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LA "PIAZZA" ARABA

L'Iran in rivolta contro il regime degli ayatollah

Moniti da Ue e Usa dopo gli scontri. È dal 2009 che gl'iraniani contestano il governo che nel 2009 rubò le elezioni.
- Maghreb e Medioriente in fiamme

Attualità 15_02_2011
Teheran

 

Le manifestazioni antigovernative svoltesi domenica a Teheran hanno riacceso il fuoco che covava sotto la cenere dai giorni dei sanguinosi scontri seguiti all’irregolare rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad, il 12 giugno 2009 - i più importanti dal 1979, anno della rivoluzione islamica -, di cui è divenuto simbolo mondiale la tragica morte filmata della giovane Neda Salehi Agha-Soltan.

Tre giorni fa i manifestanti sono scesi in piazza per esprimere sostegno a quelle rivolte di Tunisia ed Egitto che stanno divenendo il modello della contestazione vincente contro i regimi autocratici dei numerosi Paesi d’area. Questo nonostante il fatto che la situazione l’Iran sia assai diversa dal resto della regione araba nordafricana e mediorientale. Il regime degli ayatollah di Teheran è infatti il contrario esatto dei governi cosiddetti “moderati”, e comunque sostanzialmente filo-occidentali, pur se dittatoriali, contestati oggi dalle insurrezioni democratiche nel Maghreb. E laddove la “piazza” in rivolta nel mondo arabo non ha ancora fugato tutte le preoccupazioni legate al futuro ruolo che in quei Paesi potrebbero o potranno svolgere le formazioni dell’islamismo politico magari persino  fiancheggiatrici dello jihadismo, l’Iran è proprio da ciò che sta cercando, e  non da ora, di liberarsi. Continua a colpire, del resto, e fra i colpiti vi sono anche le istituzioni comunitarie europee, il fatto che, mentre reprime la “piazza” iraniana in rivolta antifondamentalista, il regime di Teheran non perde occasione per incitare le “piazze” insurrezionali degli altri Paesi alla svolta islamista.

Oggi a Bruxelles, il presidente del Parlamento Europeo, Jerzy Buzek, ha affermato: «La popolazione iraniana vuole la stessa libertà del popolo tunisino e di quello egiziano», aggiungendo che,  «contrariamente alle affermazioni del regime iraniano, l’Egitto e la Tunisia non vogliono seguire l’esempio della rivoluzione islamica del 1979».
A sostegno del suo intervento, il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, ha invitato il governo iraniano a rispettare il diritto dei manifestanti antigovernativi di protestare pacificamente e ha criticato le restrizioni alle libertà delle opposizioni imposte nei giorni scorsi dalle autorità di Teheran. Con un comunicato in cui tra l’altro invita le forze dell’ordine iraniane «ad astenersi dall'uso della forza contro dimostranti pacifici», la Ashton afferma: «Le autorità iraniane devono rispettare e proteggere pienamente i diritti dei propri cittadini, compresa la libertà di espressione e il diritto di riunirsi pacificamente, questi sono diritti fondamentali che devono essere sempre pienamente rispettati»

Ieri il console spagnolo in Iran, Ignacio Pérez Cambra, è stato trattenuto per quattro ore dalla polizia nel commissariato per stranieri di Teheran. Il console è stato fermato da nove uomini mentre scendeva dall’auto davanti all’Ambasciata spagnola nella capitale iraniana: si trovava a bordo della macchina dell’ambasciatore, che ha prima riportato quest’ultimo alla sua residenza e che ha poi condotto il console in Ambasciata affinché potesse riprendere la propria auto. L’accusa è stata l’aver assistito alla manifestazione di protesta. Come ha riportato il quotidiano spagnolo El País, gli uomini che hanno fermato il diplomatico gli si sono rivolti in inglese dicendo:  «Lei hai fatto qualcosa di sbagliato». Al telefono, dopo il rilascio, Perez Cambra ha confermato di aver assistito alle manifestazioni assieme all’ambasciatore, secondo quanto permesso dalla Convenzione di Vienna.

Le concitate battaglie urbane di domenica non hanno peraltro fermato le manifestazioni di contestazione, che sono proseguite nelle ore successive.
A Teheran la repressione delle rivolte è condotta dalle truppe antisommossa e dai miliziani islamici basiji, le unità paramilitari al servizio del regime che, fondate nel 1979 dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, rispondono direttamente all’esercito e ai pasdaran, i guardiani della rivoluzione islamica. Furono i basiji, nel giungo 2009, a causare la morte di Neda e di altre decine di manifestanti. Domenica la loro reazione ha causato una vittima tra i manifestanti, uccisa a colpi di arma da fuoco, e altri due feriti, anche se la responsabilità di questi fatti di sangue è stata attribuita dall’agenzia semiufficiale Fars alla “sediziosità” degl’insorti.

Domenica gli scontri si sono prolungati per ore, dal pomeriggio fino a dopo il tramonto, interessando diverse piazze lontane anche diversi chilometri l’una dall’altra: da Piazza Imam Hossein a est a Piazza Enghelab a ovest, compresi i paraggi dell’università, e ancora lungo i viali che portano alla vasta Piazza Azadi, ancora più a ovest. Tra gli slogan più gridati: «Morte al dittatore» ? all’indirizzo del presidente Ahmadinejad o della Guida Suprema del regime, Ali Khamenei ?  e «Mubarak, Bel Ali, ora è il turno di seyed Ali» (Khamenei, appunto).

Manifestazioni sono state segnalate dai siti Internet dell’opposizione anche in altre grandi città del Paese, tra cui Mashhad, Isfahan e Shiraz. Durante gli scontri, nella capitale sono state interrotte le linee dei telefoni cellulari e i collegamenti Internet sono risultati fortemente rallentati. Ai giornalisti stranieri è stato vietata la cronaca in diretta delle manifestazioni non autorizzate.

I capi dell’opposizione, Mir Hossein Mussavi (il leader riformista la cui vittoria alle elezioni del giugno 2009 invalidata illegalmente da Ahmadinejad scatenò la rivolta) e Mehdi Karrubi, avevano chiesto al ministero dell’Interno il permesso di organizzare una manifestazione a sostegno dei movimenti di protesta nei Paesi arabi. Nonostante il rifiuto, l’appello alla manifestazione è stato diffuso via Internet e persino con scritte sui muri della capitale, fra cui la frase «Dio è grande» come già accaduto nel 2009. Numerosissimi messaggi di adesione; tra cui quello delle “Madri in lutto” di giovani uccisi nelle manifestazioni di un anno e mezzo fa.

Nella mattinata il sito di opposizione Kaleme aveva diffuso la notizia che anche Mussavi, come giovedì della scorsa settimana Karrubi, era stato posto in isolamento nella propria abitazione, con il telfeono interrotto.
La tensione è salita quando in mattinata un giovane si è arrampicato su una gru nella centrale Via Beheshti. Sulla testa portava una fascia verde e in mano stringeva una bandiera nel medesimo colore, quello reso popolare dai rivoltosi antifondamentalisti nel 2009. Ma il gesto più provocatorio è stato quello di mostrare le fotografie di due ragazzi, che secondo alcuni ritraevano i volti di altrettante vittime di allora.

Dopo i sanguinosi scontri, ieri mattina, il presidente turco Abdullah Gul, in visita ufficiale a Teheran, ha svoltovche una conferenza stampa congiunta con Ahmadinejad. Commentando le rivolte delle diverse “piazze” arabe ha invitato i governi della regione a «rispettare e dare risposte alle richieste dei propri popoli».

Nella serata sempre di ieri è intervenuto anche il Segretario di Stato americano Hillary Clinton, ammonendo le autorità iraniana: «Siamo contro la violenza e ci appelliamo alle autorità iraniane affinché evitino il ricorso alle forze di sicurezza e alla violenza per impedire al popolo di esprimere liberamente le proprie idee». Parlando al Congresso federale statunitense, la Clinton ha aggiunto: «Sosteniamo i diritti universali del popolo iraniano, che merita gli stessi diritti di quelli rivendicati dai manifestanti egiziani» protagonisti della cacciata, venerdì scorso, di Hosni Mubarak. Elogiando il coraggio dei manifestanti iraniani, il Segretario di Stato  ha augurato loro «la stessa opportunità che hanno saputo cogliere i loro omologhi egiziani la settimana scorsa».