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IMMIGRAZIONE

L'improvvisazione europea genera muri

Il muro di Calais è già stato eletto a simbolo della disunione europea. Ma è l'effetto, non la causa di politiche di immigrazione fallite perché l'Ue si è mostrata divisa su tutto.

COMO, LETTERA DA UNA CITTA' DI FRONTIERA di Elisabetta Broli

Politica 09_09_2016
Il muro di Calais

Il muro che verrà costruito a Calais, pagato dal Regno Unito, dovrà servire a contrastare l'emigrazione clandestina verso la Gran Bretagna. E' già stato eletto a simbolo della disunione europea. Ma è l'effetto, non la causa di politiche di immigrazione che finora sono fallite perché l'Ue si è mostrata divisa su tutto. Non ha parlato con una voce comune, non ha concepito alcun progetto condiviso.

Dall’inizio del 2016, dalla rotta orientale (Egeo e Balcani) sono arrivati circa 162mila immigrati e rifugiati, dal Mediterraneo centrale (approdando sulle coste italiane) sono 70.500, dal Mediterraneo occidentale (Spagna) sono per ora 2.500. In tutto il 2015 si sono registrati quasi 1 milione di arrivi. I morti nel Mediterraneo, solo dall’inizio del 2016, sono quasi 3200. Nei primi sei mesi del 2016, quasi 300mila immigrati hanno chiesto asilo politico in Germania, quasi 40mila in Italia, 33mila in Francia, 22mila in Austria, 18mila in Ungheria, 17mila nel Regno Unito, 13.500 in Grecia, 13mila in Svezia, poco più di 8mila in Olanda. Il presidente dell’Unione Europea, Donald Tusk, ha dichiarato chiaro e tondo che l’Ue non riesce a reggere questa pressione. “La capacità europea di ricevere nuove ondate di rifugiati, per non parlare degli immigrati economici irregolari, sta giungendo al culmine” – ha dichiarato Tusk prima del G20 in Cina. Tusk ha chiesto al G20 di intervenire globalmente sulla questione dei grandi esodi, in un mondo in cui si calcolano almeno 65 milioni di persone in movimento. L’Europa, dunque, fronteggia una piccola parte di un fenomeno globale. Tuttavia è difficile che il suo appello abbia un seguito, poiché l’Ue stessa, al suo interno, non è riuscita a dare una risposta corale al problema.

Il muro di Calais è un piccolo tassello di questo mosaico. Riguarda la frontiera marittima fra la Francia e le isole britanniche. La massa di immigrati e rifugiati si è letteralmente stratificata in una baraccopoli ai margini del porto Calais dal 1999 (anno della guerra nel Kosovo) ad oggi. Diciassette anni di costruzione di una città che non esiste sulle mappe e che i locali chiamano semplicemente “giungla”, assistita da associazioni di volontariato, ma sempre ai limiti (o oltre i limiti) del controllo. E’ il simbolo del collo di bottiglia creato dai passaggi di frontiere ancora controllate e ora è completamente strozzato. Quest’estate ha raggiunto i 10mila abitanti, dopo lo sgombero parziale ordinato dal governo francese si è ridotto a “soli” 6000 circa. Camionisti e agricoltori sono esasperati, rischiano di subire violenze, ricatti e anche l’uccisione. Gli emigranti fanno di tutto per fuggire nel Regno Unito, anche a costo di perderci la vita: undici sono morti dall’inizio del 2016. E’ in queste circostanze che Francia e Gran Bretagna hanno allocato 17 milioni di euro per gestire l’ordine nel passaggio della frontiera. Di questi, due milioni e mezzo verranno spesi dal Regno Unito per costruire il muro. Secondo i progetti, sarà alto quattro metri, correrà per un chilometro lungo l’autostrada per Calais per tagliare fuori la “giungla”, per evitare che i clandestini diano l’assalto ai camion, nascondendosi dentro per potersi imbarcare.

La nuova barriera non è un caso unico. L’estate scorsa è stata l’Ungheria a fortificare la frontiera con la Serbia, per bloccare la rotta balcanica da cui arrivavano centinaia di migliaia di immigrati. Poi è stata la volta del valico del Brennero, chiuso dall’Austria, poi di Ventimiglia, chiuso dalla Francia. Adesso l’Austria annuncia la costruzione di una nuova barriera al confine meridionale, che sarà presidiata da 2200 militari. Insomma l’Europa appare sempre meno come uno spazio di libera circolazione e per questo i muri sono visti come l’espressione di una volontà di disfare l’Europa. Ma è la disunione europea che ha indotto i governi europei a erigere muri, non viceversa. In due anni di emergenza immigrazione, più quattro anni di avvisaglie (almeno dal 2011, anno delle primavere arabe), l’Ue non ha trovato una politica comune e non si è attrezzata.

Le sue leggi e le sue strutture erano adatte a un’immigrazione interna all’Europa e comunque non con questi numeri. La Convenzione di Dublino, che regola l’asilo politico, è datato 1990 (entrato in vigore nel 1997). Il Trattato di Schengen, che regola la libera circolazione delle persone è datato 1985, in piena guerra fredda, con la cortina di ferro ancora in piedi. Non erano previste ondate di immigrati di queste dimensioni, dalle sponde Sud e Est del Mediterraneo. I tempi e i modi della registrazione, del controllo e della verifica dello status di rifugiato sono concepiti ancora su piccoli numeri.

Dal 2014 in poi, l’Unione Europea ha trattato l’immigrazione di massa come un fenomeno sia umanitario (fuga di persone in cerca di rifugio, in condizioni disperate), sia criminale (tratta degli emigranti da parte di passatori e scafisti) ed ha agito di conseguenza. E’ stata dunque la volta dell’Italia con l’esperimento dell’operazione Mare Nostrum, chiusa proprio per mancanza di fondi europei e comunque controproducente nei suoi risultati. Poi è stata varata, nel 2015, l’operazione Sophia condotta dalla task force navale europea Eunavfor-Med, che dovrebbe contrastare il traffico degli scafisti. E infine l’operazione Triton, per la protezione della frontiera comune e anche il salvataggio degli immigrati nel Mediterraneo. I numeri mostrano che il traffico non è diminuito, così come non si sono ridotte le morti in mare.

Risultati ancora più magri per la capacità diplomatica europea di influenzare i paesi d’origine dell’immigrazione. La Libia è ancora divisa al suo interno dalla guerra civile, l’Ue non riesce ottenere un mandato dall’Onu per intervenire nelle sue acque e sulle sue coste. Benché vi sia un governo nazionale riconosciuto internazionalmente, questo non controlla tutto il paese. Gli Stati dell’Africa occidentale e del Corno d’Africa, da cui parte il grosso dell’emigrazione per il Mediterraneo centrale, hanno ricevuto dall’Ue quasi due miliardi di euro concessi dopo il vertice di La Valletta a Malta. Ma i risultati non si vedono. Due miliardi per tutto un continente sono bricioline se paragonati ai 6 miliardi promessi alla Turchia per tenere sul proprio territorio 3 milioni di rifugiati in fuga dalla Siria, dall’Iraq e da altri paesi mediorientali. Per ora l’accordo pare reggere, dell’Egeo si parla meno nelle cronache quotidiane. Ma un accordo con la Turchia, in questo periodo, è oggetto di ricatti politici (Ankara chiede la liberalizzazione dei visti anche se non ne rispetta le condizioni) ed è a rischio, vista l’instabilità interna del paese.

L’unico tentativo di gestire il flusso dell’immigrazione in Europa è stato il piano di redistribuzione dei rifugiati ai paesi europei. E’ fallito a causa delle resistenze opposte dal gruppo di Visegrad (Europa centrale), ma avrebbe funzionato? E’ difficile stabilire delle quote di emigranti e rifugiati dal momento che il numero è in continua crescita. In compenso, è sempre mancato un piano concertato di accoglienza, nei paesi di approdo, fra cui l’Italia. Non c’è mai stato un campo profughi europeo ai confini comuni, pagato e amministrato dall’Ue o dall’Acnur su richiesta dell’Ue. L’emergenza non è mai stata riconosciuta a livello europeo, ma lasciata alle iniziative nazionali, non sempre efficaci e trasparenti. E’ stato interesse dell’Italia e della Grecia lasciar transitare le masse di immigrati verso Nord, fuori dai propri confini. I paesi di transito, soprattutto nella rotta balcanica, registrano pochi clandestini e li lasciano passare in fretta. L’intenzione espressa da Angela Merkel di non rimandare i clandestini ai paesi di approdo, avrebbe dovuto essere un “esempio” per indurre questi ultimi a registrare tutti gli arrivi. La conseguenza non intenzionale del suo gesto è stata quella di attrarre un maggior numero di immigrati in Germania e indurre i paesi di transito (a partire dall’Ungheria e dalla Macedonia) a chiudere le frontiere.

E’ da questo genere di improvvisazioni che nasce “l’Europa dei muri”.

di Stefano Magni