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HACKER E VOTI

L'Iran fa campagna contro Trump e punta sulla vittoria di Kamala

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L'Iran mira a danneggiare Trump con operazioni di hacker. Rubate email dalle comunicazioni interne della sua campagna. 

Esteri 13_08_2024
Hacker

L’Iran, oltre a minacciare di colpire direttamente Israele, da giorni, è anche diventato l’intruso più aggressivo nelle elezioni americane. Nel briefing tenuto a luglio dall’intelligence americana, la Russia appariva come il principale attore esterno che interferiva nel processo elettorale, con azioni di propaganda a favore di Trump. Ma neanche un mese dopo la più grande operazione di hacker ai danni di un candidato è stata compiuta dall’Iran, secondo tutti gli indizi. E la vittima è Trump. Curiosamente, l’Iran e la Russia, alleate militarmente, sostengono due candidati opposti. Il che la dice lunga sui reali interessi delle potenze nemiche degli Usa.

L’Iran era finora classificato come “agente del caos”, non come un attore segreto capace di manipolare la propaganda a favore di un candidato. Da poche settimane questa prospettiva è cambiata. Il 29 luglio, le agenzie di intelligence americane, in un secondo briefing hanno cambiato la loro analisi sulle azioni del regime di Teheran, affermando come fosse ormai parte in causa della campagna e stesse favorendo esplicitamente la candidata democratica Kamala Harris. Tuttavia, sempre secondo l’intelligence, i mezzi e l’esperienza iraniani sono ancora inferiori rispetto a quelli russi.

Ma una settimana dopo questo briefing, la redazione della rivista Politico ha ricevuto una serie di email da un utente misterioso, chiamato “Robert” con documenti riservati di comunicazioni interne della campagna elettorale repubblicana. “Robert” usava toni abbastanza aggressivi nel presentarsi, come «Vi suggerisco di non essere curiosi di sapere da dove li ho presi. Qualsiasi risposta a questa domanda mi comprometterà e vi impedirà di pubblicarle legalmente». I documenti erano autentici, comunque: si trattava, per cominciare, di dossier su JD Vance e Marco Rubio, prima della nomina a vicepresidente, per esplorare i loro punti deboli e punti forti. La fonte ha lasciato intendere di aver molto altro materiale. La campagna di Trump ha immediatamente fatto sapere in pubblico di aver subito un attacco hacker, con un importante furto di dati. Il portavoce della campagna, Steven Cheung, ha intimato gli organi di stampa a non pubblicare materiale illegale «rubato da una potenza ostile agli Stati Uniti».

Il fatto che vi sia l’Iran dietro questa operazione hacker è stato confermato anche da Microsoft, in un suo rapporto reso pubblico l’8 agosto. Teheran, come c’era da attendersi, nega ogni responsabilità. Il rapporto di Microsoft rivela una trama ben più ampia. Sarebbero in azione ben quattro diversi gruppi di hacker iraniani, uno dei quali è riuscito a trafugare le email della campagna repubblicana tramite un’azione di spear fishing: si conversa via email con un funzionario-bersaglio e quando si conquista la sua fiducia gli si manda un link tramite il quale si rubano i suoi dati personali. Secondo l’intelligence americana, gli iraniani sarebbero diventati maestri in questa tecnica.

Un secondo gruppo di hacker, meno sofisticato, avrebbe creato siti pseudo-americani in cui si parla male di Trump, o si istiga lo scontro su questioni sensibili. Un terzo gruppo, più sofisticato, starebbe più assiduamente soffiando sul fuoco sulle tensioni sociali, mandando messaggi mirati agli elettori e agli attivisti. Anche nelle elezioni del 2020, elettori e militanti democratici ricevevano email di minacce, apparentemente mandate da estremisti di destra (come i Proud Boys), ma in realtà confezionate da hacker iraniani. Infine c’è un quarto gruppo che starebbe cercando di penetrare i sistemi informatici dei governi degli Stati in bilico, quelli che determineranno la vittoria o la sconfitta nelle prossime elezioni presidenziali. Non è chiaro il loro obiettivo, ma visto il bersaglio, sono i più pericolosi in assoluto.

Perché l’Iran vuole la vittoria di Kamala Harris? Presto detto: perché Trump, con le sanzioni e con azioni militari mirate (quale l’eliminazione del generale Soleimani in Iraq) è più pericoloso per il regime di Teheran. Sempre Trump aveva ritirato gli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano, nel 2018, danneggiando irreversibilmente la politica estera della Repubblica Islamica. Trump, che ha trasferito l’ambasciata Usa a Gerusalemme, riconoscendola come capitale di Israele, sarebbe un difensore dello Stato ebraico molto più determinato di Biden e con gli accordi di Abramo ha riconciliato i regni arabi sunniti con gli israeliani, anche in funzione anti-iraniana. Dall’altra parte Kamala Harris, che non si è mai espressa sulla politica estera, ha come principale consigliere Philip Gordon, un uomo non a caso ritenuto vicino all’Iran e alle principali organizzazioni (come l’Iran Experts Initiative) che sono prodotte da operazioni di influenza iraniane all’estero. Kamala Harris potrebbe essere un buon investimento per il regime dei mullah e forse è anche per questo motivo che a luglio l’Iran (da quanto sostiene l’intelligence) ha cambiato strategia: quando la vicepresidente è subentrata a Biden nella candidatura per la Casa Bianca.

Resta da capire come mai Iran e Russia, alleati sempre più stretti, puntino su due cavalli opposti. Ma l’interesse principale di Mosca così come di Teheran, è sempre quello di indebolire gli Usa. Più la campagna sarà dura, più i candidati sono divisivi, meglio è per l’interesse di entrambi. Oltre naturalmente a puntare sulla vittoria del candidato meno ostile ai loro interessi, che nel caso della Russia è Trump, in quello dell’Iran è evidentemente la Harris.