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L'INTERVISTA

L'ex soldato afgano e la triste verità sull'invasione

La Nuova BQ intervista Farhad Bitani, rampollo del regime afgano ed ex jihadista che dal 2012 vive da esule dopo una conversione. Del suo Paese mette in rilievo la grande corruzione dei vertici politici e militari e il fiume di danaro e droga che scorre tra le mani dei potentati. E all'Italia lancia un monito: «Attenzione perché l’islam non è sorvegliato, non c’è controllo sui soldi che girano intorno alle  moschee. Vi accontentate di fare incontri di dialogo ma servono a poco».

Ecclesia 04_04_2017
Farhad Bitani

31 anni, capelli neri, pelle leggermente bruna, un volto sereno e cordiale: Farhad Bitani, un  giovane che vive in Italia dal 2012, esule volontario dal suo paese, l’Afghanistan, dove è nato e cresciuto attraversando regimi diversi ma “senza mai  vedere un giorno di pace”. Figlio minore di una famiglia molto potente, segue la carriera militare. Frequenta politici e leader musulmani, amici del padre. Con i suoi amici vive negli agi e nel potere che gli deriva dal nome. Con loro vede praticare e pratica lui stesso violenze e sopraffazioni, poi la svolta. Comprende che quella vita non è giusta, lascia famiglia e patria e chiede asilo politico in Italia.

Ha ancora contatti con l’Afghanistan? Con la sua famiglia?

Sì e no. Cambiare vita, lasciare il mio posto di potere, ricchezza, privilegi, ha voluto dire tagliare i rapporti con tutti i capi dei mujaheddin, con i politici, ma ho ancora tanti amici. Con la mia famiglia mantengo rapporti anche se non sono più buoni come un tempo, loro sono una delle famiglie più in vista del Paese, io sono un traditore e questo complica tutto. Però metà famiglia è in Afghanistan, metà in diverse parti di mondo. Anche mio padre, che ha avuto gravi problemi di salute, pur vivendo in Afghanistan spesso è negli Stati Uniti o a Dubai per le cure.

La situazione socio-politica attuale?

La nostra situazione è molto complessa. L’Afghanistan è il cuore dell’Asia, essere in Afghanistan vuol dire controllare l’Asia e per questo nessuno vuole veramente la pace. Controllare il mio Paese vuol dire avere il controllo su Cina, India, Russia, siamo in una delle posizioni strategiche più importanti del mondo. Già nel XIX secolo siamo stati il crocevia di interessi internazionali. L’Afghanistan oggi è un campo di calcio perché intorno a noi si sta combattendo una vera e propria guerra fredda fra Russia, Iran, Cina…

Restando in Afghanistan l’Occidente ha un potere in Asia che non vuole perdere. Fanno finta che ci siano tanti talebani. In verità sanno benissimo che se volessero in un anno, forse meno, tutti i talebani sparirebbero. In tanti anni non si è risolto nulla perché non c’è la volontà di farlo. L’Occidente ha speso 120 miliardi di dollari nel mio Paese ma sa benissimo che il 90% è finito nelle tasche dei politici, dei capi clan, dei leader dei talebani compresi. Questi soldi non sono certo serviti ad aiutare il mio popolo. Tutti sanno che la corruzione è un fenomeno macroscopico ma a voi va bene così. Tutti sanno che molti capi clan si schierano da una parte o dall’altra solo per un gioco di parti, perché così si mantiene una divisione del potere interno e si può continuare ad aumentare il proprio potere, il proprio sfruttamento della gente.

In Afghanistan circola molto denaro. Non solo quello che proviene dall’Occidente e dagli USA ma anche quello derivante dalla produzione e dal commercio della droga.

Non faccio mai nomi ma ci sono stati vice-presidente, vice-ministro, capi militari… tra i più grandi trafficanti di droga. Loro hanno in mano il potere e controllano la droga. E’ sempre stato così. L’islam vieta l’uso della droga ma molti capi musulmani usano la droga e si arricchiscono sul suo commercio internazionale. Ci sono anche organizzazioni internazionali che trafficano ma sempre in contatto con i nostri capi.

Non solo la droga genera corruzione, anche le migliaia di appalti che si sono fatti e si continuano a stipulare. Anche gli Italiani hanno gestito appalti molto grossi. E poi c’è il traffico delle antichità. Il mio paese è ricco di reperti archeologici ed opere d’arte che sono molto ambiti sul mercato internazionale. 

Nel suo libro accenna alla presenza, durante il suo corso alla Scuola di Applicazione Militare di Torino, di coetanei molto legati ad ambienti radicali del suo Paese. Gli Alti Comandi ne erano a conoscenza?

Tra Italia e Afghanistan c’è un accordo per cui ogni anno 50 giovani ufficiali vengono a studiare all’Accademia di Modena e poi a Torino. Questo ha un costo alto per il vostro Paese. Di solito ottengono questi posti i figli di ufficiali o politici importanti, persone che hanno anche altri affari in Italia. Chi riesce ad ottenere di venire a studiare sa che ci viene non per meriti suoi  e sa anche che non dovrà affrontare nessuna selezione. Il nome che porta gli assicura il posto e lo scatto di carriera appena torna a casa. I pochissimi che vengono veramente per studiare, una volta a casa restano nelle retrovie. Molti di questi ragazzi sono “fondamentalisti” e figli di leader talebani o mujaheddin.  Arrivano qui pieni di odio verso gli Occidentali. Non rispettano alcuna regola, neanche le più elementari come il saluto militare verso i superiori. Sanno di essere al riparo da ogni punizione. Dicono apertamente di voler sterminare tutti gli infedeli. Alcuni di quelli che erano nel mio corso oggi sono jihadisti e ne conosco che sono stati arrestati per attentati contro gli Americani. Qui usano le tessere militari, comprano binocoli avanzati, giubbotti antiproiettile per portarli ai “loro fratelli talebani”.

Perché tanta incoerenza? Proprio i talebani che hanno imposto, e vorrebbero ancora imporre, leggi finalizzate ad un rispetto delle più minute regole coraniche, si concedono poi l’uso di quanto pubblicamente proibiscono?

La maggior parte è musulmana senza essere musulmana.  Molti non conoscono nessun vero Dio, usano la religione per il proprio potere.

Conosco tanti che possiedono ville, sfruttano giovani ragazze, talora anche dei bambini, per il loro piacere, bevono, si drogano ma in pubblico compaiono sempre e solo con abiti immacolati, barbe lunghe, dhikr (cordicella a grani per la recita dei 99 nomi di Allah) in mano, diffondono l’idea che  vivono miseramente e in perfetto ossequio del Corano. E’ un modo per impressionare la gente e per ottenere il loro rispetto e la loro ubbidienza. Le leggi rigorose servono come arma di controllo e di repressione.  Dal 1979 non c’è un uomo importante, politico o militare, che abbia lottato per Dio in Afghanistan. Il popolo vive nel nulla, nell’ignoranza e nella paura.

Ma perché allora fare il jihadista? E’ faticoso, rischioso.

Fare il jihadista è facilissimo. Nessun uomo potente, nessun figlio di persona illustre fa la guerra in prima linea. Vanno in giro, si fanno vedere pii e devoti, rigorosi per qualche giorno e poi spariscono in India, a Dubai o altrove. Il 20% dei jihadisti afghani risiede abitualmente in Dubai. Giocano una partita a tavolino. Ottengono potere e corrompono anche gli Occidentali: dammi qualcosa e i tuoi soldati non saranno attaccati, non accetti e allora scateno l’attacco contro la tua postazione. Ma loro sono lontani, all’attacco vanno persone del popolo che sono cadute nell’illusione di fare un’opera meritoria.

Come giudica la presenza italiana?

La presenza italiana si distingue fra tutte. Le vostre truppe non usano la violenza. I vostri soldati prima di partire seguono un lungo percorso di formazione e la vostra politica segue i propri interessi, ma non sposa la forza. E’ una presenza però poco utile. Spende molto, costruisce (e molti su questo ci guadagnano) ma potrebbe fare molto di più educando. L’educazione è la prima, forse l’unica arma che si deve usare in Afghanistan.

Ma attenzione a non cadere nell’inganno delle grandi organizzazioni internazionali: queste stanno a Roma a parlare di povertà del popolo afghano davanti a bottiglie da 200 euro l’una, raccolgono fondi che al 98% spendono per mantenersi. Nessuno aiuta davvero, a parte qualche povera suora o qualche medico volontario che rischia davvero la vita ogni giorno. 

Vede un pericolo per l’islam italiano?

L’islam qui vive bene ma quando manca la voglia di lottare per il bene cresce l’odio. In carcere tanti crescono accanto all’odio, lasciano crescere dentro di loro l’odio e così nasce la radicalizzazione. Dovete fare attenzione perché qui non ci sono controlli, l’imam non è sorvegliato, non c’è controllo sui soldi che girano intorno alle  moschee. Spesso vi accontentate di fare incontri di dialogo ma servono a poco. Importante è far crescere un islam puro e in questo un grande aiuto può essere Papa Francesco. Lui impressiona molti. Ma ripeto, si devono controllare i soldi: quando entrano loro entrano anche interessi che poi dominano. 

L’islam pericoloso è quello della seconda generazione. Tanti sono nati qui ma sono cresciuti in una realtà vuota e quindi cercano soddisfazione altrove. La scuola ha una grande sfida ma deve saperla gestire. 

Immigrazione. Cosa può dire a proposito?

La vostra accoglienza è senza progetto. Grande generosità ma in fondo è ingiusta perché si accolgono tanti senza poter poi garantire un futuro. E questo può fare da base per il fondamentalismo. E poi intorno all’immigrazione girano tanti, tantissimi appalti. Attenzione alla Libia, è una pista pericolosa. Occorre un accordo che pacifichi il territorio ma soprattutto che sia un accordo condiviso con il popolo libico e non imposto dalla diplomazia occidentale.

E lei? Il suo futuro?

Sono cresciuto come un soldato afghano, oggi sono un soldato di Dio. Lavoro per educare, per dire cose scomode ma che devono essere conosciute. Dopo aver dato alle stampe il suo primo libro L'ultimo lenzuolo bianco sta per uscire un mio nuovo libro, in italiano e in spagnolo: I diversi colori del Paradiso. Ho lasciato il fucile a favore della penna e della parola per aiutare il mio popolo.