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DIBATTITO

Legge elettorale, guardiamo alla Spagna

La riforma della legge elettorale va affrontata in Parlamento, Un sistema interessante è quello che prevede il proporzionale in piccole circoscrizioni.

Attualità 12_10_2011
elezioni

“La notizia è che la richiesta di referendum sulla riforma del sistema elettorale ha trionfato con un milione e duecentomila firme (ne bastavano 500.000). Se verrà accettato dalla Corte Costituzionale, molti dicono e scrivono “che così si tornerebbe al sistema precedente, al Mattarellum”. Ma non è vero o comunque non è detto”.Sono queste le parole con le quali il prof. Giovanni Sartori - cioè la massima autorità nel campo dei sistemi elettorali e dell’ingegneria istituzionale – apre il suo editoriale dello scorso 3 ottobre su Il Corriere della Sera.

Con questa affermazione, e con i ragionamenti più dettagliati che la supportano nel prosieguo dell’articolo, Sartori non fornisce soltanto una valutazione circa l’inadeguatezza tecnica del referendum a riscrivere una legge elettorale senza alcun ulteriore supporto del legislatore, ma ribadisce, soprattutto, il principio fondamentale che, in una democrazia parlamentare, le leggi si fanno in Parlamento: soprattutto una legge così delicata, e complessa nei suoi effetti, quale la legge elettorale.

Il successo della raccolta firme per la richiesta di referendum sulla riforma del sistema elettorale prosegue e rafforza il senso della stagione dei referendum della scorsa primavera – che aldilà della razionalità oggettiva delle singole scelte prevalse – ha evidenziato il montante rigetto dell’opinione pubblica  nei confronti del “bipartitismo fasullo” imposto nel 2008 dal tacito accordo tra Berlusconi e Veltroni. In uno scenario inquietante di crisi economica, degrado morale, scontro politico e conflitti istituzionali, si è così aperta la crisi conclusiva del berlusconismo. Ancora una volta, come nei primi anni Novanta, è un referendum sul sistema elettorale che fa battere i rintocchi della campana per una stagione politica ormai esaurita. Ma il referendum elettorale non fornisce di per se la chiave per aprirne, positivamente, un’altra nuova.

Questo è compito della politica e, dunque del Parlamento. Almeno in questo passaggio così difficile della storia del nostro Paese, la politica ed il Parlamento dovrebbero trovare la dignità e la forza per affrontare la questione in un'ottica di largo respiro autenticamente rivolta al futuro della Nazione. Si deve lavorare ad una legge che non può e non deve servire soltanto ad evitare il referendum e a “tirare a campare” il più a lungo possibile. Al contrario, si deve, invece lavorare, con serietà e responsabilità, ad una legge capace di delineare il nuovo volto istituzionale dell’Italia di domani.

In effetti l’eredità che ci lascia la cosiddetta“seconda Repubblica” non è particolarmente esaltante: lascia, infatti, soprattutto la delusione delle molte aspettative e delle molte speranze accese e disattese. In mezzo a tutto ciò lascia, però, anche un qualcosa di molto importante a cui è difficile pensare che gli italiani possano tranquillamente accettare di rinunciare: la possibilità di scegliere, da prima e con il proprio voto, chi dovrà governare il Paese. La premessa indispensabile, cioè, per una governabilità che, tuttavia, nella realtà dei fatti non si è mai concretamente realizzata.


Agli italiani l’acquisizione di questa possibilità è costata politicamente molto, anzi, troppo. E’ stata pagata  con il definitivo disfacimento politico e culturale dei partiti - di tutti i partiti! -, con un netto scadimento della classe politica sempre più caratterizzata da un profondo distacco rispetto alla gente comune ed, infine, con un gravissimo degrado morale. Anche per questo è, allora, giusto e doveroso che la pressoché unica buona novità che ha portato “la seconda Repubblica” le sopravviva.

L’Italia ha avuto, e giustamente, una forte reazione di rigetto verso un bipartitismo forzato e fasullo, ma difficilmente rinuncerebbe di buon grado ad un bipolarismo, finalmente, sano e capace di portare governabilità senza però desertificare la politica. Le nostalgie della prima repubblica sono, in questo senso, sterili.


Una riforma del sistema elettorale, che auspichiamo realizzata dal Parlamento, dovrebbe allora rispondere ad almeno tre esigenze fondamentali che sono alla base del grave malessere dell’elettorato nei confronti della legge tuttora vigente:

-      garantire una governabilità effettiva salvaguardando la possibilità dell’elettorato di scegliere prima del voto chi dovrà governare il Paese;

-     garantire la possibilità di una reale partecipazione dei cittadini alle scelte della politica;

-     garantire un rinnovato e forte collegamento tra eletti ed elettori.


Per garantire una forte  partecipazione ed un forte rapporto tra elettori ed eletti la soluzione migliore è senza dubbio il sistema proporzionale con la preferenza. Sappiamo, tuttavia, anche che il proporzionale puro ha difficoltà a garantire la governabilità e priva l’elettorato della possibilità di scegliere direttamente chi dovrà governare. Inoltre conosciamo bene le degenerazioni a cui può portare il sistema delle preferenze. Si tratta, allora, di immaginare e mettere a punto un sistema che sappia contemperare governabilità e partecipazione.


In questo senso si è molto spesso parlato del “sistema tedesco” che, tuttavia - come anche è emerso nel dibattito sulla riforma elettorale organizzato nella scorsa primavera dalla Fondazione Europa popolare - ha cominciato, in questi ultimi anni, a mostrare i primi segni di affanno … tanto che, da qualche tempo, anche in Germania, si  dibatte sulla opportunità di una riforma del sistema elettorale.


Non si è invece, sino ad oggi, prestata particolare attenzione al modello elettorale spagnolo che, combinando il sistema elettorale proporzionale con circoscrizioni molto piccole, riesce a garantire, naturalmente, la governabilità in un quadro, sostanzialmente, bipolare. Un quadro, inoltre, in cui anche le minoranze realmente radicate nel territorio, riescono a trovare spazio per un’adeguata rappresentanza. Non varrebbe, allora, la pena di approfondire, quanto prima e più attentamente, questo modello ed i suoi possibili effetti in un contesto politico, sociale e culturale quale quello italiano?


(*) – Vicepresidente della Fondazione Italiana Europa Popolare