e religiosa». E proprio questa affermazione - scritta almeno sulla carta - avrebbe dovuto essere uno dei risultati della transizione politica seguita alla guerra contro Saddam Hussein. Ora invece - in un Iraq sprofondato nelle contrapposizioni settarie - si torna indietro. Con l’aggravante di un contesto in cui i cristiani - dopo violenze e persecuzioni di ogni tipo - non sono più la grande comunità da un milione e mezzo di persone che erano quarant’anni fa. Sono ormai ridotti a un piccolo gregge, e dunque molto più esposti a pressioni e abusi che possono assumere il volto di «conversioni» più o meno forzate degli adulti, che verrebbero adesso trasferite in automatico anche ai piccoli.
I rappresentanti delle minoranze nel parlamento iracheno hanno provato a opporsi alla norma: hanno presentato un emendamento di buon senso, che avrebbe previsto per i figli di genitori convertiti la possibilità di scegliere autonomamente all’età di 18 anni a quale religione aderire. Proposta sostenuta anche da alcuni giuristi e parlamentari musulmani. Solo che quando è andata in votazione è finita respinta: il 27 ottobre ha raccolto appena 51 voti favorevoli contro 137 contrari (tra cui sia sunniti che sciiti). Tra l’altro ora c’è il rischio concreto che venga adottata anche dall’Assemblea del Kurdistan, a Erbil: il che avrebbe il sapore di una beffa, con forze ed etnie divise su tutto oggi in Iraq ma eccezionalmente unite nell’imporre l’islam ai figli dei convertiti.
Il patriarca Sako non intende rassegnarsi: con il suo appello e la manifestazione di ieri ha chiesto espressamente al presidente iracheno Fuad Masoum di rimandare la legge in Parlamento, affinché venga modificata data la sua incostituzionalità. E se questo non dovesse avvenire ha già annunciato che presenterà ricorso alla Corte internazionale di giustizia, perché questa violazione di un diritto umano fondamentale venga fermata. Un tempo c’era qualcuno che in Iraq diceva di voler esportare la democrazia: abbiamo visto i risultati. Ma oggi ci sono anche legioni di star mediatiche che girano il mondo per l’Unicef con frotte di giornalisti al seguito come ambasciatori dei diritti dei bambini. Su una questione del genere - che potrebbe avere conseguenze tremendamente serie sulla mancata possibilità di un futuro scelto liberamente da parte di tanti minori - non è che magari potrebbero degnarsi di battere un colpo?