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EX JUGOSLAVIA

L'"idiozia politica" di Emir Kusturica

Il volto segreto del bravo regista: gran-serbo, e vabbè, ma sopra le righe nell'omaggiare il criminale Karadzic e ambiguo con le etnie.

Cultura 30_07_2011
Emir Kusturica

Lontano dal rivelare doti letterarie di un qualche valore, l’autobiografia scritta dal regista Emir Kusturica, Dove sono in questa storia (Feltrinelli), lascia per più versi interdetti. Per certe pagine e certo modo di disegnare personaggi e situazioni, recuperate in particolare dalla memoria dell’infanzia a Sarajevo, sembrerebbe voler omaggiare il Federico Fellini di Amarcord, a lui tanto caro. Per altre, molto più seriose e decisamente "politiche", veste i panni, ancor oggi, dopo sedici anni dagli accordi di Dayton, dell’uomo che fece allora e rinnova ora una scelta, che, s’intenda bene, non è politica, ma etnica: nato a Sarajevo e di famiglia musulmana, è fiero di potersi dire serbo. Non è un caso che queste ultime siano le pagine centrali del libro, quelle raccolte nel capitolo che dà il titolo al libro, e soprattutto siano quelle che raccontano lo scoppiare della guerra in Bosnia Erzegovina dopo la dichiarazione d’indipendenza del 1992.

Il libro è abilmente costruito per non oltrepassare il confine del "politicamente corretto": neppure una parola sul massacro di Srebrenica, Radovan Karadzic viene citato poche volte e senza particolare enfasi, dell’idea di Grande Serbia, cui pure il regista tiene molto, non c’è praticamente traccia. Ma si sa, qualche volta basta un dettaglio che rivelare un mondo, basta una pietra marcia per far crollare un intero muro. E in Kusturica questo dettaglio consiste nella definizione più volte ricorrente di "etnia musulmana" (con la variante "gruppo etnico dei musulmani"), così che il regista può permettersi di accostare "musulmani, serbi e croati", laddove la connotazione religiosa riservata ai primi si confonde con l’appartenenza etnica degli altri. Ci si potrebbe consolare, e dunque soprassedere a tali obbrobri, pensando a come lo stesso Kusturica denunzi, in conclusione di libro, la propria "idiozia politica" (la stessa probabilmente che ha mosso i popoli dell’ex Jugoslavia a scannarsi tra loro).

Ma il bravo regista è furbo nel mischiare le carte (nel libro esalta a lungo lo scrittore Ivo Andric, che definisce «il mio eroe, croato di nascita, serbo per vocazione», confondendo ancora una volta etnia e scelta religiosa). Ed è altrove, non in quest’autobiografia, che si possono trovare spunti interessanti. La canzone Wanted Man, per esempio, è stata dedicata da Kusturica a "Raso Dabi?", il nome di copertura di Karadzic, il politico e psichiatra bosniaco con origini serbe ricercato per quasi tredici anni per crimini compiuti durante l’ultima guerra nei Balcani e infine arrestato nel 2008. Nei concerti poi, dove viene accompagnato dalla sua No-Smoking Orchestra, Kusturica non manca mai di dirsi contrario all’indipendenza del Kosovo e di esaltare l’ideale della Grande Serbia. La sua stessa conversione (ha ricevuto il battesimo ortodosso con il nome di Nemanja nel 2005) il tempo ha dimostrato essere motivata da fattori più nazionalistici e razziali, che religiosi. A Drvengrad, il villaggio da lui appositamente costruito per il suo film La vita è un miracolo, tutto è di pura etnia serba e non manca neppure l’omaggio a Karadzic, raffigurato in un quadro del russo Andrei Budajew, esposto nel museo etnografico del villaggio.

Di questo Kusturica in Europa e negli USA si conosce poco o nulla. Così come poco o nulla è trapelato di quanto avvenuto lo scorso ottobre al 47° festival del cinema Alt?n Portakal (ovvero Arancia d'Oro), in Antalya, in Turchia. Chiamato a far parte della giuria, Kusturica ha deciso di abbandonare il festival a seguito delle forti critiche mossegli in particolare dalle associazioni di donne bosniache presenti in Turchia e dal regista turco Semih Kaplanoglu, autore del film Bal. L’aver dichiarato in quell’occasione, per difendersi, di aver sempre lottato per la Jugoslavia unita risuona oggi davvero come una conferma della sua "idiozia politica".