Libia, l'Isis perde Sirte. Ma la guerra continua
Dopo 7 mesi di battaglia, le milizie fedeli al governo di Tripoli riconquistano Sirte, sconfiggendo l'Isis. Ma gli jihadisti, presenti a migliaia nel paese, si stanno riorganizzando a Sud e a Bengasi. Ed è tutt'altro che risolto il conflitto civile fra l'Esercito Nazionale di Haftar, che avanza da Est, e le milizie di Tripoli.
Sirte alla fine è caduta, dopo 7 mesi di resistenza dei miliziani dello Stato Islamico, che non si può non riconoscere come eroica considerato che hanno sempre combattuto in inferiorità numerica e senza possibilità di ritirata. I combattenti del Califfato presenti nella città che diede i natali a Muammar Gheddafi sono stati stimati in un migliaio dei 5/6 mila attributi agli organici dell’IS nella ex colonia italiana; le milizie di Misurata e le altre fedeli al governo di Tripoli guidato da Fayez al-Sarraj, che hanno partecipato all’assedio, hanno schierato forze fino a 10 volte superiori.
Gli uomini delle milizie libiche hanno annunciato martedì di aver riconquistato Sirte, riuscendo a eliminare i jihadisti dagli ultimi edifici in cui si erano asserragliati anche se i combattenti di Misurata stanno "dando la caccia agli ultimi jihadisti, nascosti in una decina di case" nel quartiere di al-Giza al-Bahriya, riferisce un comunicato. Foto postate su Facebook mostrano scene di gioia dei vincitori e della popolazione locale. Nelle istantanee i miliziani, assembrati in quella che un tempo è stato il luogo delle crocifissioni el-Zaafarane, innalzano le bandiere tricolori, sorridono e fanno il segno di vittoria. Diverse fonti invitano però alla cautela. "E' l'ultima grande battaglia, ma non è la fine delle operazioni militari, né la dichiarazione di liberazione" ha commentato il responsabile del media center, Ahmed Hadiya.
L'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Martin Kobler, ha riferito al Consiglio di Sicurezza che la lotta al terrorismo ha prodotto dei risultati in Libia, ma che questi risultati non sono irreversibili. Colpi contro i terroristi sono stati assestati sia a ovest che a est del paese e che a Sirte lo Stato islamico è stato sconfitto. "Sebbene esso continui a rappresentare una minaccia sono finiti i giorni in cui l'Isis controllava il territorio in Libia. Mentre a Bengasi l'esercito nazionale libico continua a fare progressi prendendo zona dopo zona", ha detto Kobler.
La battaglia per la riconquista di Sirte è costata la vita ad almeno 700 miliziani (oltre 3.500 i feriti) e ad un numero imprecisato di jihadisti. Dal 1° agosto l'offensiva è stata appoggiata dai bombardamenti statunitensi (droni Reaper, cacciabombardieri Harrier ed elicotteri Super Cobra) che hanno effettuato 22 raid aerei il 2 e 3 dicembre scorsi contro 63 obiettivi dello Stato islamico secondo quanto riportato dal Comando Usa per l’Africa (Africom) per un totale di 492 raid in quattro mesi. La battaglia di Sirte era ufficialmente iniziata il 12 maggio e la fase finale dell’offensiva era scattata il 21 novembre: la caduta della città non significa tuttavia la fine della presenza dell’Isis in Libia. L’organizzazione è ancora attiva in forze a Bengasi, dove viene contrastata dall’Esercito Nazionale Libico del maresciallo Khalifa Haftar, mentre molti jihadisti che hanno lasciato Sirte si sono in gran parte trasferiti nel sud, nel cosiddetto triangolo del Salvador, la zona, nei pressi di Sebha, al confine tra Libia, Algeria e Niger. Africom, del resto, ha già mobilitato i suoi mezzi aerei per dare la caccia ai miliziani anche a sud di Sirte.
Il ridimensionamento della minaccia dello Stato Islamico non sembra però avere un effetto stabilizzante sulla Libia. A Tripoli dopo gli scontri dei giorni scorsi resta alta la tensioni tra e milizie d-fedeli ad al-Sarraj e quelle islamiste vicine all’ex premier Khalifa Ghwell, tornato nella capitale con l’appoggio di Salafiti e Fratelli Musulmani per contrastare il debole premier voluto e “imposto” dall’ONU. La caduta di Sirte ha inoltre permesso alle milizie legate al ministro della Difesa di Tripoli, al Mahdi al Baraghuthi, alle Brigate di difesa di Bengasi filo-islamiste e all'ex capo delle guardie dei siti petroliferi, Ibrahim Jadharan (queste ultime cacciate da Haftar dai terminal della “Mezzaluna petrolifera”), di liberare dall’Isis altre aree costiere a est della città, come le cittadine di al Nawafiliya e Ben Giauad.
Secondo l'emittente televisiva satellitare al Arabiya, queste milizie si avvicinano ai terminal di greggio della zona della “mezzaluna” ora in mano all' Esercito nazionale Libico di Haftar. I media libici riferiscono di un raid aereo condotto dai caccia fedeli a Haftar ad una colonna di mezzi delle milizie avversarie. Il riaccendersi degli scontri tra forze di Tripoli e di Tobruk per il possesso dei terminal determinerebbe la ripresa della guerra civile e bloccherebbe il processo di riavvio dell’export petrolifero libico riavvisto faticosamente da poche settimane.