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MERKEL, MAY, MACRON

L'Europa dei leader deboli, in crisi di identità

Theresa May ha vinto il suo voto di fiducia ieri, con 200 voti a favore (ma 117 hanno votato contro). Una vittoria di Pirro per una leader che, contrariamente alla Thatcher, è tornata indietro tante volte, cambiando idea. Macron fa lo stesso in Francia e la Merkel è sfiduciata dagli elettori. Perché tanta debolezza?

Editoriali 13_12_2018
Merkel, May e Macron

Theresa May ha vinto il suo voto di fiducia ieri, alla camera dei Comuni del Parlamento britannico, con 200 voti a favore (ma 117 hanno votato contro). Una vittoria di misura, con cui si presenterà di nuovo a Bruxelles a ri-negoziare la Brexit. Una volta accertato che la maggioranza parlamentare avrebbe certamente bocciato l’accordo raggiunto alla fine di novembre, la May ha infatti cambiato idea, annullato il voto e annunciato un nuovo round negoziale. Sperando di ottenere condizioni migliori, che la controparte europea le nega fin da ora.

“The lady's not for turning”, la signora non torna indietro. Con queste parole, Margaret Thatcher aveva stroncato ogni critica interna al Partito Conservatore britannico, nel congresso del 10 ottobre 1980. Aveva tutti contro, anche nel governo, ma era convinta di avere ragione. E l’aveva. Da “grande malato d’Europa”, con le sue riforme il Regno Unito tornò ad essere una potenza economica. Theresa May, è invece già tornata indietro sulla Brexit, almeno due volte: prima era contraria e poi favorevole, poi favorevole all’accordo “migliore possibile” con Bruxelles e adesso contraria. Per questo la sua leadership traballa, così come le sue idee.

Non è l’unica leader debole, in questi anni. Anche Emmanuel Macron, a fronte della rivolta dei gilet gialli, ha fatto retromarcia. Non solo ha congelato l’aumento delle tasse sui carburanti (la scintilla che ha scatenato la protesta), ma ha anche promesso una manovra finanziaria in deficit, che sfida i parametri europei. E anche qui, ben altra prova rispetto al predecessore più illustre, Charles De Gaulle. Che di fronte al Maggio ‘68, inizio della grande contestazione europea, aveva preferito rimettersi al voto popolare, sciogliendo l’Assemblea Nazionale e indicendo elezioni anticipate: vinse una maggioranza schiacciante, la “maggioranza silenziosa”, che non andava sulle barricate ma nel segreto dell’urna votava per i partiti di centrodestra. Traballa anche la Merkel, in Germania: una delusione dopo l’altra nelle elezioni regionali e nazionali. Anche lei, in fatto di concessioni a Spd e Verdi, ne ha fatte talmente tante, da rendere irriconoscibile la sua agenda democristiana. Eppure il suo diretto predecessore, Helmut Kohl, aveva riunificato la Germania nel 1990, appena un anno dopo il crollo del muro di Berlino e quando l’Urss era ancora in piedi. Ed era talmente determinato da sfidare il parere contrario di tutti i maggiori leader europei di allora (Thatcher inclusa). La Thatcher, De Gaulle e Kohl hanno lasciato grandi eredità, rispettivamente: la rinnovata potenza britannica, la nuova Quinta Repubblica francese e la nuova “locomotiva d’Europa” tedesca. I loro successori, cosa lasceranno?

La “malattia” dei leader delle tre maggiori potenze europee è sempre la stessa: l’indecisione. Ma le sue cause vanno ricercate in una insicurezza culturale di fondo. La Thatcher era convinta che le riforme liberali fossero la cura giusta per quello che allora era il “grande malato d’Europa”. La May non era affatto convinta che la Brexit fosse la scelta giusta del Regno Unito, almeno fino al 2016 era contraria. La May, comunque, non è affatto nata dal nulla. La sua ideologia europeista in politica estera, statalista in economia, aperta ai temi ecologisti e gender, indistinguibile da un laburista moderato, arriva da un graduale processo di trasformazione del Partito Conservatore. Think tank come il Bright Blue, che hanno suggerito l’agenda di David Cameron, hanno contribuito a innestare nella destra le idee della sinistra, vedendole come più “al passo coi tempi”. In Francia, il partito di Macron non si era mai presentato alle elezioni prima del 2017, ma nasce da un’evoluzione simile di modernizzazione del Partito Socialista, in crisi dopo l’impopolare presidenza di François Hollande. Presentandosi come partito-nazione, En Marche ha però assorbito anche i consensi della destra, che dopo la crisi di Nicolas Sarkozy, non è più stata in grado di vincere: nel 2017 non è arrivata neppure al secondo turno. Macron è dunque il prodotto del fallimento sia di Sarkozy che di Hollande, dei conservatori gollisti e dei socialisti. I primi hanno perso perché, sostanzialmente, non hanno saputo preservare l’eredità del gollismo. Hanno innestato elementi della sinistra: europeismo, interventismo umanitario all’estero, porte aperte all’immigrazione. I socialisti hanno portato questi elementi alle estreme conseguenze, aggiungendovi anche l’agenda gender (matrimoni gay) e l’ecologismo radicale. Macron non si è affatto smarcato da queste linee di tendenza e paga soprattutto la sua politica ecologista con la rivolta dei gilet gialli. In Germania, il motivo fondamentale della crisi del consenso per la Merkel è la sua politica del 2015 che invitava i rifugiati in Germania. Ma altri motivi di lenta erosione sono i compromessi con la Spd su tutti i temi economici (tasse alte) e sull’ecologia (fine dei programmi nucleari).

La malattia delle leadership europee ha dunque una causa comune: l’attrazione esercitata da idee e programmi di sinistra sulle destre conservatrici. In Italia abbiamo assistito a qualcosa di simile con il progetto di Gianfranco Fini, che infatti è politicamente finito molto presto. Non solo questo innesto è avvenuto senza prima un lavoro di trasformazione culturale: evidentemente non era sentito neppure dai leader che se ne sono fatti promotori. Le idee dominanti della nuova sinistra, come la centralizzazione europea, le frontiere aperte, l’accoglienza dell’immigrato (e la migrazione intesa come un fenomeno inarrestabile e benefico), l’ecologismo delle energie rinnovabili e della lotta al global warming, i nuovi diritti gender, sono stati tutti mantra promossi dal circuito mediatico-politico. Con la crisi finanziaria del 2008 e con Obama alla presidenza Usa si è creata quella situazione di conformismo in cui, o questi slogan li si adotta e li si propone, o si viene esclusi dai “salotti buoni”. E così hanno fatto le destre di governo che ora sono in piena crisi di valori. Se questo innesto è stato possibile, lo si deve però a una graduale perdita di identità dei partiti conservatori europei, che fino alla fine del Novecento erano ancorati alla tradizione cristiana, soprattutto alla difesa del diritto naturale. Questo ancoraggio è stato, evidentemente, perso. E quindi le classi dirigenti sono andate alla ricerca di altre effimere mode ideologiche. Questa è la loro vera debolezza. Gli esiti sono ancora imprevedibili. Per ora, elettorati moderati delusi si rivolgono a nuove destre "sovraniste", mentre le sinistre tornano a un socialismo d'epoca, riabilitando Marx e ignorando gli esiti del marxismo.