Libia, molto fumo ma nessuna azione concreta
Tanto fumo e niente arrosto nel dibattito sulle possibilità di intervenire in Libia, per fermare il flusso degli emigranti clandestini e tenere d'occhio l'Isis. Tanti proclami e dichiarazioni di intenti, ma l'unica ipotesi concreta, quella della creazione della fascia di sicurezza in Libia è proprio quella che viene scartata a priori.
Se non ci fossero in ballo la sicurezza nazionale dell’Italia e la vita di così tante persone farebbe davvero sorridere il dibattito sollevato in Europa dall’ennesima strage di migranti nel Canale di Sicilia di cui ancora non è certo il tragico bilancio stilato da alcuni intorno ai 700 o addirittura 900 morti. Non ci sarebbe da stupirsi se i numeri fossero volutamente gonfiati dal momento che l’obiettivo condiviso di trafficanti e immigrati è di creare le condizioni, sull’onda emotiva dei morti in mare, per la ripresa dell’operazione di soccorso Mare Nostrum che consentì ai criminali libici di ridurre i costi delle traversate aumentando gli incassi e favorendo l’attraversamento del Mediterraneo dei clandestini.
Al di là di queste considerazioni circa le speculazioni dei trafficanti sulla pelle dei migranti dal dibattito sviluppatosi in Italia e in Europa non sembrano emergere soluzioni concrete al problema. Vediamo alcune ipotesi. "Sia un'operazione di polizia internazionale, sia ricorrere alla risoluzione Onu che prevede raid aerei sono opzioni che non possono essere prese in esame" ha detto il Sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, intervenendo a Radio24 in merito all'idea di estendere la risoluzione Onu, che permette di fare raid aerei in Siria e Iraq in funzione anti Isis, anche alla Libia, colpendo i barconi prima della partenza stroncando il fenomeno sul nascere.
"E' evidente che in questo momento il problema maggiore è quello di dichiarare guerra agli scafisti. In questa opzione abbiamo varie possibilità, ma qualsiasi operazione rischia di essere un atto di guerra verso la Libia, a meno che questo non avvenga sotto un'egida carattere internazionale". L’Italia però è più che legittimata a difendere i propri interessi nazionali e non è certo costretta ad attendere Onu e Ue per farlo. L’alibi dell’egida internazionale può reggere se si parla di attuare una missione che preveda una presenza militare costante sul suolo libico ma per risolvere il problema immigrazione a Roma basta attuare una serie di “respingimenti assistiti” che già in più occasioni propugnati dalla NBQ.
Si tratterebbe di schierare la flotta a ridosso delle coste della Tripolitania da dove salpano i barconi per bloccarli una volta in mare, mettere in salvo i migranti e sbarcarli su un tratto di costa messa in sicurezza dalle navi e da reparti di fucilieri di Marina sbarcati solo il tempo necessario a completare le operazioni. Per il sottosegretario Rossi un blocco navale come quello propugnato dalla Lega Nord "è di fatto illegittimo, sarebbe una dichiarazione di guerra verso uno stato sovrano” ma la Libia non è più uno Stato e la sua sovranità è affidata a due governi in guerra tra loro e a 300 milizie.
L’Italia avrebbe quindi il dovere di tutelarsi contro i danni provocati da uno “Stato fallito” senza dover attendere che l’intera Africa assomigli alla Svizzera per risolvere l’emergenza immigrazione. "Il blocco navale davanti alle coste libiche è come una medicina che attutisce il sintomo, ma non cura la malattia" sostiene l'analista italo-libico Karim Mezran, membro del think thank americano Atlantic Council. Questa misura - ha dichiarato Mezran, parlando con ANSAmed a margine di un incontro presso l'Istituto affari internazionali di Roma - non porta a nessuna soluzione del problema. Si tamponerebbe questo esodo per un po' ma il punto vero è il controllo del territorio libico. Fintanto che sarà una 'terra nullius', un luogo che non appartiene a nessuno, in cui chiunque possa passare, queste organizzazioni criminali continueranno a portare qui i migranti”. Valutazione certo non priva di fondamento ma che ci rimanda alla necessità dell’Italia di fermare i flussi migratori e alla contemporanea incapacità di Roma di risolvere da sola la crisi libica.
In ambito Ue si è discusso ieri un programma in 10 punti proposto dall’Alto commissario per i Migranti Dimitris Avramopoulos che prevede anche il rimpatrio dei non aventi diritto all’asilo e la distruzione dei barconi. Ma come? Distruggerli sulla costa richiede incursioni aeree o attacchi effettuati dal mare o con truppe da sbarco e forze speciali: operazioni rischiose che nessun Paese europeo sembra disposto ad effettuare. Nemmeno l’Italia dove il premier Matteo Renzi ha definito l’ipotesi di bombardare i barconi una valutazione da “professionisti dei talk show”. Incontrando il premier maltese Joseph Muscat , Renzi ha ribadito che l'intervento militare in Libia "è un'ipotesi che non è sul tappeto".
Per comprendere la confusione in atto nel governo italiano, il ministro degli Interni Angelino Alfano si è invece detto a favore di azioni mirate in Libia, in particolare per "il sequestro e l'affondamento dei battelli dei trafficanti". Si tratterà, ha precisato, di "un'azione europea forte, mirata e rapida, e se è necessaria la copertura dell'Onu per attuarla, occorrerà lavorare immediatamente per ottenerla". A chi chiedeva i particolari di questa iniziativa militare dell'Ue, che dovrebbe essere simile alla missione antipirateria Atalanta, al largo del Corno d'Africa, Alfano ha risposto che "dovrà essere valutata e decisa dal vertice Ue", che è stato convocato in una riunione straordinaria giovedì prossimo a Bruxelles, e che è "un risultato della politica italiana".
Tra le tante proposte spicca quella suggerita dall’europarlamentare PD (ed ex ministro) Cecile Kyenge che vorrebbe una “Mare Nostrum europea a guida italiana” utile solo ad aumentare i flussi migratori illegali. Se infatti vi fossero più navi col compito di imbarcare clandestini il rischio di naufragi non svanirebbe ma i flussi aumenterebbero mandando in tilt le capacità di accoglienza dell’Italia che resterebbe comunque l’unico Paese dove i migranti verrebbero accolti. Al di là delle chiacchiere non sembrano quindi esserci all’orizzonte soluzioni chiare, pragmatiche e a breve termine.