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via ai primi trasferimenti

L'Europa guarda al Piano Albania dell'Italia come modello

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Il passo decisivo compiuto dal governo italiano, e che lo ha portato a formulare il Piano Albania, è stato prendere atto che nella maggior parte dei casi la richiesta di asilo è un espediente che gli emigranti illegali usano per non essere fermati. E da ieri questa è considerata una soluzione innovativa anche in Europa. 

Editoriali 18_10_2024

Il 16 ottobre sono arrivati in Albania i primi 16 emigranti illegali, sei egiziani e dieci bengalesi. Come previsto dal piano messo a punto nei mesi scorsi, si tratta di persone che viaggiavano su imbarcazioni dirette in Italia individuate da navi italiane nel Mediterraneo. Per quattro però è in corso il trasferimento in Italia: due perché risultano essere minorenni e due perché non sono in buone condizioni di salute. I centri allestiti in Albania infatti non sono attrezzati per ospitare minori e persone bisognose di cure.

Dati anagrafici e condizioni di salute sono stati accertati in una delle due strutture allestite, l’hotspot di Shengjin dove, come in quelli esistenti in Italia, gli emigranti, accolti da medici, interpreti e mediatori culturali, sono stati identificati. L’altra struttura, dove verranno portati quelli rimasti, si trova a Gjader e comprende un centro da 880 posti destinato ai richiedenti asilo, un centro per il rimpatrio da 144 posti e un penitenziario da 20 posti.

Il passo decisivo compiuto dal governo italiano, e che lo ha portato a formulare il Piano Albania, è stato prendere atto che nella maggior parte dei casi la richiesta di asilo è un espediente che gli emigranti illegali usano per non essere fermati e respinti e che basta conoscere il paese di provenienza per capirlo. Così sono stati individuati degli Stati che non presentano condizioni tali da giustificare la fuga dei loro abitanti per cui molto difficilmente le richieste di asilo presentate da chi ne proviene possono essere accolte. Sono gli emigranti illegali originari di quei paesi che d’ora in poi saranno portati in Albania invece che in Italia.

Attualmente i paesi classificati come sicuri sono 22, ma altri in effetti se ne dovrebbero aggiungere. Tra quelli africani, in tutto 11, ci sono ad esempio il Senegal, ritenuto uno degli stati del continente che godono di maggiore stabilità economica e politica, e la Costa d’Avorio che, dopo un breve, cruento conflitto post elettorale nel 2011, è tornato a essere il paese dell’Africa occidentale che più attrae emigranti africani grazie alle sue immense piantagioni di cacao e di altre piante da frutto. Il Bangladesh e lo Sri Lanka sono gli unici stati asiatici inclusi per ora nell’elenco, la Colombia e il Perù quelli sud americani.

In Italia il Piano Albania continua a suscitare proteste da parte dei partiti all’opposizione e di molte cooperative e organizzazioni umanitarie. Le critiche vertono sia sul piano morale sia su quello economico, infondate in entrambi i casi. Il costo complessivo del Piano, di oltre mezzo miliardo in cinque anni, definito esorbitante, non tiene conto dei costi altrettanto elevati e anche superiori dell’accoglienza nei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria che ospitano i richiedenti asilo in Italia, senza contare altre ingenti spese: il solo gratuito patrocinio che consente agli immigrati le cui richieste di asilo vengono respinte dalle commissioni territoriali di ricorrere in Cassazione usufruendo di assistenza legale pagata dallo Stato italiano è arrivato a costare fino a 50 milioni di euro all’anno.

Sul piano morale, le accuse al governo italiano di deportazione di migranti e di violazione dei diritti fondamentali sono insostenibili. Quelli che davvero sono fuggiti per salvare vita e libertà chiedono aiuto ne hanno diritto. A loro non importa di essere in Italia, in Albania o altrove purché al sicuro e in condizioni dignitose.

Non così per chi vuole entrare in Unione Europea a qualsiasi costo. Ed è questo l’effetto deterrente che il Piano Albania esercita sugli emigranti illegali e sulle organizzazioni criminali che ne gestiscono i viaggi: non avere più la certezza di arrivare a destinazione.

Di questo e altro si è parlato ieri a Bruxelles durante l’incontro informale dedicato alle “soluzioni innovative” per contrastare l’emigrazione illegale promosso da Italia, Danimarca e Paesi Bassi al quale hanno partecipato Austria, Cipro, Polonia, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Malta, Slovacchia e la Commissione europea nella persona del presidente Ursula von der Leyen. Una soluzione considerata con sempre maggiore interesse è proprio il trasferimento dei richiedenti asilo in paesi terzi sicuri, come l’Albania.

La Danimarca è stato forse il primo Stato dell’Unione Europea a pensare a questa soluzione con destinazione il Rwanda, lo stesso paese con cui aveva avviato un piano di trasferimento la Gran Bretagna, poi accantonato dal governo laburista entrato in carica quest’anno. Il governo olandese alla vigilia dell’incontro ha invece annunciato che sta valutando un piano di riallocazione in Uganda dei richiedenti asilo africani respinti, in attesa del loro rimpatrio. Si tratterebbe di creare lì un hub di rimpatrio. Il ministro olandese del commercio estero e della cooperazione allo sviluppo Reinette Klever ne ha discusso con il ministro degli esteri ugandese Jeje Odongo durante una recente visita. La scelta dell’Uganda dovrebbe riscuotere consensi unanimi dal momento che alcuni anni fa l’Alto Commissariato Onu per il rifugiati l’ha dichiarata il miglior luogo al mondo in cui chiedere asilo.

Mentre la Commissione Europea mostra di prendere in considerazione le nuove proposte e guarda con interesse al Piano Albania, altre istituzioni comunitarie non sono altrettanto incoraggianti. La Corte di Giustizia Europea il 4 ottobre ha stabilito che un paese terzo si può definire sicuro solo se è possibile dimostrare che tutto il suo territorio nazionale lo è, «in modo generale e uniforme».

Qualche perplessità su quanto effettivamente sicuri siano alcuni paesi è plausibile: la Colombia, ad esempio, che nel 2023 registrava quasi sette milioni di sfollati a causa di un conflitto pluridecennale tuttora non del tutto risolto; o la Nigeria, il paese dove più cristiani vengono uccisi in odium fidei senza che il governo mostri di essere capace o realmente disposto a proteggerli. Ma se si pretende l’assenza assoluta, totale di insicurezza, allora nemmeno l’Italia ha i requisiti richiesti.