L'inno alla vita di Lunedì e le sue sorelle
C’è un film recente, di produzione inglese e non ancora tradotto in italiano, che vale la pena di segnalare ai lettori della Nuova BQ per il contenuto piuttosto politicamente scorretto. In un futuro prossimo, tra ogm e sovrappopolazione si decide di eliminare i figli in più. Ma un nonno decide di salvare le sette nipoti, sorelle gemelle. Un inno alla vita politicamente scorretto.
C’è un film recente, di produzione inglese e non ancora tradotto in italiano, che vale la pena di segnalare ai lettori della Nuova BQ per il contenuto piuttosto politicamente scorretto. Uscito per il circuito Netflix, presumibilmente non passerà sul grande schermo, anche se meriterebbe una circolazione più ampia. Il titolo è What happened to Monday («Cosa è accaduto a Lunedì»), sottotitolo Seven sisters («Sette sorelle»).
Ed ecco la trama. Siamo in un futuro abbastanza prossimo. Attorno all’anno 2073 il pianeta scoppia: la popolazione ha raggiunto i dieci miliardi e non c’è cibo per tutti. E fin qui sembra la solita manfrina del mito dell’esplosione demografica, è vero. Ma andiamo avanti. Utilizzando gli ogm si ottiene un gran risultato – dar mangiare per tutti - e il pericolo sembra passato. Però, col tempo, ci si accorge che il cibo geneticamente modificato provoca un’impennata nei parti plurigemellari, cinque-sei-sette gemelli alla volta e il problema della sovrappopolazione, cacciato dalla porta, rientra peggiorato dalla finestra. Allora una leader – di multinazionale? - riesce a convincere il governo ad adottare la politica del figlio unico (come in Cina, dove ha provocato i disastri che sappiamo; ma il film non lo dice).
E si comincia subito: i bambini che eccedono la quota stabilita vengono sottratti alle famiglie e ibernati, con la promessa di risvegliarli quando le cose si saranno messe al meglio. La leader in questione ha il volto di Glenn Close. Willem Dafoe è invece un uomo che non aveva più rapporti con la figlia da un pezzo quando viene a sapere che è morta di parto. Incinta di chissà chi, ha dato alla luce sette gemelle identiche. L’uomo, impietosito, le nasconde nel suo grande appartamento, dove le alleva. Le chiama come i giorni della settimana (Lunedì, Martedì, etc.) e insegna loro a uscire di casa solo una per giorno, così che tutti pensino trattarsi di una sola, sempre la stessa.
Al ritorno, la sera, quella che è uscita deve raccontare in dettaglio la sua giornata alle altre, così che conoscano bene gli sviluppi della situazione per quando toccherà a loro uscire. L’accuratezza di tale educazione arriva al punto che, quando una si tronca una falange in un incidente, il nonno mutila anche le altre, perché siano perfettamente uguali. Le gemelle crescono ed hanno le fattezze di Noomi Rapace, l’attrice svedese lanciata da Uomini che odiano le donne. La quale interpreta i sette ruoli aiutata da impeccabili effetti speciali.
Naturalmente questo perfetto meccanismo si inceppa il giorno in cui Lunedì non torna a casa. Da qui parte una serie di eventi tragici che non intendiamo rivelare per non togliere il piacere della visione, ma che culminano nella scoperta che i bambini «in più» non vengono affatto ibernati, bensì semplicemente eliminati. Due pecche, tuttavia, si riscontrano in una trama per altri versi quasi perfetta. Una è un’unica scena di sesso, ma così insistita e inutile da infastidire anche lo spettatore più smaliziato. Già le scene di sesso esplicito in un film sono pleonastiche di suo, nel senso che della loro eventuale assenza nessuno si accorgerebbe. Ma in questo film il posticcio è molto più flagrante.
Evidentemente il regista Tommy Wirkola non ha voluto strafare col politicamente scorretto. L’altra pecca è un salto dal terzo piano dentro un camion di spazzatura. La saltatrice atterra di schiena sul metallo e scopre che il camion è vuoto. Nella realtà si sarebbe ammazzata o sarebbe rimasta almeno seriamente tramortita. Invece si rialza e riprende la sua fuga come se niente fosse. Comunque, al di là di questi due nei, il film si conclude con un inno alla vita, anche sovrappopolata. Di questi tempi, ci pare gran cosa.