SCENARI
Libia nel caos, a pagare è l'Italia
Migrazione ma non solo. La rivoluzione libica avrà ripercussioni sull'economia e sull'energia.
- Il Gheddafi dimenticato, di A. Camaiora
Attualità
23_02_2011
La situazione che si è creata, e di cui è peraltro difficile prevedere l’evoluzione, vede comunque l’Italia come il paese maggiormente a rischio per le ricadute economiche e sociali.
I problemi possibili sono infatti molteplici.
In primo piano c’è il possibile esodo dalla Libia sia di cittadini libici, sia dei moltissimi lavoratori di altre nazioni, che avrebbe come sbocco naturale le isole (Lampedusa innanzitutto) e le coste italiane. Negli ultimi mesi gli accordi tra Roma e Tripoli erano riusciti a bloccare i barconi degli emigranti. Ma ora e sicuramente per molte settimane il Governo di Tripoli (qualunque esso potrà essere) avrà certamente problemi ben più pressanti che non il pattugliamento delle coste: anzi è possibile che l’esodo possa essere addirittura facilitato e promosso.
Non bisogna poi dimenticare che dalla Libia proviene una parte significativa del gas e del petrolio consumati in Italia. Se è vero che la Libia produce solo il 2% della produzione Opec, è altrettanto vero che da quasi dieci anni è il nostro principale fornitore di greggio, e il quarto di gas. Nel 2010 Tripoli ha esportato in Italia 18,1 milioni di tonnellate di greggio, una quantità pari al 20-23% del nostro import complessivo, importante anche per la Libia perché ha costituito un terzo del suo export.
Se per l’immediato non ci sono problemi perché l’Italia ha le proprie scorte e può comunque attivare gli accordi di compensazione con gli altri paesi europei, nel medio termine la situazione si potrebbe complicare sia sul fronte dei prezzi (che sono già aumentati a livello internazionale), sia sul fronte dei rifornimenti.
Gli accordi stipulati negli ultimi anni hanno rafforzato i legami tra le due sponde del Mediterraneo anche sul fronte finanziario. La banca centrale libica e alcuni fondi riconducibili comunque al governo di Tripoli sono entrati in modo massiccio in alcune società italiane, in particolar modo in Unicredit (con una partecipazione di oltre il 7%), in Fiat, in Finmeccanica oltre a presenze più discrete in Enel e in Eni.
Ma accordi sono in corso anche tra grandi imprese di impiantistica e costruzione, come la stessa Eni ed Impregilo, per la realizzazione di infrastrutture ed opere pubbliche.
C’è quindi un intreccio profondo di interessi, ma anche di contrasti. Anche perché l’Italia ha avuto il controllo coloniale della Libia dal 1911 alla fine della seconda guerra mondiale, ma poi ha mantenuto un forte legame anche economico fino a che è rimasto al potere la monarchia di re Idriss, e cioè fino al settembre ’69. Il colpo di stato militare di Gheddafi ha portato con se anche un’economia a stretto controllo statale e la cacciata dei molti italiani che ancora vi vivevano.
Sulla spinta degli interessi economici e con la volontà di chiudere i conti con il passato vi è stata poi un graduale riavvicinamento, cercato sia dai governi di centro-destra, sia da quelli di centro-sinistra, che ha avuto tuttavia il suo punto più alto con le visite di Gheddafi a Roma con Berlusconi e la firma di un grande accordo di amicizia.
E’ lecito pensare che tutto quanto avvenuto fino ad ora possa essere spazzato via da questa imprevedibile rivoluzione. Anche se Gheddafi resterà al potere. Perchè non a caso il colonnello ha accusato solo Italia e Stati Uniti di aver fornito le armi e i razzi ai ribelli. E prospettive non certo più tranquille possono venire da un eventuale nuovo governo influenzato dai fondamentalisti islamici.
Per l’Italia quindi le ripercussioni rischiano di essere fortemente negative. Come ha dimostrato la pesante reazione della Borsa che ha vissuto nei giorni scorsi alcune tra le sue peggiori giornate. Con la triste realtà di un regime che ha già fatto centinaia di vittime. Mentre noi non possiamo che stare a guardare.