Legalità, un totem che non vale per gli Islamici
Il buonismo che genera illegalità ha il volto di amministratori comunali ed esponenti politici che in questi anni hanno chiuso gli occhi sull'arroganza islamica. A Sesto il sindaco dice no al palasport per gli islamici che sono morosi per 320mila euro e a Roma i seguaci di Maometto provocano annunciando una manifestaizone davanti al Colosseo. La Sinistra, Pd compreso, li difende. Ma la legalità vale solo se c'è dimezzo la Mafia?
Il buonismo che genera illegalità ha il volto di amministratori comunali ed esponenti politici che in questi anni hanno chiuso gli occhi su tutto. Anche sull’arroganza con la quale le associazioni di promozione islamica, spacciate da comunità religiose, pretendono spazi riservati al culto senza avere il benché minimo requisito legale. Due episodi accaduti in queste ore lo dimostrano.
A Sesto San Giovanni dopo 70 anni di incontrastato dominio rosso, il neo sindaco di Forza Italia Roberto Di Stefano ha guardato dentro il corposo dossier dei rapporti con le locali comunità islamiche e come prima cosa ha stoppato il mega progetto di costruzione di una moschea. Troppa confusione sui finanziamenti, ha fatto sapere il primo cittadino. Poi ha scoperto che la principale associazione islamica deve al Comune la bellezza di 320mila euro. Soldi questi che il Comune sborsa dal 2010, da quando le precedenti amministrazioni hanno iniziato a concedere l’uso del Palasesto per la celebrazione della Festa del Sacrificio di Abramo, in arabo chiamata Eid al Adha.
«Nonostante la mia richiesta scritta, non ho ancora ricevuto i bilanci del centro visti i dubbi sui finanziamenti. Di fronte a accordi non rispettati e documenti non consegnati sarebbe assurdo concedere una deroga o un trattamento di favore». Insomma: non appena ha deciso di guardarci dentro, il sindaco ha scoperto che in questi anni le amministrazioni rosse hanno concesso spazi di culto agli islamici di Sesto senza però avere in cambio il rispetto della legalità. Ma la cosa non poteva finire qui.
Infatti il Pd si è subito stracciato le vesti e ha iniziato a gridare alla violazione della libertà di culto. A farsene portavoce il senatore Dem Franco Mirabelli, che ha persino scritto al ministro degli Interni e al prefetto per «intervenire con urgenza per impedire che a Sesto San Giovanni l'amministrazione comunale privi un'intera comunità di un diritto fondamentale come quello che garantisce la libertà di culto e il suo esercizio a tutti i cittadini e a tutte le confessioni religiose». Ovviamente il tentativo cela anche il timore, che «negare il palazzetto alla comunità islamica ci espone al rischio di tensioni in città che potrebbero minare la convivenza tra comunità», come hanno scritto i rappresentanti Dem in consiglio comunale. Della serie: dato che abbiamo paura di voi, vi concederemmo volentieri tutto quello che volete perché temiamo rappresaglie. Il pensiero non può non andare al fatto che proprio a Sesto San Giovanni è stato ucciso l’attentatore di Berlino Anis Amri, dopo aver girovagato indisturbato per la Germania e Francia. Il comportamento del Pd in questo caso almeno si mostra come un atteggiamento pavido e remissivo che di fronte alla paura dell’islamico preferisce chiudere gli occhi sul rispetto della legalità. Il modo migliore per capitolare senza colpo ferire.
Anche a Roma la situazione non è diversa. La sinistra che siede in Campidoglio ha parlato di violazione della libertà di culto anche circa la richiesta di una associazione di fedeli musulmani del Bangladesh chiamata Dhuumcatu.
Nei giorni scorsi avevano annunciato che avrebbero celebrato la festa del sacrificio o dello sgozzamento niente meno che sotto l’Arco di Costantino, di fianco al Colosseo. La questura martedì ha vietato all’associazione di manifestare in quel luogo così gravido di storia e di simboli perché le nuove norme antiterrorismo lo impediscono. Ovviamente anche in questo caso in molti si sono stracciati le vesti facendo passare la questura come ottusa e gli islamici come potere vittime discriminate.
Ma non è così. Il decreto emesso dal capo di gabinetto della polizia romana dimostra che quella dell’associazione Dhuumcatu è stata una provocazione. Vi si legge infatti che l’associazione aveva chiesto alla Questura il permesso per manifestare in un punto preciso di Piazza Vittorio Emanuele II, ma contemporaneamente anche altre due associazioni di seguaci di Maometto avevano avanzato la stessa richiesta. Così il questore ha disposto che le tre associazioni si accordassero sui tempi di preghiera. Ma, mentre le prime due associazioni avevano accettato, la terza Dhuumcatu, ha rifiutato di accordarsi e ha minacciato che se non gli fosse stato concesso lo spazio nelle modalità richieste avrebbe portato i fedeli a manifestare sotto l’Arco di Costantino.
Tempo neanche che la richiesta venisse protocollata che i fedeli avevano già scritto e diffuso volantini e aperto pagine Facebook sull’evento religioso sotto l’Anfiteatro Flavio, dove una volta i cristiani venivano utilizzati come carne da macello per i ludi. Con il no della Questura sono passarti da vittime e hanno annunciato che la loro manifestazione si svolgerà il 1 di settembre in Largo Preneste. Peccato che la prescrizione della questura autorizzo loro uno spazio differente in Piazza Vittorio Emanuele II.
Questi due episodi confermano che la politica italiana per quieto vivere è disposta a passare sopra la legalità per timore degli islamici. Quella stessa legalità che diventa totem quando si parla di mafia o camorra, viene comodamente calpestata se si tratta di accontentare chi, con furbizia e provocazione, vuole occupare spazi senza averne i requisiti.