Leone XIV pellegrino ad Annaya sulla tomba di san Charbel
Prevost è il primo Pontefice a visitare il monastero che custodisce le spoglie mortali dell'eremita libanese. Il paradosso di un santo «che visse nascosto e taciturno, ma la cui fama si è diffusa nel mondo intero». E che attrae proprio perché controcorrente, «come l’acqua fresca e pura per chi cammina in un deserto».
«Rendo grazie a Dio che mi ha concesso di venire pellegrino alla tomba di san Charbel. I miei predecessori – penso specialmente a san Paolo VI, che lo ha beatificato e canonizzato – l’avrebbero tanto desiderato»: Leone XIV è infatti il primo Pontefice a visitare il monastero di Annaya che custodisce le spoglie mortali dell'eremita libanese. Qui la vigilia di Natale del 1898, il sacerdote e monaco maronita Charbel Makhlouf morì a settant'anni di età dopo un'intera vita di nascondimento.
L'apparente paradosso di un «uomo che non scrisse nulla, che visse nascosto e taciturno, ma la cui fama si è diffusa nel mondo intero» è così spiegato dal Papa: «lo Spirito Santo lo ha plasmato, perché a chi vive senza Dio insegnasse la preghiera, a chi vive nel rumore insegnasse il silenzio, a chi vive per apparire insegnasse la modestia, a chi cerca le ricchezze insegnasse la povertà. Sono tutti comportamenti contro-corrente, ma proprio per questo ne siamo attratti, come l’acqua fresca e pura per chi cammina in un deserto». La «coerenza, tanto radicale quanto umile» di Charbel richiama sacerdoti e vescovi alle «esigenze evangeliche» della loro vocazione ed «è un messaggio per tutti i cristiani».
Un silenzio operoso in vita e in morte, dal momento che l'eremita sembra uno straordinario intercessore – aspetto che il Papa definisce «decisivo», sottolineando che «san Charbel non ha mai smesso di intercedere per noi presso il Padre Celeste, fonte di ogni bene e di ogni grazia. Già durante la sua vita terrena molti andavano da lui per ricevere dal Signore conforto, perdono, consiglio. Dopo la sua morte tutto questo si è moltiplicato ed è diventato come un fiume di misericordia». Leone XIV menziona in particolare la ricorrenza del 22 del mese, quando «migliaia di pellegrini che vengono qui da diversi Paesi per passare una giornata di preghiera e di ristoro dell’anima e del corpo». Per chi non lo sapesse: la sua festa liturgica è il 24 luglio, ma il 22 di ogni mese è un giorno chiesto dal santo stesso a Nohad al-Chami, che il 22 gennaio 1993 si risvegliò guarita e con le cicatrici di un'operazione effettuata in sogno da san Charbel con l'assistenza di san Marone.
Il Papa conclude chiedendo a sua volta l'intercessione del santo per «le necessità della Chiesa, del Libano e del mondo». Chiede comunione e unità per la Chiesa, pace «per il Libano e per tutto il Levante. Ma sappiamo bene – e i santi ce lo ricordano – che non c’è pace senza conversione dei cuori». E offre in dono una lampada «come simbolo della luce che qui Dio ha acceso mediante san Charbel».
L'odierna visita papale sigilla una devozione a livello mondiale verso un uomo vissuto in un tale riserbo che a malapena i confratelli ne conoscevano voce e volto (la sola immagine che abbiamo è un altro miracolo, risalendo... al 1950, quando l'eremita si "intrufolò" in una foto di gruppo scattata ad Annaya mezzo secolo dopo la sua morte). Chissà se è più paradossale che attraverso san Charbel si riversi una cascata di soprannaturale in un'epoca (e talora in una Chiesa) che il soprannaturale vorrebbe accantonarlo o che un santo così taciturno attragga un mondo tanto frenetico e rumoroso?
In fondo, come scriveva Gilbert Keith Chesterton, «è il paradosso della storia che ogni generazione sia convertita dal santo che più la contraddice».

