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L'enigma di Mattarella sulle leggi che non gli piacciono

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È giallo sulle parole del Capo dello Stato, che ha ammesso di aver più volte promulgato cose che non condivideva. Forse l'autonomia differenziata? Quale che fosse il riferimento, trapela la sua contrarietà a certe norme considerate importanti dal governo in carica.

Editoriali 18_11_2024
IMAGOECONOMICA FRANCESCO AMMENDOLA

Nella nostra Repubblica parlamentare il Parlamento è sovrano e il Presidente della Repubblica ha una funzione puramente notarile. Questo emerge dalla lettura attenta della nostra Costituzione ed è quanto i Capi dello Stato che si sono succeduti dal 1948 a oggi hanno attuato, salvo eccezioni. Sicuramente le picconate di Francesco Cossiga o alcune indebite ingerenze di Oscar Luigi Scalfaro o Giorgio Napolitano nella dialettica tra i partiti hanno fatto vacillare questa impalcatura costituzionale. Ma anche riavvolgendo il nastro degli altri settennati si scorgono esempi di interventismo che sembrano cozzare con questa visione di un Quirinale più osservatore che attore della vita politica.
Nel caso di Sergio Mattarella si può certamente dire che le sue condotte istituzionali hanno oscillato tra i due modelli (interventista e astensionista). In alcune occasioni Mattarella ha mostrato grande rispetto nei confronti delle forze politiche in competizione, altre volte è sembrato assumere posizioni di parte.

Le sue parole pronunciate nei giorni scorsi a proposito dei confini dei suoi poteri, oltre che accendere discussioni tra i costituzionalisti, si sono prestate a diverse interpretazioni di natura politica.
«Più volte ho promulgato leggi che non condivido, che ritenevo sbagliate e inopportune – ha detto Mattarella – Ma erano state votate dal Parlamento e io ho il dovere di promulgare a meno che non siano evidenti incostituzionalità. Un solo dubbio non mi autorizza a non promulgare». Durante i nove anni di Mattarella al Colle, sono transitati per Palazzo Chigi sei governi: quelli di Matteo Renzi, di Paolo Gentiloni, il primo e secondo di Giuseppe Conte, quello di Mario Draghi e poi quello attualmente in carica di Giorgia Meloni. E di norme discusse e controverse è piena la Gazzetta ufficiale.
Dunque appare difficile decifrare quanto detto dall’inquilino del Colle. Di solito, però, non si sbaglia se si prova a contestualizzare una sua esternazione e la si ricollega agli argomenti al centro del dibattito degli ultimi giorni.

Molti hanno ricondotto queste considerazioni presidenziali al testo di legge sull’autonomia differenziata, attribuendo a Mattarella una certa ostilità a quella riforma. Potrebbe essere, visto che la sinistra con le sue diverse componenti ha osteggiato fin dall’inizio il testo proposto dal Ministro Roberto Calderoli e ha fatto di tutto per affossarlo, proponendo anche un referendum abrogativo.
Quindi il Capo dello Stato si riferiva a quello quando ha ammesso di aver ingoiato dei rospi, cioè di essere stato costretto dal dettato costituzionale a firmare leggi secondo lui sbagliate e inopportune? Può darsi, ma non è da escludere che possa aver dubitato o tentennato anche nel firmare altre leggi come quella sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio o quella sul divieto di maternità surrogata, qualificato ora come reato universale, quindi punibile anche se commesso all’estero.
Secondo qualcuno Mattarella, uomo con una storia di sinistra, ha voluto lanciare un assist alle forze di sinistra e mettere le mani avanti, come a dire: “Io non posso oppormi a leggi che non condivido, ma voi in Parlamento, con i referendum e nelle piazze portate avanti le battaglie per cancellarle”.

C’è però un risvolto non da poco di queste ultime dichiarazioni del Presidente della Repubblica. È vero che sue eventuali riserve su singole leggi approvate dal Parlamento non dovrebbero impedirgli di firmarle ove non vi fossero dubbi di costituzionalità, ma è altrettanto innegabile che in passato alcuni suoi predecessori hanno dimostrato un maggiore coraggio, rifiutando una prima volta la promulgazione, come consentito dalla Costituzione.
Il Quirinale, infatti, può rinviare per una sola volta un testo di legge alle Camere e queste ultime potrebbero in linea teorica riapprovarlo senza cambiare neppure una virgola e a quel punto il Capo dello Stato sarebbe obbligato a promulgarlo. Tuttavia, di fronte alle riserve della prima carica dello Stato, i parlamentari solitamente promuovono un supplemento di riflessione e modificano almeno in parte il testo, rendendolo più conforme ai principi costituzionali. Si tratta, quindi, di un passaggio comunque migliorativo. È quanto accadde, ad esempio, nel dicembre 2003 quando il Parlamento approvò la legge Gasparri sull’emittenza radiotelevisiva e l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi rifiutò la promulgazione, chiedendo di migliorarne alcuni punti riguardanti in particolare i tetti anticoncentrazionistici (il paniere di voci del Sistema integrato delle comunicazioni). Le Camere impiegarono altri quattro mesi, fino alla fine di aprile 2004 per partorire il nuovo testo, che a quel punto Ciampi avrebbe comunque dovuto firmare, ma che certamente recepì alcune sue osservazioni.

Ecco perché le parole di Mattarella dei giorni scorsi, ineccepibili sul piano del rispetto della Costituzione, potrebbero alimentare forti polemiche perché lasciano trapelare un suo orientamento contrario a certe norme considerate importanti dal governo in carica. Inoltre potrebbero essere interpretate come un’autoassoluzione in tutti quei casi in cui il Capo dello Stato, nel legittimo esercizio dei suoi poteri, anziché firmare, potrebbe rifiutare almeno una prima volta la promulgazione di leggi di dubbia conformità costituzionale, favorendo in tal modo una loro revisione migliorativa. A beneficio di tutti e non solo di una parte politica.



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