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L'eredità di Guareschi: salvare il seme

Nel recente saggio Giovannino Guareschi. Una vita controcorrente Alessandro Gnocchi ripercorre la biografia del creatore di don Camillo e Peppone, del Mondo piccolo della Bassa nel quale «si sente correre senza tregua il dito di Dio».  

Cultura 15_04_2025

«Tutti possono sollevare il cofano del mio Diesel e studiare il vecchio cuore di un figlio della Bassa», scriveva sul Corrierino delle famiglie il creatore di don Camillo e Peppone. Un «intellettuale di razza, che non disdegnava di chiamarsi “reazionario”; che aveva messo il dito nell’occhio dei professionisti dell’antifascismo e dei professionisti dell’anticomunismo». Così Alessandro Gnocchi lo definisce nel recente saggio Giovannino Guareschi. Una vita controcorrente (Ares 2025, pp. 160), ove ne tratteggia la biografia con rigore storiografico, attingendo volentieri alle stesse opere dello scrittore emiliano. Guareschi ha saputo infatti «dar vita a parole che parlino veramente, per raccontare uomini e paesaggi raccolti in un fazzoletto di terra, ma retti da un soffio universale. Dentro questa fetta di mondo si sente correre senza tregua il dito di Dio». Di qui egli «ha usato il simbolo senza essere simbolista, ha trascritto il reale senza essere realista, ha raccontato il vero senza essere verista».

Nato nel 1908, a trent’anni era «caporedattore del “Bertoldo”, il principale giornale umoristico italiano. A trentacinque andò per libera scelta nei lager tedeschi, dove divenne uno dei punti di riferimento di chiunque non voleva morire neanche se lo avessero ammazzato. A trentotto, con “Candido”, divenne il portabandiera della causa monarchica. A quaranta fu uno degli artefici della sconfitta socialcomunista alle elezioni politiche, grazie alla sua capacità, riconosciuta dagli osservatori di tutto il mondo, di spostare centinaia di migliaia di voti. A quarantasei sfidò uno degli uomini più potenti del Paese e finì in galera, dove entrò senza ricorrere in appello e vietando a chiunque di chiedere la grazia per suo conto. A sessanta morì rimpianto da milioni di lettori e completamente ignorato da colleghi e critica», scrive ancora Gnocchi sintetizzando in poche righe le tappe più significative della vita dello scrittore della Bassa.

Nel 1914 la sua famiglia è costretta a lasciare Fontanelle e giunge a Parma, ma «la città è roba di un altro mondo». La madre lavora come maestra; il papà vuole fare di Giovannino un ingegnere navale, ma quest’ultimo preferisce gli studi liceali, mostrando di avere grande talento nell’arte di raccontare. Aiutante portiere dello zuccherificio di Parma e ufficiale supplente di censimento, dopo la maturità classica, Guareschi non disdegna alcun impiego, date anche le condizioni economiche precarie della famiglia. Comincia poi a collaborare con “La Voce” di Parma, con “La Fiamma” - il giornale dei Gruppi universitari fascisti - sia con brevi testi che con vignette umoristiche, per poi lavorare alla cronaca de “La gazzetta di Parma” e quindi in redazione al “Bertoldo” a Milano in «un ufficio semibuio con un tavolino addossato al muro», come egli stesso scrive. A Milano ritrova Ennia, la quale lavorava nella stireria del collegio Romagnosi dove Giovannino aveva studiato, con la quale convola a nozze. Qui pubblica anche il suo primo romanzo La scoperta di Milano.

Richiamato dall’esercito regio nel 1942 ad Alessandria, dopo l’armistizio italiano cogli Alleati, sceglie la via del lager pur di non giurare fedeltà ai tedeschi. Così a Czestochowa riprende animo e si abbandona totalmente tra le braccia di Maria, come testimonia una sua celebre espressione: «Non muoio neanche se mi ammazzano». Di quegli anni dolorosi scrive nel Diario il prigioniero 6865: «Fummo peggio che abbandonati, ma questo non bastò a renderci dei bruti: con niente ricostruimmo la nostra civiltà. Ognuno diede quello che aveva dentro». D’altra parte, come evidenzia altrove, l’uomo «di fuori è una faccenda molto facile da comandare, ma dentro lo comanda solo il Padre eterno». Nel lager Guareschi lega particolarmente con il poeta Rebora e il suo giornale diviene tra le baracche il “Bertoldo parlato”. Il 13 novembre 1943 Giovannino diventa nuovamente papà di una bambina, Carlotta. Nell’attesa di poterla stringere tra le braccia le dedica, da internato, una canzone. Insieme al primogenito Alberto i suoi figli diventano popolari all’interno del campo e protagonisti del suo universo narrativo.

Il 16 aprile 1945 il campo di Wietzendorf viene liberato e può finalmente riabbracciare i suoi cari. Rientrato a Milano comincia una nuova avventura giornalistica con “Candido”. Ma all’antivigilia del Natale 1946, mentre in tipografia si è alle prese con la chiusura del giornale, «i personaggi che avevano popolato la sua infanzia», i luoghi e i ricordi più cari affiorano trasfigurati facendo capolino sulle pagine bianche. Prende così vita e forma quel Mondo piccolo che rende celebre Guareschi, anche grazie alle numerose trasposizioni cinematografiche di successo, «un mondo restaurato nell’incanto che il mondo grande ha perduto e non sa ritrovare», come osserva Gnocchi.

Critico delle ideologie della modernità, Guareschi riconosce dunque nel patrimonio spirituale il vero tesoro da custodire gelosamente. Oggi più di ieri bisogna infatti, «dinanzi al deserto spirituale che si estende ogni giorno di più» - come lo stesso scrittore emiliano osserva - «salvare il seme: la fede». È questo il cuore pulsante della sua eredità culturale.