Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
MADRID, COP25

L'emergenza climatica a cui Usa e Cina non credono

La conferenza internazionale sul clima (Cop25) si è aperta ieri a Madrid. Illustrati i casi limite, in questo caso l’inondazione di Majuro, Isole Marshall, si crea un clima emergenziale per chiedere politiche costose per tutti. Ma quanti ci credono veramente? Usa e Cina non ci credono. La Germania invece ci crede (e perde posti di lavoro).

Creato 03_12_2019
COP25, Sanchez (Spagna) introduce i lavori con Guterres (Onu)

La conferenza internazionale sul clima (Cop25) che si è aperta ieri a Madrid, presenta il consueto copione. Vengono illustrati i casi limite, in questo caso l’inondazione di Majuro, capitale delle Isole Marshall, per dimostrare quanto il tempo stringa. Una volta creato un clima emergenziale, soprattutto nelle opinioni pubbliche, i promotori della politica di lotta al riscaldamento globale propongono politiche sempre più ardue, costose e rapide.

Il riscaldamento globale antropico (causato dall’uomo) viene dato per scontato in queste periodiche conferenze. Però è una teoria, può non essere vera, come tutte le teorie. Su queste colonne abbiamo recentemente ospitato il parere del professor Pedrocchi, che dimostra, dati alla mano, quanto sia minimo l’impatto umano sulla variazione del clima. Pensare che possano esistere politiche economiche capaci di variare del tutto il numero dei gradi che aumenteranno in futuro, presuppone al contrario una certezza totale sulla materia. Come se l’uomo disponesse di un immaginario telecomando (fatto di riduzioni di emissioni, tasse, tariffe e riconversione delle fonti energetiche) con cui può regolare la temperatura media globale. Ma quanti ci credono?

Hilda Heine, la presidente delle Isole Marshall, piccola nazione insulare nel mezzo del Pacifico, è stata la prima a chiedere “fate presto”, in questi termini: “Siamo delusi dall’inadeguatezza dell’azione dei Paesi sviluppati e oltraggiati dalla ritirata di uno dei principali inquinatori (gli Usa, ndr) dagli Accordi di Parigi”. “Nel bel mezzo di un’emergenza climatica, la ritirata e l’inazione sono pari ad una collaborazione all’ecocidio. Riflettono una profonda mancanza nell’onorare gli impegni globali per proteggere i Paesi più vulnerabili”. “La nostra stessa esistenza è a rischio, la Cop25 deve dimostrare come vi sia un’aspirazione senza precedenti a impedire l’ecocidio”.

Le fa eco il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: “Il punto di non ritorno non è più così remoto – ha dichiarato ieri a Madrid – Nei prossimi 12 mesi, che saranno cruciali, è di fondamentale importanza che si prendano impegni nazionali più ambiziosi”. In particolar modo, i Paesi più industrializzati devono impegnarsi a: “iniziare immediatamente a ridurre le emissioni di gas serra ad un ritmo coerente con l’obiettivo della ‘carbon neutrality’ entro il 2050”. Il concetto di “carbon neutrality” è ambiguo ed è il risultato degli ultimi summit sul clima. In pratica è definito come “il punto in cui le emissioni di gas ad effetto serra non superano la capacità della terra di assorbire tali emissioni”. Dunque non è un azzeramento delle emissioni di gas serra. Ma una loro forte riduzione, fino ad una soglia naturale di sostenibilità.

Il grande assente, contro cui la Heine puntava il dito, è il presidente Usa Donald Trump. Il suo predecessore Barck Obama, nel 2015 aveva aderito agli Accordi di Parigi, che hanno fissato le linee guida della politica climatica. Nel 2016 gli Usa erano entrati ufficialmente nell’accordo. Ma Donald Trump, quest’anno si è ritirato e dal 2020 gli Usa saranno anche ufficialmente fuori. Il motivo è economico, soprattutto: benché gli Usa abbiano, di loro sponte, ridotto le emissioni di CO2 più di qualunque altro Paese industrializzato l’applicazione degli accordi di Parigi causerebbe una grave perdita di posti di lavoro.

La dimostrazione è in Europa, dove la Germania, in prima fila nelle politiche climatiche, sta assistendo a una crisi lavorativa sempre più importante. La Mercedes Benz, a causa dei suoi investimenti sulle auto elettriche, si avvia a licenziare 10mila dipendenti. La Audi ne potrebbe tagliare altri 10mila e la Volkswagen 7mila. In tutto, l’industria automobilistica tedesca, una delle più produttive in Europa, sta perdendo 40mila posti di lavoro nel corso del 2019. Il tutto a causa della politica di riduzione drastica delle emissioni attraverso la conversione al motore elettrico.

Dall’altra parte del mondo, c’è invece una Cina che alla vigilia della Cop25 accusava i Paesi “ricchi” e in particolar modo gli Stati Uniti, di non pagare abbastanza per aiutare i Paesi poveri a ridurre le loro emissioni. Pechino, tramite il viceministro degli Esteri Zhao Yingmin, ha lamentato che i Paesi più sviluppati non stiano onorando i loro impegni presi a Parigi, pari a 100 miliardi di dollari destinati ai Paesi in via di sviluppo. La Cina, dal canto suo, vanta di aver ridotto l’intensità delle emissioni di gas serra del 45% fra il 2005 e il 2018. Ma le emissioni della Cina, in assoluto, sono le maggiori del mondo e continuano ad aumentare, secondo un rapporto delle Nazioni Unite uscito alla vigilia della Cop25. Non solo: secondo uno studio del think tank Global Energy Monitor, la Cina sta costruendo tuttora più centrali a carbone (la maggior fonte di CO2) di tutto il resto del mondo messo assieme. La Cina sta costruendo, in particolare, centrali che avranno una capacità complessiva di 148 gigawatt. Si tratta di una potenza immensa, considerando che le centrali a carbone in tutta l’Ue producono un totale di 150 gigawatt e che in tutto il mondo ne stanno costruendo per un totale di 105 gigawatt.

Gli stessi Paesi protagonisti dell'economia mondiale, dunque, credono ben poco a questi impegni. Solo l’Ue, soprattutto con la nuova Commissione Von der Leyen, si pone obiettivi molto ambiziosi e a far pagare il conto ai suoi cittadini, a colpi di tariffe e tasse tutte all’insegna dell’emergenza climatica. Con conseguente perdita di posti di lavoro.