L'Europa, secondo Steve Bannon, ricomincia dall'Italia
Steve Bannon tesse le lodi del governo Conte. Secondo lo stratega della vittoria di Donald Trump, l'uomo più odiato dai media, l'Italia sta sperimentando una nuova stagione politica. Con la sua fondazione The Movement, mira a formare una coalizione di partiti sovranisti che nel 2019 vada al Parlamento Europeo per riformare l'Ue.
Il governo Conte sta incassando critiche da tutte le direzioni, a destra e a manca e da tutti gli altri governi europei, da Juncker al “populista” premier austriaco Kurz. Da tutti, tranne che da un uomo che non ha niente da perdere, perché tanto è già demonizzato a sua volta: Steve Bannon. L’ex stratega di Donald Trump, ha rilasciato ieri un’intervista al Corriere della Sera in cui tesse le lodi dell’esecutivo italiano e della coalizione Lega-M5S che lo sostiene. Ma al tempo stesso suggerisce una strategia che corregge l’attuale linea economica e può essere la base di un prossimo programma dei “sovranisti” nelle prossime elezioni europee.
Bannon, che ha divorziato in malo modo dall’amministrazione Trump, ora gira per l’Europa, con la tacita benedizione del presidente americano, per formare una coalizione di movimenti sovranisti. Considera l’Italia come “il centro dell’universo politico”, una sorta di esperimento di un nuovo soggetto che poi andrà in Europa. Vede in Salvini che lavora assieme a Di Maio un “Trump che lavora assieme a Bernie Sanders”, il candidato dell’estrema sinistra democratica. In questa fase di estrema sfiducia dei mercati nei confronti della manovra proposta dal governo Conte, Bannon resta possibilista e dice semplicemente che i nuovi leader italiani si “stanno facendo le gambe” (“Sea legs”, in gergo marinaresco). Quanto ai contenuti della manovra, per lo stratega elettorale americano il problema non è il deficit in sé, ma per cosa verrà usato. Pur non lasciandosi andare a una critica esplicita al M5S si capisce da che parte pende: puntare sulla flat tax, che cita come uno degli “elementi di un’agenda per la crescita”. Grazie al taglio delle tasse, pur se effettuato in deficit, Donald Trump ha innescato una crescita record negli Stati Uniti. Secondo Bannon, il primo impegno di un governo italiano è proprio quello di incoraggiare le nostre migliori menti e le persone più produttive a lavorare in Italia, mentre adesso stanno andando tutti all’estero. “Uno dei problemi più grossi è la diaspora”, dice al pubblico italiano.
Quanto alle proposte più assistenziali, lo stratega conservatore ricorda che “…date le condizioni finanziarie dell’Italia, devi fare i conti con una serie di fatti spiacevoli e uno di questi è che i mercati globali dei capitali e in particolare l’Ue hanno un voto. Bisogna rendersi conto che ce l’hanno. La buona notizia è che non hanno il voto finale”. Quindi, coraggio, ma con realismo. E niente fughe in avanti sull’euro: “Fuori dall’euro? No, ascolti: questa è roba per un altro giorno. Ora devono fare un bilancio che si focalizzi sulla crescita…”. Ribadisce che l’obiettivo dei partiti sovranisti è quello di “riformare l’Ue. Non guardano all’uscita, puntano a un’unione di nazioni sovrane”.
Fin qui l’intervista al Corriere, che ha fatto molto parlare, anche se di Bannon è stato notato e commentato soprattutto il suo atteggiamento nei confronti del governo e non troppo i suoi chiari inviti alla prudenza e al conservatorismo fiscale. Questi ultimi elementi sono invece essenziali per comprendere quella che potrebbe essere la prossima agenda di una coalizione di partiti sovranisti. L’ex stratega di Trump ha chiaramente in mente il modello americano conservatore. Ed è un modello che sta funzionando oltre ogni previsione ottimistica. Questo modello chiede, eccome, flessibilità delle regole e dunque la possibilità di sforare i parametri andando in deficit. Ma solo per provocare uno “shock fiscale”, un taglio delle tasse così consistente da far ripartire crescita e occupazione. Si avrebbe, come si ha avuto negli Usa, un disequilibrio nei conti iniziale, poi compensato gradualmente da una crescita impetuosa del Pil, che riduce il rapporto debito/Pil. Già questa strategia è contestata anche da economisti conservatori, che la ritengono foriera di illusioni: una volta andati in deficit, con un taglio di tasse, non si tornerebbe più a un equilibrio di bilancio. Ma in ogni caso, è una strategia che non contempla alcuna spesa assistenziale, nessuno “stimolo dei consumi”, politiche che erano tipiche della precedente amministrazione, quella di Obama.
Sì al taglio delle tasse, no all’assistenzialismo, dunque. E poi? Niente uscita forzata dall’euro, ma revisione dei trattati europei. Il modello che Bannon ha in mente è sempre attinto dalla tradizione conservatrice americana: quello di una società costruita dal basso e non plasmata dall’alto. Un unitarismo europeo (che nella tradizione italiana, paradossalmente, chiamano “federalismo europeo”) presupporrebbe la centralizzazione dei poteri a livello continentale e la soppressione, più o meno volontaria, delle identità nazionali. Bannon punta invece a veder nascere in Europa una confederazione di nazioni, ciascuna con la propria identità. Ciò non implica necessariamente il ritorno alle monete sovrane. Non subito, per lo meno. Implica, piuttosto, la conservazione di una piena autonomia politica su tutte le decisioni che contano, fra cui l’immigrazione.
Ma “quante divisioni ha Bannon”? Le sue sono solo opinioni, o ha forze in campo? Le ha, a quanto pare. La fondazione con cui intende lavorare si chiama The Movement, il movimento, costituita assieme all’avvocato belga Mischaël Modrikamen, una struttura di coordinamento di tutte le forze sovraniste europee. L’obiettivo dichiarato è quello di prendere il 33% dei voti con una coalizione di partiti sovranisti “una minoranza con potere di ostruzione”, come spiega Bannon a Politico e per raggiungerlo, mira a trasformare The Movement in una “struttura della vittoria”. Cioè un centro che svolga professionalmente tutte quelle operazioni, dai media ai social network, dall’analisi dei dati alle campagne mirate, che hanno consentito la vittoria di Donald Trump negli Usa.
Se il progetto va in porto, al fianco di Popolari e Socialisti, entrambi in calo di consensi, potremmo assistere alla crescita di una terza forza, quella sovranista, euroscettica. Uno scenario che già la stragrande maggioranza dei commentatori sta vivendo e descrivendo come un incubo. Ma è democrazia: nel momento in cui Socialisti e Popolari diventano sempre più indistinguibili fra loro, su euro, immigrazione e centralizzazione dei poteri a Bruxelles, ecco che il vuoto lasciato a destra si colma con una nuova forza politica. A Steve Bannon, cattolico, ma non democristiano, spetta l’arduo compito di darle una voce.