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IL LIBRO

L'epopea dei Cristeros

Dal 1925 i cattolici messicani furono perseguitati dal governo, con Calles al potere. Una storia poco nota, quella dei Cristeros che combattevano per la fede, ma raccontata dal libro di Mario A. Iannaccone.

Politica 28_07_2013
Cristiada. L'epopea dei Cristeros in Messico

Può un cattolico, in certe circostanze, non porgere l’altra guancia ma rispondere con la forza? Addirittura, impugnando le armi? La risposta è sì, perché la guancia da porgere è la propria, non quella altrui. La parola chiave è «difesa». Contro l’ingiusto aggressore. Un padre ha il dovere di difendere i suoi piccoli. Lo stesso vale per il poliziotto e il soldato nei confronti di quelli che è chiamato a proteggere. Ma allora, si obietterà, perché i martiri antichi non si difesero? Perché contro l’impero romano sarebbe stato un suicidio, che al cristiano è vietato. Ma se un potere tirannico intende, per esempio, cancellare il cristianesimo con la forza, allora, se c’è una concreta possibilità di successo, ai cristiani è lecita la resistenza. Naturalmente, le armi sono l’ultima opzione. Così, dunque, fecero i cattolici messicani nel 1925.

Le continue rivoluzioni, con l’interessato appoggio degli Usa, che avevano squassato il Messico fin dall’indipendenza dalla Spagna e poi da Massimiliano d’Austria, erano culminate nel 1917 in una Costituzione ossessivamente laicista, la cui ideologia massonico-leninista intendeva “modernizzare” il Paese liberandolo dalla «superstizione». Cioè, dal suo retaggio cattolico. Finché al potere ci fu Porfirio Diaz la Costituzione rimase di fatto inapplicata, anche perché la morte della moglie del dittatore provocò in lui una tardiva ma sincera conversione alla fede. Scomparso lui, però, salì al potere Plutarco Elias Calles, un fanatico robespierriano che espulse preti e vescovi che si opponevano al progetto di una «chiesa nazionale» scissa da Roma e agli ordini del solo governo. Seguirono le solite misure: abolizione degli ordini religiosi, confische, divieto di ogni attività per i cattolici. Sordo a ogni offerta di compromesso, Calles procedette ad arresti ed esecuzioni.

I vescovi messicani, consultatisi col papa Pio XI, chiusero le chiese in segno di protesta. La parola passò al laicato, che in Messico era tutt’altro che «arretrato» e «superstizioso». Anzi, applicando la Rerum novarum, aveva dato vita a sindacati, patronati operai, scuole, laboratori, previdenza e casse mutue. E il laicato cattolico mise in atto una forma di protesta estrema: il boicottaggio economico dei prodotti governativi (tabacchi, ferrovie, banche, teatri…). La risposta di Calles fu semplicemente feroce e la fede fu costretta alla clandestinità. E la parola passò alle armi. I cattolici misero in piedi un esercito regolare forte di cinquantamila uomini, addestrati e inquadrati da generali professionisti. Nel 1926 scoppiò l’insurrezione al grido di «Viva Cristo Re!», la cui festa era stata istituita dal papa l’anno prima. La guerra «cristera», in nome della libertà religiosa, durò fino al 1929 e vide i «cristeros»  largamente vittoriosi sui governativi, i quali si ritrovarono a controllare praticamente solo il Nord. Poiché i «cristeros» avevano l’appoggio plateale del popolo, Calles si vide costretto a rivolgersi agli Usa per armi e aiuti logistici (in cambio di concessioni petrolifere).

Quantunque i governativi non facessero prigionieri e non esitassero a sterminare donne e bambini (la Chiesa ha beatificato molti di questi martiri), l’esercito «cristero» aveva serie possibilità di vittoria finale. Il papa intervenne con ben tre encicliche sul caso messicano, e il Vaticano si adoperò in tutti i modi presso la diplomazia internazionale. Così, con la mediazione dell’ambasciatore americano, nel 1929 il furbo Calles accettò di firmare un compromesso con i vescovi messicani, i cosiddetti «Arreglos». I vescovi a quel punto ordinarono ai «cristeros» di deporre le armi e quelli obbedirono. Fu un tragico errore perché Calles non mantenne alcun impegno. Anzi, nei dieci anni seguenti furono silenziosamente eliminati tutti quelli che avevano partecipato alla guerra da parte cattolica. E per mezzo secolo sul Messico si stese la cappa della laicizzazione forzata. Solo nel 1979 un papa poté metterci piede, e in forma privata: Giovanni Paolo II, che fu accolto come «signor Wojtyla». Là era vietato ai preti perfino di portare l’abito.

Tutta questa vicenda è stata silenziata dalla storia fino all’anno scorso, quando un film hollywoodiano, Cristiada, l’ha riportata alla luce. Quantunque sia un kolossal interpretato da calibri come Andy Garcia, Peter O’Toole e Eva Longoria, da noi non è mai stato distribuito (circola solo, «pirata», su internet, sottotitolato), e presumibilmente mai lo sarà. E anche se lo fosse, da noi sarebbe un flop come 11 settembre 1683 di Renzo Martinelli, per i motivi che abbiamo lamentato a suo tempo su queste stesse colonne: nemmeno i cattolici, ormai, guardano i film che parlano di loro se nessuno li informa. Ma quelli che leggono La Nuova Bussola Quotidiana non sono come gli altri, perciò è bene sappiano che qualcuno la storia dei «cristeros» l’ha raccontata: Mario A. Iannaccone, in un documentatissimo volume edito da Lindau; Cristiada. L’epopea dei cristeros in Messico. La Cristiada costò ai cattolici messicani 300mila morti. Su sei milioni di abitanti.

- Mario A. Iannaccone, Cristiada. L’epopea dei cristeros in Messico, Lindau, pp. 368, €. 26,00.