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LA SCOMPARSA

L'enigmatico ultimo saluto di David Bowie

David Bowie, il rivoluzionario "Duca Bianco", è spirato all'età di 69 anni, poco dopo l'uscita del suo ultimo album Blackstar. Video lugubri, testi enigmatici e sette brani, gli ultimi del disco, che ora hanno davvero il sapore di un epitaffio, di un'uscita di scena affrontata con estrema lucidità, dopo anni di sofferenza. 

Cultura 12_01_2016
David Bowie

Tutti stavano parlando da giorni di David Bowie, in occasione dell’uscita – il giorno del suo 69esimo compleanno, quattro giorni fa – del suo ultimo lavoro, quello con la stella nera in copertina chiamato per l’appunto Blackstar. Grande battage pubblicitario e grande risonanza per questo album, anticipato dall’uscita di due video: i dieci minuti netti, più che apocalittici, a-temporali e pieni di oscure metafore, di Blackstar, che una volta visti e ascoltati lasciavano una innegabile angoscia ed insieme la voglia di ascoltare di nuovo quell’intreccio compatto di suoni, solcato senza fretta da una specie di litania. Senza volere – né potere – scendere in tutti i particolari del video, pare di assistere ad uno strano rituale in cui simboli religiosi, iconografici e una buona dose di scenari fantascientifici si mescolano rendendo difficile se non impossibile la decodificazione dei significati. 

Più chiaro invece il secondo video (ed il secondo pezzo, of course), già dal titolo: Lazarus. Se in Blackstar spirava solo una fosca aura di morte, qui è presente uno sprazzo di resurrezione. L’angosciante volto coperto di bende con i bottoni al posto degli occhi ritorna anche qui – era presente anche nel primo video, qui è imprigionato in un letto - ma appare anche un altro Bowie, fasciato da una tuta nera, che addirittura accenna dei passi di danza vagamente twist, insieme al tentativo di scrivere – di lasciare qualcosa? – e ad alcuni altri gesti molto drammatici e ripetitivi. Da un armadio socchiuso all’inizio del video esce una figura femminile spettrale (presente peraltro anche in Blackstar) e alla fine del video in quell’armadio entra lui. Il resto della scena è una stanza spoglia, piastrellata di bianco, ed il letto dove Bowie è sdraiato e da cui cerca di alzarsi. Ma sotto il letto è rannicchiata la donna che, evidente riferimento alla malattia e alla morte, al letto lo tiene legato. Drammatico il grido finale I’ll be free, sarò libero. 

Bowie è sempre stato un artista controverso, ma sicuramente importante per alcune pietre miliari che ha lasciato sul suo cammino ed alcune collaborazioni di lusso – solo per ricordarne due, Under Pressure insieme ai Queen, ma anche la meno ricordata ma bellissima This Is Not America, realizzata con Pat Metheny Group per la colonna sonora del film Il gioco del falco. Sempre aderente al tempo in cui viveva, anzi talvolta anticipando alcune tendenze, è stato un artista che grazie al suo carisma e al suo inconfondibile timbro vocale ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica moderna. E allora perché nel ricordarlo dedicare quasi tutto lo spazio alle ultime orme lasciate proprio poco prima di andarsene? 

Quando ieri mattina è girata la notizia della sua morte, la mente è andata ad un esempio che un grande maestro, Don Luigi Giussani, faceva durante le sue lezioni del corso sul Senso Religioso. Immaginava di incontrare un amico e di salutarlo in modo distratto, come tante volte accade nelle nostre giornate, in cui corriamo da un appuntamento all’altro in modo frenetico. Ma qualche giorno dopo quell’amico muore. E quel saluto distratto, a cui non avevamo pensato più, diventa l’ultima volta in cui lo abbiamo visto e, senza volerlo, acquista un significato eterno.

Così le ultime sette canzoni contenute nell’ultimo album hanno davvero il sapore di un epitaffio, di un’uscita di scena sorprendente, ma poi neanche molto, vista la lunga malattia. E di un carattere forte, che probabilmente ha voluto finire quanto aveva cominciato, come Johnny Cash che malato e quasi cieco, volle concludere il suo ultimo lavoro, o Freddy Mercury, che cantò fino all’ultimo soffio di energia che ebbe da impiegare. 

Ma forse, più che nelle immagini tetre dei due video citati, Bowie ha voluto riassumere l’essenza della sua personalità sfaccettata in I Can't Give Everything Away, canzone che non a caso ha collocato alla fine dell’album. I can’t give everything away: Non posso svelare tutto – secondo uno dei significati possibili. Infatti le liriche dicono: “Vedere di più (più chiaro) ma sentire, percepire di meno / dire NO ma intendere SI/ Questo è quello che ho sempre inteso / Questo è il messaggio che ho inviato”. Enigmatico fino all’ultimo.  

Insieme a questa, un’altra, ultima, suggestione. Assolutamente personale. Nessuno può entrare nel cuore di un uomo davanti al momento estremo della propria vita. Ma chissà che David Bowie, dopo essere rientrato nell’armadio, non abbia incontrato e riconosciuto una stella che non era poi così nera. Che non era affatto nera, e che magari gli ha permesso proprio di marcare nuovamente il territorio, di raccontare l’ultima storia, prima di affrontare l’ultimo viaggio. Questa è la speranza.