L'inaccettabile gamba tesa di Napolitano
L'ex presidente della Repubblica invade il campo con dichiarazioni pesanti chiedendo di votare "sì" per rendere il Parlamento un «luogo degno». Ma chi ha passato più di mezzo secolo in quel Parlamento e da quel parlamento è stato eletto due volte capo di Stato, dov'era quando quelo luogo è diventato «indegno»?
La campagna referendaria somiglia sempre più a una commedia degli inganni e delle finzioni. Rappresentanti autorevoli delle istituzioni che si contraddicono, protagonisti ormai passati della vita politica italiana che si spendono per il “si” o per il “no”, leader di partito che evocano il caos e indicano nel 4 dicembre una sorta di giudizio universale.
Sabato abbiamo avuto l’ennesima riprova di questo clima fuorviante e insano ascoltando le parole di Giorgio Napolitano, non nuovo a esternazioni sul tema, che somigliano sempre più a improvvide e ineleganti invasioni di campo. Parlando ai giovani del Pd, durante un incontro di formazione politica, il Presidente Emerito ha sentenziato che una vittoria dei “si” restituirebbe credibilità al Parlamento, rendendolo nuovamente “un luogo degno”. Affermazione davvero pesante, perché arriva da colui che in Parlamento c’è rimasto per mezzo secolo ed è stato eletto per ben due volte Presidente della Repubblica da questo stesso Parlamento che ora definisce implicitamente indegno. Ma dov’era Napolitano quando le Camere diventavano “indegne”?
L’ex Capo dello Stato ha argomentato questo suo endorsement in favore della riforma Boschi provando a demolire il fronte avversario: «A chi dice voto “no” al referendum costituzionale per difendere il Parlamento, chiedo: ma sai com'è ridotto il Parlamento? Per nove anni ho ricevuto gente, perlopiù esponenti dell'opposizione, che mi implorava basta con i decreti, i maxiemendamenti, con le fiducie. E per quanti sforzi facessi è chiaro che quando è impossibile prevedere i tempi e quando c'è la possibilità aperta di un percorso ripetitivo e logorroico, scatta la decretazione e la fiducia. Tutto questo può finire con questa riforma costituzionale. Questa è la sostanza: riabilitare un Parlamento ridotto a uno straccio, ed è una sostanza importantissima».
Definire il Parlamento in cui lui stesso siede tuttora come Senatore a Vita “uno straccio” è apparso un tantino offensivo. Ma è apparso soprattutto contraddittorio con un’altra frase pronunciata mesi fa dal Ministro Maria Elena Boschi: «Chi vota “no” offende il Parlamento». Se da un voto negativo sulla riforma Boschi derivasse davvero un oltraggio al Parlamento, vorrebbe dire che il Parlamento è un’istituzione sana e da rispettare, meritevole di essere preservata nello stato in cui è ora, e quindi non potrebbe essere definita “uno straccio”, come invece l’ha definita Napolitano. E allora questa è la riprova che le armi di persuasione del fronte del “si” e del fronte del “no” appaiono a volte davvero improvvisate e sembrano offendere l’intelligenza degli italiani.
Con analoga obiettività non possiamo mancare di segnalare le giravolte di quanti, oggi schierati contro la riforma costituzionale e quindi per il “no” al referendum, hanno contribuito ad approvare quel testo in Parlamento, salvo poi rivedere la propria posizione solo perché timorosi di non essere ricandidati. Per carità, alcuni si sono pentiti in buona fede e hanno rivisto le proprie posizioni in modo genuino e ponderato, rileggendo le modifiche alla Costituzione inserite nella riforma Boschi, che finirebbero, secondo loro, per rendere l’Italia ancora più ingovernabile e per trasformare il Parlamento in uno “scendiletto” del governo, come ha evidenziato qualcuno.
Una commedia degli inganni e delle finzioni, come si diceva, con stucchevoli giochi delle parti che disorientano l’opinione pubblica e trasformano la campagna referendaria in una corrida. Il premier si trova probabilmente a suo agio nella contrapposizione frontale “uno contro tutti”, ma ora si sta anche rendendo conto che la personalizzazione del voto del 4 dicembre, come gli ha giustamente rinfacciato Napolitano, gli ha sin qui nuociuto. Ecco perché, dopo aver posto la fiducia sull’Italicum, è disposto perfino a rimangiarsi la parola sulla legge elettorale e a cancellare il ballottaggio, il premio di maggioranza alla lista e la regola dei capilista bloccati, pur di sedare la rivolta interna al Pd e convincere qualche indeciso del centrodestra. Tutte queste piroette hanno ben poco a che fare con la linearità e la trasparenza che i rappresentanti del popolo dovrebbero coltivare nel rapporto con l’opinione pubblica. A cominciare dagli ex Presidenti della Repubblica, che non dovrebbero esternare in modo così disinvolto, facendo dubitare a posteriori i cittadini della loro imparzialità e obiettività quando erano al Quirinale.