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SCENARI

L'islam è la prima religione in Francia. O forse no

Lo afferma uno studio dell'Hudson Institute. Ma i criteri dell'indagine
sono dubbi. Cosa significa infatti essere musulmano "praticante"?

Attualità 29_08_2011
Islam in Francia

 

Diversi giornali europei, compresi alcuni italiani, hanno dato rilievo nei giorni scorsi a uno studio pubblicato il 18 agosto dall'Hudson Institute di New York, il quale documenterebbe il sorpasso dei musulmani sui cattolici praticanti in Francia. Secondo lo studio, la pratica domenicale cattolica è scesa in Francia al 4,5% di  coloro - il 64% - che si dichiarano cattolici, cioè in ogni weekend si recano a Messa un milione e novecentomila francesi, il 2,9% della popolazione totale. Per contro si dichiara "praticante" il 41% dei sei milioni di musulmani "etnici" presenti in Francia - dei quali il 75% si proclama "credente" - il che consentirebbe di stimare gli islamici praticanti a due milioni e mezzo, dunque ben di più dei cattolici che dichiarano di andare a Messa tutte le domeniche.

Meno rilevante, ancorché ampiamente pubblicizzato, è il dato delle nuove moschee e sale di preghiera costruite negli ultimi dieci anni in Francia: più di mille, contro venti nuove chiese cattoliche nello stesso decennio, che ha però visto la demolizione o la vendita - in alcuni casi proprio a musulmani che li hanno trasformati in moschee - di sessanta luoghi di culto cattolici. Questi numeri non sono sorprendenti, perché è evidente che il numero dei musulmani è molto aumentato per ragioni d'immigrazione e di demografia, mentre come minimo non è cresciuto quello dei cattolici.

Ma è vero che sono ormai di più i musulmani? Per rispondere a questa domanda occorre considerare tre elementi. La prima è che ogni statistica è autorevole quanto la è chi la propone. I dati grezzi vengono dall'IFOP, l'Istituto Francese di Opinione Pubblica, ente di ricerca molto autorevole con legami al mondo confindustriale transalpino, ma l'elaborazione è dell'Hudson Institute, una delle tante fondazioni del mondo conservatore americano diretta da esponenti della comunità ebraica degli Stati Uniti e fortemente filo-israeliana e anti-islamica, dunque interessata a sottolineare il «pericolo musulmano» in Europa. Ma va anche detto che si tratta di un istituto che lavora spesso per il governo statunitense e produce documenti di discreta qualità.

Il secondo elemento è che siamo di fronte a dati ottenuti tramite indagini telefoniche. A rigore l'indagine non ci dice quanti francesi vanno a Messa o «praticano» l'islam ma quanti, raggiunti da una telefonata, «dicono» di andare a Messa o affermano di essere musulmani praticanti. È stato dimostrato da tempo - tra l'altro in un'indagine italiana diretta dal sottoscritto insieme a PierLuigi Zoccatelli in Sicilia,  che non è però l'unica in materia -  che le affermazioni sulla pratica religiosa di chi risponde a interviste telefoniche non coincidono con le rilevazioni effettuate nello stesso periodo e nella stessa area alle porte dei luoghi di culto. In Italia - come in Polonia, dove sono stati condotti studi molto approfonditi sul tema - i dati evidenziano un «over-reporting», cioè il numero di coloro che affermano, raggiunti al telefono, di andare a Messa alla domenica è più alto delle presenze alla Messa rilevate con una minuziosa conta alle porte delle chiese. Per esempio, nella nostra indagine in Sicilia, la pratica dichiarata al telefono è del 30,1%, quella rilevata effettivamente nelle chiese è del 18,3%. Dati davvero molto simili sono emersi in Veneto. Se però in Italia è alto il numero di coloro che pensano che andare a Messa sia il comportamento socialmente preferibile, e forse aspirano ad andarci tutte le domeniche - così che rispondono di sì all'intervistatore anche se poi effettivamente non vanno a Messa -, in Francia diversi sociologi hanno ipotizzato che avvenga il contrario, che ci sia non un «over-reporting» ma un «under-reporting». È possibile cioè che in Francia andare a Messa sia ormai considerato qualcosa di fuori moda e socialmente «strano», così che alcuni che ci vanno non osano confessarlo all'intervistatore telefonico. Basta l'osservazione a occhio nudo a Parigi o altrove per capire che i francesi cattolici vanno a Messa molto meno degli italiani, ma che davvero siano scesi sotto il tre per cento della popolazione dovrebbe essere confermato da ulteriori indagini che procedano per conteggi presso le chiese - purtroppo complessi e costosi - e non solo per telefono.

Il terzo aspetto è quello che deve rendere cauti nel parlare di un "sorpasso" dell'islam. Anzitutto, non è corretto considerare cattolico solo chi va a Messa tutte le domeniche. Il cattolicesimo contemporaneo è fatto di cerchi concentrici: chi va in chiesa tutte le settimane, chi ci va una volta al mese, chi due volte all'anno e chi solo per i matrimoni e i funerali ma comunque si sente cattolico. In questo sistema complesso rimane comunque vero che anche per l'IFOP e per l'Hudson Institute il 64% dei francesi, cioè una solida maggioranza, si considera cattolico. E non si tratta solo di affermazioni di comodo, perché per esempio è proprio in Francia che diverse organizzazioni di sostegno alla Chiesa Cattolica nel mondo, tra cui l'Aiuto alla Chiesa che soffre, raccolgono il massimo di offerte. Chi non va a Messa ma mette mano regolarmente al portafoglio per la Chiesa è uno strano cattolico, ma nello stesso tempo è qualcuno che s'identifica non solo a parole con la comunità dove è stato battezzato.

Ma soprattutto il dibattito è infinito su che cosa significhi essere islamico "praticante". Se si parla di chi va in moschea, le poche indagini europee mostrano sia una bassissima affluenza sia un clamoroso over-reporting: circa il 7% dei musulmani europei dice di frequentare le moschee, ma i conteggi fuori del mese di Ramadan quasi ovunque si fermano sotto il 2%. Tuttavia, andare in moschea non equivale ad andare a Messa. Per la maggioranza delle scuole giuridiche e teologiche musulmane la frequentazione della moschea non è neppure uno dei doveri obbligatori del culto. È obbligatorio pregare, ma la preghiera quotidiana può essere fatta dovunque. È anche obbligatorio digiunare durante il Ramadan, ma da solo il digiuno del Ramadan prova di più un'identificazione etnica con la comunità che un vera pratica religiosa regolare. Con un criterio condivisibile, dunque, l'Hudson Institute non ha considerato i musulmani francesi che dichiarano di digiunare durante il Ramadan - che sarebbero quattro milioni e duecentomila, oltre il doppio dei cattolici che si dicono praticanti - ma solo quelli che affermano sia di osservare il Ramadan sia di essere fedeli alle preghiere quotidiane, appunto due milioni e mezzo di persone.

Se chiamiamo queste persone "praticanti" - il che corrisponde solo a uno dei possibili significati del termine per i musulmani, ma non è assurdo - effettivamente sono di più di coloro che dichiarano di andare a Messa tutte le domeniche in Francia. Tuttavia anche questa dei musulmani è una pratica "telefonica": si riferisce a chi "dice" di rispettare l'obbligo della preghiera quotidiana, oltre al Ramadan, e controllare se prega davvero è ancora più difficile che verificare quanti vanno effettivamente a Messa. In genere, i musulmani sono orgogliosi di esserlo e molte statistiche sulle pratiche religiose islamiche soffrono di un cronico over-reporting.

L'annuncio del "sorpasso" musulmano in Francia va dunque preso con benefico d'inventario. Restano però due dati certi. Il primo è che, nonostante tutta una letteratura sull'effetto secolarizzante che una società come quella francese dovrebbe avere sui musulmani, specie giovani, gli islamici continuano a crescere di numero e affermano almeno nei sondaggi telefonici una forte identificazione con la loro religione. La seconda è che, per quanto si debba considerare il possibile under-reporting, la pratica francese è comunque da molti anni la più bassa del mondo nei Paesi di tradizione cattolica, ed è verosimile che continui a scendere, anche se - come si è accennato - resistono altre forme d'identificazione con il cattolicesimo diverse dalla frequenza alla Messa.

Perché la Francia sia così diversa dall'Italia - dove la pratica dichiarata è dieci volte superiore, e quella effettiva, più difficile da misurare, probabilmente superiore intorno alle cinque volte - è una questione su cui i sociologi s'interrogano da anni. Le risposte fanno riferimento sia a un fattore esterno alla Chiesa - la propaganda laicista che dalla Rivoluzione francese in poi, soprattutto nelle scuole pubbliche, è più martellante che in Italia e che, nonostante sia spesso molto rozza, dopo oltre due secoli evidentemente ha ottenuto i suoi effetti - e a diversi fattori interni: il dominio di una teologia progressista, popolare fra gli intellettuali ma non fra il popolo, e la sorda ostilità di una parte della gerarchia - venuta meno, è vero, ma solo in anni recenti - ai movimenti laicali, che in Italia hanno invece avuto un ruolo decisivo. Sia come sia, ce n'è abbastanza per meditare. E per sperare che non sia vera l'affermazione, in tema di pratica religiosa, del cardinale Carlo Maria Martini a un seminario della Fondazione Agnelli di qualche anno fa secondo cui «l'Irlanda - dove allora si andava a Messa due volte più che in Italia, ma questo succedeva prima della crisi dei preti pedofili - è il nostro passato e la Francia è il nostro futuro». Ma dipende da noi, e dalla nuova evangelizzazione.