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Il caso

L’infantilismo di Borrell, un danno per tutta l’UE

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L’Ungheria organizza a Budapest una riunione informale di ministri degli esteri dei Paesi dell’UE. Josep Borrell, per ripicca verso Orbán, la sposta a Bruxelles. E intanto veste i panni dell’attivista in tema di elezioni negli USA. Il classico socialismo al potere.

Editoriali 24_07_2024
Josep Borrell (foto ImagoEconomica, L. Kobus)

Siamo all’«asilo infantile». Con questo azzeccato commento la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, oggi in capo all’Ungheria, ha commentato la decisione di Josep Borrell, alto rappresentante per gli affari esteri dell’UE, di spostare a Bruxelles la riunione informale dei ministri degli esteri prevista a fine agosto a Budapest.

La decisione di Borrell è l’ennesimo esempio di spregio per le istituzioni e abuso della carica istituzionale che ricopre a nome e per conto dell’intera Europa e non solo della parte socialista, peraltro uscita con le ossa rotte dalle elezioni. Borrell intende snobbare il primo ministro Viktor Orbán per i suoi sforzi diplomatici bilaterali volti a promuovere un dialogo e un successivo cessate il fuoco che pongano le premesse per la fine della guerra in Ucraina.

Il piano iniziale di Borrell era quello di convocare contemporaneamente una "contro-riunione" formale a Bruxelles, progetto sostenuto anche dalla stampa del regime europeo liberal-socialista, in modo che i ministri degli esteri dei Paesi dell'UE non avessero altra scelta che boicottare il vertice di Budapest, uno degli eventi importanti organizzati per il prossimo agosto dall'Ungheria, durante il suo semestre di presidenza del Consiglio dell'UE. Il progetto di boicottaggio non è pienamente riuscito, visto che diversi Stati membri, anche se in disaccordo con l’iniziativa di Orbán, ritenevano che boicottare la presidenza ungherese creasse un precedente controproducente e dannoso per la futura cooperazione dell'UE. Tra questi critici con Borrell anche uno dei peggiori detrattori di Orbán, spesso al centro degli scontri con Budapest, ossia il ministro degli esteri lussemburghese Xavier Bettel. Lunedì, Bettel aveva detto ai giornalisti che avrebbe comunque partecipato all'incontro informale alla fine di agosto; nello stesso solco, il ministro degli esteri spagnolo José Manuel Albares, per il quale «non ci può essere boicottaggio all'interno dell'Unione Europea», così come gli sloveni, gli austriaci, gli slovacchi e molti altri.

Altri Paesi (tra cui la Francia e la Germania) chiedono invece che l'Ungheria sia punita per la missione di pace di Orbán, questione sollevata durante il Consiglio Affari Esteri di lunedì 22 luglio a Bruxelles. Secondo il portale web Euractiv, 13 Stati membri volevano che il vertice si svolgesse a Budapest e solo cinque erano fermamente contrari all'idea, minacciando di boicottare l'evento. Otto ministri hanno invece affidato la propria decisione all’alto rappresentante Borrell che con una dichiarazione ha detto che è necessario «inviare un segnale, anche se questo è un segnale simbolico… ma rifiuto la parola “boicottaggio”, l'incontro avrà luogo e l'Ungheria ci sarà».

Una decisione che sfiora l’infantilismo e la ripicca. Non a caso il ministro degli esteri ungherese Péter Szijjártó ha descritto la decisione come una «fantastica vendetta… mi sembra di essere in un asilo». Non c’è infatti alcuna differenza: l’incontro si terrà ugualmente e gli argomenti di discussione saranno gli stessi, visto che la politica estera non rientra tra le competenze delle presidenze semestrali del Consiglio dell’UE. Tuttavia, l’alto rappresentante pro tempore Josep Borrell, sempre più impegnato ad imporre gli interessi politici di socialisti e democratici, ha ventilato la possibilità di aprire un procedimento legale, i cui contorni rimangono evanescenti, contro Budapest per non aver rispettato i trattati dell'UE che richiederebbero a tutti i membri di sostenere la politica estera decisa all’unanimità dai Paesi europei, con «lealtà» e «solidarietà».

Un tale procedimento, nuovo risibile bluff, non verrà mai messo in pratica, per evitare le evidenti e drammatiche difficoltà di ben più influenti capitali e governi europei. Il socialista Borrell non ha solo complottato per boicottare la presidenza di turno ungherese; nelle stesse ore della rinuncia di Biden e dell’accettazione della candidatura di Kamala Harris, l’alto rappresentante per la politica estera dell’UE ha espresso apprezzamenti per i democratici statunitensi e giudizi negativi sul ticket dei repubblicani (Trump-Vance), vestendo i panni dell’attivista politico e senza alcun rispetto né del proprio ruolo né dei 27 Paesi membri, dicendo che le «relazioni UE-USA saranno diverse in base a chi vincerà». Uno sgarbo inaccettabile in chiave di relazioni atlantiche e un segno di tifoseria spicciola che andrebbe censurato con forza e immediatamente.

In ciò, Borrell non si distingue dal collega socialista e segretario generale uscente della Nato, Jens Stoltenberg, che, in procinto di lasciare l’incarico, ha deciso di premiare un compagno di partito, il socialista spagnolo Javier Colomina, per un incarico ideato e chiesto dal governo di centrodestra italiano, ossia quello del rappresentante speciale per il Medio Oriente, il Nord Africa e le regioni del Sahel. Si tratta dell’ennesimo indizio che dimostra il pericolo rappresentato dai socialisti nelle istituzioni, svilite a semplici strumenti per l’occupazione del potere politico e di partito.



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