Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Angela Merici a cura di Ermes Dovico
Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

La questione

Leone XIII papa conciliatore? Un saggio di don Barthe fa luce

Papa Pecci fu un papa antimoderno o conciliatore? Un saggio di don Claude Barthe aiuta a chiarire perché a un certo punto si è fatta strada la seconda definizione.

Dottrina sociale 21_01_2025

Nel 1892 Leone XIII pubblicò l’enciclica Au milieu des sollicitudes dedicata al rapporto tra Chiesa e Stato in Francia. In questa enciclica papa Pecci sollecita la partecipazione dei cattolici alla democrazia francese e quindi promuove l’accettazione della nuova Costituzione repubblicana. Tale politica diplomatica è nota con il termine ralliement (riallineamento). La questione è stata studiata a fondo, per esempio da Roberto de Mattei (Il “ralliement” di Leone XIII. Il fallimento di un progetto pastorale, Le Lettere, 2014). Tuttavia, un articolo di don Claude Barthe pubblicato sulla rivista spagnola Verbo (novembre-dicembre 2024) riesce ora a dire qualcosa di nuovo, aggiungendo qualche interessante osservazione.

Leone XIII, ricorda Barthe, è un papa antimoderno. Egli riprende e sistema organicamente tutto il magistero precedente, a cominciare da Pio VI che condannò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’Assemblea nazionale costituente nella prima fase della Rivoluzione francese (1789). Nelle sue encicliche – Quod apostolici muneris, Diuturnum illud, Libertas praestantissimum, Immortale Dei – egli parlò di un “diritto nuovo” secondo il quale il potere non deriva da Dio, ma la sovranità proviene “direttamente dalla nazione”, ed è quindi espressione della “volontà generale”. Questo diritto nuovo, che si concretizzava nella Repubblica democratica francese, fu da lui condannato, e nella Immortale Dei egli vi contrappose il diritto cristiano e naturale.

Però poi lo stesso Leone XIII diede il via libera al ralliement, invitando i cattolici a partecipare a quella Repubblica e a quella Costituzione. Sulle motivazioni di questo “salto” si interroga appunto Claude Barthe. Egli innanzitutto fa notare che già nella Immortale Dei, verso la conclusione, papa Leone aveva ammesso che anche lo Stato liberale «poteva essere cattolicizzato»: «Perciò è evidente che i cattolici hanno buona ragione di prendere parte alla vita politica; infatti non lo fanno, né lo devono fare, per sanzionare ciò che vi ha di riprovevole nei vigenti sistemi, ma bensì per far servire questi sistemi medesimi, per quanto è possibile, al genuino e vero bene pubblico, e con lo scopo di far circolare in tutte le vene del corpo sociale, come succo e sangue vivificatore, lo spirito e il benefico influsso della Chiesa». Da qui, poi, l’enciclica Au milieu des sollicitudes, per cui, secondo Barthe, il “papa antimoderno” sarebbe diventato il “papa conciliatore”.

Così egli spiega il passaggio. Tradizionalmente il magistero ha insegnato che la democrazia è una forma di governo, insieme alla monarchia e all’aristocrazia, e che la forma di governo è neutra e indifferente, dato che tutto dipende da come viene usata, a quali fini viene indirizzata. La Chiesa non battezza né condanna nessuna forma di governo. Leone si rifà a questa concezione e separa i “poteri costituiti” dalla loro “legislazione”, sostenendo che la repubblica democratica è una forma di governo né positiva né negativa, tutto dipende dalla legislazione, sulla quale possono appunto agire i cattolici impegnati in politica. Questo il succo della Au milieu des sollicitudes. Solo che la repubblica democratica liberale non era e non è così, essa non è neutra e passibile di essere utilizzata in un modo buono e uno cattivo. Era stato proprio lui, Leone, a parlare di un “diritto nuovo”, altro che neutralità.

Stefano Fontana