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VIDEOMESSAGGIO

Letta si guardi dal "suo" Pd non da Berlusconi

Tutto come 20 anni fa: una seconda discesa in campo di Silvio Berlusconi, annunciata con un messaggio video, per sfidare una parte politicizzata della magistratura. Il governo, invece, non è a rischio. A meno che non siano gli "amici" del Pd a fare cadere Letta.

Editoriali 19_09_2013
Berlusconi

Il videomessaggio di ieri ha confermato quanto era già nell’aria: Silvio Berlusconi, sotto sotto, non ha mai pensato di far cadere il governo, perché sa bene che questa mossa potrebbe rivelarsi un autogol e quindi ha scelto da tempo la strada della “trattativa”, senza rinunciare a combattere le sue battaglie.

Entro la metà di ottobre il leader del centro-destra potrebbe decadere da senatore, a meno che il voto segreto nell’aula del Senato non riservi sorprese. Nonostante la probabile decadenza, Berlusconi non intende abbandonare la politica e continuerà a farla fuori del Parlamento sotto le insegne di Forza Italia. «Non è il seggio a fare i leader, bensì il consenso popolare», ha dichiarato nel videomessaggio.

Con quale incisività e con quale efficacia l’ex premier riuscirà a convincere gli italiani lo sapremo solo col tempo, considerato anche il fatto che dovrà presto iniziare a scontare la pena accessoria (arresti domiciliari o servizi sociali) inflittagli dalla Corte di Cassazione nell’ambito della sentenza definitiva sul processo Mediaset.

D’altronde, in questa legislatura, apertasi in una fase del tutto emergenziale per il Paese, gli assenti illustri dalle aule parlamentari sono tanti, da D’Alema a Veltroni, per non parlare di Beppe Grillo, leader indiscusso in un movimento accreditato nei sondaggi di circa il 20% dei consensi. Se D’Alema e Veltroni continuano a fare politica senza essere più parlamentari e Grillo arringa le folle senza aver mai messo piede alla Camera o al Senato, non si vede perché l’agibilità politica di Berlusconi debba ricevere un duro colpo dalla decadenza da senatore.

Questa conseguenza della sentenza Mediaset potrà forse trasformarsi, paradossalmente, in un punto di forza per il Cavaliere, più libero di denunciare quella che lui ritiene una persecuzione giudiziaria nei suoi confronti. È quanto si intuisce dai contenuti del videomessaggio di ieri (15 minuti), durante il quale ha espressamente separato le sorti del governo, che intende continuare a sostenere, dal giudizio su una parte della magistratura, da lui accusata di essere intoccabile e onnipotente.

Indubbiamente queste frasi pronunciate da un condannato possono suonare come poco credibili, ma resta il fatto che perfino Ilda Boccassini, nei giorni scorsi, ha attaccato alcuni suoi colleghi, accusandoli di faziosità e di opportunismo, ha imputato loro di cercare solo i riflettori e di perseguire altri interessi diversi da quelli dell’applicazione equilibrata delle leggi.

Ciò conferma almeno due cose. La prima è che all’interno della magistratura, tra le diverse anime e correnti, esiste soprattutto una frattura profondissima tra un’ala, riconducibile a Magistratura Democratica, che persegue un evidente disegno politico e un’ala più dialogante che, pur segnatamente orientata sul piano ideologico e culturale, rimane nel solco della Costituzione. Pochi sottolineano che un istituto come l’immunità parlamentare fu concepito dai Padri Costituenti proprio per garantire autonomia alla politica e fare in modo che, in un sistema equilibrato di pesi e contrappesi, la magistratura non debordasse dai suoi confini.

La seconda è che il ritorno a Forza Italia, contenitore assai più sbiadito e meno attrattivo di vent’anni fa, appare, almeno in linea teorica, la risposta più coerente con quanto sta accadendo oggi in Italia. Le analogie con il giustizialismo dell’epoca di Tangentopoli sono innegabili. Esistono procure che tentano di fare selezione della classe politica e, come allora, una forza liberale e popolare (almeno a parole) potrebbe intercettare un disagio diffuso nell’opinione pubblica di fronte a un fisco sempre più oppressivo e invadente e una giustizia spesso sospettata di disarmante faziosità. Ma, rispetto ad allora, il leader è assai più “acciaccato”, rischia altre condanne nei prossimi mesi, ha fatto terra bruciata attorno a sé di tutte quelle menti brillanti che, credendo in lui e nel progetto forzista, avevano dato vita in pochi mesi a un partito rivelatosi vincente. E poi, soprattutto se si votasse fra un anno o due, quale ruolo potrebbe giocare ancora Berlusconi? Padre nobile? Presidente onorario? Basterebbe per vincere le elezioni, senza un leader candidabile a Palazzo Chigi?

Nel frattempo, Enrico Letta non può dormire sonni tranquilli. Deve guardarsi dai suoi amici del Pd, alcuni dei quali sognano la caduta del suo governo per sbarrargli la strada del consolidamento della leadership. Renzi guarda con sospetto e preoccupazione all’ipotesi che l’esecutivo attuale duri fino al 2015, restituisca credibilità all’Italia in Europa e risollevi i conti pubblici e la situazione occupazionale: sarebbe, per lui, la fine di un sogno. Ora si può dire: il futuro di Letta non dipende più da Berlusconi e dal Pdl ma dal congresso del Pd, ammesso che si faccia in tempi brevi.