"Lgbt" è riduttivo
Un'associazione di genitori di figli omo e transessuali fa notare che ridurre la persona al proprio orientamento sessuale è svilente.

L’associazione AGAPO-T, Associazione di Genitori e Amici di Persone Omosessuali e Transessuali, ha svolto una interessante riflessione in merito alla recente Assemblea sinodale della Chiesa italiana, dal titolo Sinodo: l’uso della sigla LGBTQ+ è davvero inclusivo?: «tra le principali critiche mosse [dalla base del Sinodo] vi sarebbe stata la mancata inclusione esplicita della sigla LGBTQ+ nel testo. […] Se l’obiettivo dichiarato del Sinodo è l’inclusione delle persone con orientamenti sessuali e identità di genere differenti, è lecito domandarsi se la sigla LGBTQ+ riesca davvero ad abbracciare la complessità delle esperienze personali. Nata per dare visibilità a realtà eterogenee, la sigla ha finito per acquisire un valore quasi istituzionale, diventando per alcuni una sorta di “marchio identitario”. Ma come intenderebbe la Chiesa relazionarsi con coloro che, pur essendo omosessuali, non si riconoscono in tale sigla? Con chi non intende definire la propria identità personale partendo dall’orientamento sessuale, indipendentemente da come lo sperimenta o cerca di viverlo?
[Esistono] persone che vivono i propri sentimenti verso lo stesso sesso con discrezione, senza considerarli l’elemento fondante della propria identità, e che non si sentono rappresentate da una sigla percepita come limitante. Anche queste persone meritano attenzione, cura pastorale nella vita della Chiesa».
La riflessione non entra nel merito del giudizio morale sull’omosessualità ma mette in evidenza un grave difetto della propaganda LGBT che pare interessare anche la Chiesa: ridurre la persona al suo orientamento sessuale. Per paradosso così facendo la persona perde d’identità perché tutto il suo essere finisce concentrato nell’orientamento. Una svalutazione della persona. Ma quest’ultima è molto di più.