L’ingerenza dell’élite finanziaria sulla democrazia
Ascolta la versione audio dell'articolo
Solo limitando l’ingerenza dell’élite finanziaria nella gestione dei pubblici poteri è possibile restituire al popolo la sovranità e garantire forme di governo sostanzialmente democratiche. In mancanza, il sistema liberaldemocratico su cui si fondano i Paesi occidentali è illusorio.
Sebbene ci siano ottime ragioni per gioire del cambio di rotta alla Casa Bianca, le modalità con cui si svolgono le elezioni americane impongono comunque una riflessione sullo stato della democrazia. Dal 2010 negli Stati Uniti, accanto ai PAC (Political Action Committee) – organizzazioni fondate al fine di raccogliere fondi per sostenere un certo candidato o un certo programma –, si sono diffusi i “Super PAC”, organizzazioni simili ai PAC, che non possono donare direttamente alle campagne elettorali dei candidati, ma possono raccogliere e spendere qualsiasi cifra per sostenerle indirettamente. Per mezzo dei Super PAC è consentito a singoli individui donare somme illimitate ai candidati, a patto che l’organismo rimanga formalmente indipendente (limite però agevolmente superabile sostenendo posizioni politiche e ideologiche associabili a un candidato, o affidandone la gestione a suoi collaboratori).
È noto che Elon Musk è stato uno dei principali finanziatori e sostenitori di Trump. Si stima che il proprietario di X abbia donato più di 118 milioni di dollari al suo comitato di azione politica, America PAC, a sostegno di Trump (e altri 12 milioni per sostenere i repubblicani nelle corse a seggi parlamentari). Fra i maggiori donatori di Trump figurerebbero altresì: l’uomo d’affari Timoty Mellon che ha versato 150 milioni di dollari, Miriam Adelson con 136 milioni, Liz e Dick Uihlein con oltre 100 milioni. Sono stati identificati 52 miliardari che hanno sostenuto il tycoon.
Per la campagna di Kamala Harris si stima che quasi 400 milioni di dollari siano stati donati da un numero ristretto di miliardari molto noti: Bill Gates (il miliardario impegnato nel “migliorare” l’assistenza sanitaria, “ridurre” la povertà e “combattere” il cambiamento climatico) ha donato a favore di Future Forward, un’organizzazione che sostiene Harris, 50 milioni di dollari. Altri 50 milioni sono stati donati da Michael Bloomberg; 38 milioni da Dustin Moskovitz (fondatore di Facebook assieme a Zuckerberg); il cofondatore di LinkedIn, Reid Hoffman, ha donato 10 milioni. Solo per citare i maggiori finanziatori…
Si può ora meglio comprendere l’ingerenza dell’élite finanziaria sulle politiche di governo nazionali e sulla governance mondiale. Un ristretto numero di persone, grazie alle enormi ricchezze da essi accumulate (superiori al PIL di interi Paesi) sono in grado di finanziare, indirizzare, “corrompere” le politiche nazionali ed internazionali. Per lo più attraverso le società multinazionali (di cui sono titolari o soci di maggioranza) o a mezzo delle fondazioni private da essi create (enti patrimoniali dalle più che discutibili finalità “filantropiche”) codesti miliardari sono in grado di sedersi al tavolo con capi di Stato e di Governo e di interloquire con organizzazioni internazionali (ONU) e sovranazionali (Unione Europea).
Sono noti alle cronache attuali gli attacchi del miliardario Elon Musk ai giudici italiani sul caso del trasferimento dei migranti in Albania (il fatto è apparso ancor più grave per il ruolo politico assegnato al magnate nell’amministrazione del governo americano). E ancor più nota è l’amicizia di Musk con la premier Meloni. Ma molti ricorderanno il sostegno di Bill Gates alla campagna vaccinale messa in atto durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, il suo potere di influenza sull’OMS e sulle politiche sanitarie internazionali, i contatti che intercorsero fra il fondatore di Microsoft e il premier italiano Conte per la promozione della ricerca sul vaccino. E che dire della filantropia dei “paperoni” della Terra sulle politiche ambientaliste e sulla lotta al cambiamento climatico, di cui i Paesi occidentali si fanno sempre più promotori?
Certamente questi nuovi protagonisti minacciano la democrazia. Formalmente il popolo esercita il potere democratico col diritto di votare i propri rappresentanti di governo. Ma nella sostanza le espressioni di voto dei cittadini sono condizionate e “manipolate” dal denaro investito dai miliardari della Terra.
Se non è possibile arginare il fenomeno della crescente concentrazione delle ricchezze nelle mani di una cerchia ristretta di persone, è auspicabile perlomeno che i governi dei Paesi che si definiscono democrazie liberali stabiliscano dei criteri in grado di limitare l’interferenza dell’élite finanziaria nella politica ed in generale nella gestione della “cosa pubblica”. In primo luogo è necessario porre dei limiti (“tetti” di spesa) e criteri di trasparenza ai contributi dei privati a sostegno di candidati, partiti politici ed a tutto ciò che concerne la politica.
In secondo luogo devono essere introdotte regole in grado di interdire ai magnati l’assunzione di cariche di governo (specie nei settori ove vi è un potenziale conflitto di interessi con le attività economico-imprenditoriali da essi gestite), limitando altresì il condizionamento che gli stessi possono esercitare su istituzioni governative ed enti internazionali o sovranazionali.
In terzo luogo occorre intervenire vigilando e contrastando forme di monopolio o oligopolio nel campo dell’informazione. Occorrono regole e normative che pongano dei limiti alla titolarità (anche in forma di partecipazione sociale) o alla gestione dei mezzi di comunicazione ed informazione di massa: stampa, tv, piattaforme social dovrebbero essere finanziate col denaro dei cittadini, non col denaro dei ricchi. È evidente infatti che chi controlla l’informazione, forma le opinioni e le idee, orienta il consenso e la volontà delle masse. Se l’informazione è sotto il controllo di poche persone, c’è un serio problema democratico.
Solo limitando l’ingerenza dell’élite finanziaria nella gestione dei pubblici poteri, è possibile restituire al popolo la sovranità e garantire forme di governo sostanzialmente (e non solo formalmente) democratiche. In mancanza, il sistema liberaldemocratico su cui si fondano i Paesi occidentali è illusorio: i cittadini votano, i rappresentanti eletti governano, ma le politiche le decidono i potenti della Terra.
La gravità del fenomeno descritto è mitigata dal fatto che, nell’attuale contesto storico, le élite finanziarie agiscono sovente in contrapposizione fra loro, e la rivalità in campo economico ed imprenditoriale (e non di rado ideologico) si traspone sul piano politico, determinando così un bilanciamento di risorse e “pari opportunità” fra opposti schieramenti politici. Ma immaginiamo se tutti i potenti della Terra unissero le loro forze. Vi sarebbe sempre un solo candidato vincente! O ancora peggio un’alternanza politica solo apparente, agende elettorali solo formalmente differenti, ma in realtà rispondenti ad una sola linea di pensiero, ad un unico centro di interessi e di potere.