Lettere dall'inferno della Siria
Il vescovo siro-ortodosso Matta Roham scrive dal confine con Turchia e Iraq: la guerra è giunta sin qui, tutto il paese è nel caos e oltre ai 60mila morti dal marzo 2011, si deve ricordare il dramma degli sfollati, la povertà dilagante, l'aumento dell'odio settario, i rapimenti di bambini. E da Ras al Ayn arriva una testimonianza drammatica sulle violenze islamiste: taxista cristiano decapitato, tagliato a pezzi e dato in pasto ai cani.
Non sono solo i numeri sempre più terribili a dire che il dramma della Siria ha superato una nuova soglia dell'orrore. La stima diffusa in questi giorni dal Commissario Onu per i Diritti umani Navy Pillai parla ormai di 60 mila vittime dal marzo 2011. Ma sono le testimonianze sulla vita quotidiana in zone anche lontane dai fronti più caldi del conflitto a dare la misura reale di quanto sta succedendo.
L'ultima in ordine di tempo è una lettera scritta dal vescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, metropolita di Jazirah e dell'Eufrate, cioè della parte siriana della Mesopotamia, la zona più vicina ai confini con la Turchia e con l'Iraq. Un'area settentrionale del Paese che finora era stata toccata principalmente dal flusso di profughi in fuga dalle zona dove si combatte. Ma dall'inizio di novembre i ribelli hanno preso il controllo anche di Ras al-Ayn, la città al confine con la Turchia. E la guerra si fa sentire maggiormente anche qui. Il vescovo Matta Roham scrive da Hassake, che si trova ad appena un'ora da Ras al-Ayn. Parla delle distruzioni avvenute là durante i combattimenti. E la preoccupazione è grande.
“La regione di Jazirah ha accolto un gran numero di famiglie sfollate, che sono venute a vivere nelle città di Hassake e Kamishly - spiega -. In queste due città la popolazione è quasi raddoppiata. Preghiamo perché almeno Hassake e Kamishly possano restare fuori dal conflitto, per evitare una catastrofe umanitaria assoluta”.
Più che lanciare anatemi da una parte o dall'altra, il vescovo Matta Roham ha ben chiaro chi sia a soffrire di più in questo conflitto: “E' un peccato vedere che la guerra in Siria va avanti con un prezzo sempre più alto di morte, distruzione, miseria e dolore pagato da persone innocenti – denuncia -. L'assenza di uno spirito di riconciliazione, tanto a livello locale che internazionale, ha portato il Paese in una situazione così caotica. In Siria la Chiesa, come tutte le altre comunità, ha sofferto tanto a causa di questa guerra contraria alla volontà di Dio”.
Non ci sono, dunque, solo i morti oggi in Siria, ma anche una litania di sofferenze quotidiane. “La gente - elenca il metropolita di Jazirah e dell'Eufrate - continua a dover affrontare tanti problemi come l'inflazione, la povertà, l'aumento dell'odio settario e dello spirito di vendetta, la carenza nei rifornimenti di cibo e carburante, il freddo intenso, i rapimenti di bambini, uomini e anziani con la richiesta di ingenti riscatti, l'arrivo di altri profughi, i black-out elettrici che durano anche più di dodici ore, i pericoli negli spostamenti, le frequenti interruzioni delle connessioni internet”.
Ed è in questo contesto che ad Hassake si prova comunque ad azzardare gesti di riconciliazione. “La Chiesa - racconta ancora il vescovo Matta Roham - ha profuso un grande sforzo per ricreare armonia tra tutte le comunità, e specialmente tra arabi e curdi. Il 5 dicembre, insieme a sacerdoti di tutte le confessioni cristiane, abbiamo tenuto una preghiera ecumenica per la pace nella cattedrale di San Giorgio ad Hassake, invitando sia gli arabi sia i curdi e facendo arrivare alla gente un messaggio di pace. Per noi è stato un momento molto importante, perché arabi e curdi qui non si erano più incontrati dal marzo 2011, quando le rivolte sono cominciate”.
Vale la pena di aggiungere che proprio da Ras al Ayn - la città ad appena un'ora da Hassake, conquistata dai ribelli - nei giorni scorsi è arrivata l'ultima denuncia su un episodio di violenza contro i cristiani. Qui, infatti, Andrei Arbashe, un giovane taxista sarebbe stato ucciso barbaramente per le opinioni espresse da suo fratello contro gli islamisti. "Lo hanno decapitato, tagliato a pezzi e dato in pasto ai cani", ha dichiarato domenica scorsa al SundayTimes madre Agnes Mariam de la Croix, l'igumena del monastero di Qara che da mesi contesta l'atteggiamento naive dell'Occidente nei confronti dei gruppi islamisti sempre più forti tra le milizie anti-Assad.
Subito è scattato il solito coro sulle dichiarazioni della “suora pro Assad” da prendere con le molle. Però madre Agnes cita sempre episodi circostanziati con nomi e cognomi; nel merito dei quali nessuno risponde. Tra le 60 mila vittime siriane c'è o non c'è anche Andrei Arbashe? E le armi da fermare sono o non sono anche quelle delle milizie qaediste che seminano il terrore non solo tra i cristiani, ma anche tra quei musulmani che non vogliono una Siria islamista? Senza prendere sul serio queste domande, nonostante i numeri sempre più impressionanti, la fine del dramma siriano rimarrà comunque lontana.