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LA PAROLA DEL PAPA

L'impegno ecumenico è irreversibile

Non c'è nessuna svolta nelle parole di Benedetto XVI: il dialogo con le altre confessioni cristiane è una costante del suo pontificato.
- Il Vangelo va annunciato a tutti

Attualità 26_01_2011
Papa

Il modo sistematico e impegnativo con cui Benedetto XVI ha ribadito l'irreversibilità dell'impegno per l'ecumenismo in occasione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani del 2011, conclusa il 25 gennaio con la celebrazione ecumenica dei Vespri a San Paolo fuori le Mura, ha sorpreso qualche commentatore. Sono però semplici fantasie quelle secondo cui saremmo di fronte a una svolta o a una novità nel Pontificato di Benedetto XVI.

Chi pensa o scrive così ha dimenticato il primo messaggio del neo-eletto Pontefice, del 20 aprile 2005, in cui - tracciando un programma del suo pontificato, e dopo avere anzitutto richiamato lo sforzo per la corretta interpretazione e attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II - il Papa definiva suo «impegno primario», «ambizione» e «impellente dovere» la prosecuzione del cammino ecumenico. Cinque giorni dopo, il 25 aprile 2005 ribadiva a proposito dell'ecumenismo: «Sulle orme dei miei Predecessori, in particolare Paolo VI [1897-1978] e Giovanni Paolo II [1920-2005], sento fortemente il bisogno di affermare di nuovo l'impegno irreversibile, preso dal Concilio Vaticano II e proseguito nel corso degli ultimi anni».

Nessuna novità dunque, ma attuazione di un programma annunciato fin dal primo giorno del pontificato. La Bussola Quotidiana ha già dato conto dei primi interventi di Benedetto XVI nella Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani 2011, costruiti - come ha ribadito all'Angelus di domenica 23 gennaio - «su questi quattro “cardini”: la vita fondata sulla fede degli Apostoli trasmessa nella viva Tradizione della Chiesa, la comunione fraterna, l’Eucaristia e la preghiera. Solo in questo modo, rimanendo saldamente unita a Cristo, la Chiesa può compiere efficacemente la sua missione, malgrado i limiti e le mancanze dei suoi membri, malgrado le divisioni, che già l’apostolo Paolo dovette affrontare nella comunità di Corinto».

A chi obietta che, se forse avanza con gli ortodossi, con i protestanti il dialogo ecumenico è sostanzialmente inutile, il Papa risponde in modo articolato, ricevendo in Vaticano il 24 gennaio una delegazione luterana tedesca, dopo che - come La Bussola Quotidiana ha a suo tempo riferito - la settimana prima aveva ricevuto altri luterani, quella volta finlandesi. Ai tedeschi, che lo avevano salutato ricordando trent'anni di dialogo con lui, il Papa ha spiegato con un certo puntiglio che come teologo prima e vescovo e Pontefice poi in verità sta dialogando con i luterani non da trenta, ma da cinquant'anni.

Inutilmente? Il Papa ammette, discutendo in modo molto realistico con i luterani tedeschi, che non si è certo vicini all'unità: anzi, «la meta comune dell'unità piena e visibile dei cristiani oggi sembra essere di nuovo più lontana. Gli interlocutori ecumenici portano nel dialogo idee sull'unità della Chiesa completamente diverse. Condivido la preoccupazione di molti cristiani per il fatto che i frutti dell'opera ecumenica, soprattutto in relazione all'idea di Chiesa e di ministero, non vengono ancora recepiti a sufficienza dagli interlocutori ecumenici».

Nessuna illusione, dunque. Ma allora perché dialogare? Il Papa fornisce quattro buone ragioni. La prima è che un clima di cordialità non sostituisce certo l'accordo dottrinale, ma è una delle premesse perché di dottrina si possa almeno discutere. «Nonostante le differenze teologiche che continuano a esistere su questioni in parte fondamentali,  è cresciuto un "insieme" fra noi - dice il Papa ai luterani tedeschi - che diviene sempre più la base di una comunione vissuta nella fede e nella spiritualità fra luterani e cattolici. Quanto già raggiunto rafforza la nostra fiducia nel proseguire il dialogo perché soltanto così possiamo rimanere insieme lungo quella via che in definitiva è Gesù Cristo stesso».

In secondo luogo, il dialogo ecumenico costituisce una testimonianza comune di fronte a una irreligione sempre più aggressiva, che trae pretesto dalle divisioni fra Chiese e comunità per sostenere che nessuna religione è vera. Di fronte a queste «sfide del mondo contemporaneo» - così si è espresso il Papa nei Vespri del 25 gennaio - la divisione delle testimonianze non può, aveva detto il giorno prima ai visitatori venuti dalla Germania, che «recare loro danno», mentre si tratta insieme di «lottare a livello mondiale per le questioni fondamentali».

In terzo luogo, il dialogo permette alla Chiesa Cattolica di testimoniare in un clima cordiale ma fermo a favore dei principi non negoziabili su vita e famiglia, insistendo sul fatto che questi sono accessibili a tutti sulla base del semplice uso di ragione, e se del caso deplorando - ma senza rinunciare a spiegare, e a cercare di convincere - che alcune comunità protestanti si siano allontanate da tali principi. Senza sconti, però. «Fa piacere - ricorda ancora il Papa ai suoi interlocutori tedeschi - affermare che accanto al dialogo luterano cattolico internazionale sul tema "Battesimo e la crescente comunione ecclesiale", anche in Germania dal 2009  una commissione bilaterale di dialogo della Conferenza Episcopale e della Chiesa evangelica luterana tedesca  ha ripreso la sua attività sul tema: "Dio e la dignità dell'uomo".

Questo ambito tematico comprende in particolare anche i problemi sorti di recente in relazione alla tutela e alla dignità della vita umana,  così come le questioni urgenti della famiglia, il matrimonio e la sessualità,  che non possono  essere taciute o trascurate solo per non mettere a repentaglio il consenso ecumenico raggiunto finora». No, dunque, a un ecumenismo che non parli di aborto e matrimonio omosessuale solo perché sa già che su questi temi con alcuni protestanti si manifesterebbe un dissenso. Sì, invece, a un dialogo che affronti apertamente questi temi, non per cercare un minimo comune denominatore che non esiste, ma per portare l'interlocutore a riconoscere la verità della posizione che la Chiesa Cattolica sostiene con argomenti di fede e di ragione.

Ma, in quarto luogo, il motivo per cui l'impegno ecumenico è irreversibile è che la Chiesa, per quanto il compito appaia talora non solo difficile ma impossibile, lo percepisce come obbedienza alla volontà e alla chiamata di Dio stesso. È per questo che la Chiesa non si rassegna all'insuccesso, né si accontenta di successi parziali. «La ricerca del ristabilimento dell'unità tra i cristiani divisi non può pertanto ridursi ad un riconoscimento delle reciproche differenze ed al conseguimento di una pacifica convivenza: ciò a cui aneliamo è quell’unità per cui Cristo stesso ha pregato e che per sua natura si manifesta nella comunione della fede, dei sacramenti, del ministero. Il cammino verso questa unità deve essere avvertito come imperativo morale, risposta ad una precisa chiamata del Signore. Per questo occorre vincere la tentazione della rassegnazione e del pessimismo, che è mancanza di fiducia nella potenza dello Spirito Santo».

Bisogna essere molto chiari. Chi afferma di volere seguire il Magistero di Benedetto XVI, «cum Petro et sub Petro», non può escludere da tale Magistero l'ecumenismo, presentato dal Papa fin dal suo primo messaggio del 2005 come una delle colonne portanti del suo pontificato. Il Pontefice ci chiede di «essere grati» a Dio per l'ecumenismo, di credere che «il movimento ecumenico, [è] “sorto per impulso della grazia dello Spirito Santo” ([Concilio Ecumenico Vaticano II,] Unitatis redintegratio, 1)», che proseguire su questa strada è un «nostro dovere» da prendere in modo «serio e rigoroso».

Tutto si può dire meno che il Papa, in materia di ecumenismo, non abbia parlato chiaro. Ma non ci promette risultati. L'ecumenismo va perseguito da ogni fedele anzitutto «con la conversione del cuore e con la preghiera. Infatti, come ha dichiarato il Concilio Vaticano II, il “santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità di una sola e unica Chiesa di Cristo, supera le forze e le doti umane” e, perciò, la nostra speranza va riposta per prima cosa “nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e nella potenza dello Spirito Santo” (Unitatis redintegratio, 24)».