L'esportazione del jihadismo nel Mozambico
In Mozambico, nell'Africa sudorientale, molto lontano dalle aree che normalmente associamo all'idea di jihadismo, un gruppo di radicali islamici sta prendendo sempre più piede. Come in Kenya e in Somalia, si chiamano Shebaab. Si stanno organizzando con basi nelle foreste, si finanziano con il contrabbando e sono sempre più forti.
Si chiamano al Shabaab, sono jihadisti, da mesi seminano morte e distruzione nella provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, sempre più aggressivi e minacciosi al punto da indurre alcuni governi, tra cui quello italiano, a sconsigliare viaggi e soggiorni nella regione. Agli italiani la Farnesina raccomanda di non uscire dai principali centri urbani e di usare massima cautela nei distretti più colpiti. La raccomandazione è rivolta in particolare ai dipendenti Eni che dal 2012 lavorano, insieme a quelli della ExxonMobil, alla realizzazione degli impianti per lo sfruttamento di un immenso giacimento off-shore di gas naturale in grado, una volta in funzione, di estrarre 2,4 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
I combattenti islamici – da 350 a 1.500 a seconda delle stime – vivono e si organizzano in basi create nelle foreste. Ne escono per mettere a segno i loro attacchi che quasi sempre prendono di mira dei villaggi. Come Boko Haram in Nigeria, raggiungono un insediamento, lo circondano, lo saccheggiano, ne uccidono, quasi sempre decapitandoli con un panga, gli abitanti che non riescono a mettersi in salvo e, prima di andarsene, danno fuoco alle case. I sopravvissuti si rifugiano in foresta e, quando osano tornare, trovano solo macerie e cadaveri insepolti. Secondo una indagine sul campo realizzata dall’imam mozambicano Sheik Saide Habibe e da due ricercatori, Salvador Forquiha e Joao Pereira, presentata nella capitale Maputo lo scorso maggio, gli al Shabaab sono organizzati in piccole cellule, da 10 a 30 persone, con pochi collegamenti tra di loro. La maggior parte dei loro attacchi sembrano essere opera di un'unica cellula. Questa struttura, che ricorda quella dei guerriglieri della Renamo (ora partito di opposizione) durante la guerra civile, rende molto difficile l’intercettazione dei gruppi da parte di esercito e polizia.
Gli al Shabaab – termine che in arabo vuol dire “i giovani” ed è anche il nome che si sono dati i jihadisti legati ad al Qaeda che combattono da oltre 10 anni in Somalia – hanno incominciato a organizzarsi in cellule già nel 2015. Alcuni provengono dal Kenya da cui sono fuggiti, spingendosi verso sud dapprima in Tanzania, in seguito all’uccisione nel 2012 dell’imam Aboud Rogo Mohammed, accusato dalle autorità kenyane di sostenere gli al Shabaab somali. La maggior parte sono ragazzi mozambicani, reclutati tra i molti disoccupati, risentiti, scontenti, convinti ad abbracciare la causa jihadista per interesse oltre che per fede. Accusano della loro condizione sia gli imam locali “degeneri” che il governo. Per questo all’inizio della loro militanza usavano entrare in gruppo nelle moschee indossando le scarpe (i fedeli musulmani devono entrare in moschea scalzi, n.d.A.) e armati di coltello come segno di disprezzo per quello che ai loro occhi è un “Islam degenerato”.
Come gli altri gruppi jihadisti avevano bisogno di armi, finanziamenti e guide religiose. A fornirglieli sono stati degli alleati potenti: i contrabbandieri. In Mozambico negli ultimi anni la corruzione è cresciuta enormemente. Le sue coste settentrionali sono diventate un importante centro di contrabbando di avorio, legname, eroina e pietre preziose, grazie anche al coinvolgimento nei traffici di agenti di polizia e funzionari governativi. I re del contrabbando locali hanno incorporato i giovani militanti nelle loro organizzazioni pagandoli bene. Anche per questo funzionari e a agenti locali hanno fatto finta di non vedere il peso crescente degli integralisti, per non agitare le acque, indotti inoltre a ignorare il fenomeno e soprattutto a non rischiare di perdere il posto segnalandolo ai superiori, mal disposti nei confronti di chi è portatore di cattive notizie che richiedono azione e interventi.
Oggi gli al Shabaab reclutano nuovi membri ed estendono il loro raggio d’azione a livello locale tramite rapporti famigliari. Per il momento sembra che non abbiano un progetto politico dichiarato. Si limitano a imporre la loro presenza con il terrore, commettendo atrocità come la decapitazione di civili inermi, inclusi dei bambini. Tuttavia il loro obiettivo è fomentare reazioni antigovernative nelle comunità per conquistare sempre più favore e sostegno tra la popolazione.
Il Mozambico andrà alle urne i prossimo 10 ottobre per rinnovare le amministrazioni comunali e nel 2019 per eleggere capo di stato e parlamento. Il Frelimo, che governa dall’indipendenza ottenuta nel 1974, teme una erosione di consensi, in parte per il mancato sviluppo delle aree rurali e per il fallimento nel creare posti di lavoro: esattamente le rivendicazioni dei giovani militanti islamisti. Inoltre si rimprovera al governo di non volere (o non sapere) difendere la popolazione dalla violenza jihadista. Benché Cabo Delgato abbia sempre dato una schiacciante maggioranza di voti al Frelimo, l’opposizione – sia la Renamo, avversario nella guerra civile seguita all’indipendenza, che il Movimento democratico mozambicano – ha guadagnato terreno. Si vedrà se la mancanza di sviluppo e di posti di lavoro, la crescente corruzione e la maldestra, svogliata risposta all’estremismo penalizzeranno il partito di governo. È certo che rischiano di favorire la crescita di gruppi estremisti.