Legge elettorale, contro l'Europa
Mentre i partiti litigano e il presidente Napolitano spinge per la riforma in modo irrituale, tutti sembrano ignorare una norma europea che vieta di cambiare a meno di un anno dal voto. Giusto un mese fa condannata la Bulgaria.
Dice Casini, che come sappiamo non sbaglia mai, che questa sarà la settimana decisiva per la modifica della legge elettorale. L’impegno appare strenuo, per garantire ai cittadini la libertà di scegliere i loro candidati sottratta dal porcellum. Intenzione che maschera il vero obiettivo: realizzare nuove regole, che da un lato consentano un premio adeguato al partito di maggioranza relativa, il PD, senza però farlo stravincere, perché Monti piace ancora a tutti, dall’altro arginino l’affermazione del “Movimento 5 Stelle”, contro il quale è stato elaborato, nel testo in discussione al Senato, un emendamento bipartisan a firma Enzo Bianco (Pd) e Lucio Malan (Pdl), che dovrebbe imporre ai partiti e ai movimenti di dotarsi di un vero e proprio statuto, mentre i “grillini” hanno un “non statuto”, come lo definisce il comico genovese.
In realtà, la storia del cambiamento della legge elettorale è interamente comica. Basti pensare che c’è stato anche chi – il costituzionalista Michele Ainis, dalle colonne del Corriere della Sera – ha proposto addirittura che su questa materia si proceda per decreto legge. Una posizione paradossale, se si considera che una proposta del genere è contraria all’art. 72 della Carta Costituzionale, che recita: “La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi“. Solo il Parlamento, quindi, può approvare una nuova legge elettorale.
E il Parlamento che fa da mesi? Litiga e incassa i rimbrotti del Presidente della Repubblica, il quale, anziché inviare a tempo debito un messaggio alle Camere - unico strumento d’interlocuzione politica che, a Costituzione vigente, il Presidente della Repubblica può avere con il Parlamento – incita anch’egli alla riforma della legge elettorale e condiziona la scelta della data in cui sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, a questa supposta necessità.
Il Partito Democratico sta alla finestra, forte dei sondaggi che lo danno come primo partito e del fatto che con la legge attuale avrebbe la maggioranza dei voti per lo meno alla Camera. Si è opposto alla proposta del PDL, che prevedeva la soglia del 40% per ottenere il premio di maggioranza, ma dalle cronache delle ultime ore, è emersa la “sorpresa” della proposta Quagliariello, che in accordo con Malan, relatore del disegno di legge in aula e soprattutto con Alfano – che pare voglia a tutti costi chiudere l’accordo con il PD – ha proposto il premio di 50 seggi al partito o alla coalizione che raccoglie più del 25% dei voti. Inizialmente, la proposta del PDL era di 32 seggi, la controproposta del PD di 60. Si è trovata la via di mezzo. Si è barattato, insomma.
Il PDL, però – o almeno la parte che fa capo ad Alfano, riunito l’altra sera insieme a Cicchitto, Gasparri, La Russa e Quagliariello a cena in un ristorante romano, come ha raccontato Il Giornale - deve ancora fare i conti con Berlusconi. Il leader di quel che resta del centrodestra sarebbe contrario alle preferenze, vorrebbe l’election day il 10 febbraio (ora impossibile, visto che il TAR ha fissato le elezioni per il Lazio il 3 febbraio) e soprattutto non rinuncerebbe, dopo la vittoria di Bersani, di candidarsi di nuovo, facendo saltare le fantomatiche primarie, convocate, ma non ancora fissate.
La situazione è, come si vede, alquanto ingarbugliata, per usare un eufemismo.
Resta sullo sfondo una questione di un qualche rilievo, che nessuno evoca, perché non fa comodo. E’ il "Codice di buona condotta in materia elettorale", elaborato nel 2003 dalla Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto (Commissione di Venezia), organo consultivo del Consiglio d'Europa, che determina le regole fondamentali del meccanismo elettivo negli Stati membri al fine di garantire la democrazia e la regolarità delle elezioni. Le regole riguardano i principi costituzionali fondamentali: il diritto al voto generale, libero, uguale, diretto e segreto, la periodicità delle elezioni, le modalità per preservare i diritti fondamentali, la stabilità del diritto elettorale e le garanzie procedurali per l’organizzazione dei turni elettorali. Il Consiglio d'Europa ritiene essenziale per considerare delle elezioni corrette e democratiche il rispetto di questa norma: "gli elementi fondamentali del diritto elettorale non devono poter essere modificati nell'anno che precede le elezioni". L’Europa, quindi, avverte: nessuna modifica della legge elettorale prima del voto, pena sanzioni. Peraltro proprio lo scorso 6 novembre è stata condannata la Bulgaria per avere introdotto modifiche alla legge elettorale a pochi mesi dal voto.
E’ una regola conosciuta da tutti e da tutti evidentemente ignorata. Il richiamo all’Europa vale solo quando fa comodo, non vale invece quando detta regole precise sullo svolgimento del processo democratico. E quando si iniziano a violare le regole, non c’è argine che tenga.