L'educazione spetta alle famiglie. Trump vuole abolire il Dipartimento
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L'educazione torni agli Stati e alle famiglie. Il governo centrale resti fuori. Questo è il senso dell'ultimo rivoluzionario ordine esecutivo di Donald Trump. Dà inizio a una battaglia difficile in cui si troverà contro Democratici e sindacati.

Con un altro ordine esecutivo che farà discutere molto, il presidente americano Donald Trump ha dato disposizioni per lo smantellamento del Dipartimento dell’Educazione. Non si tratta di un procedimento facile, occorrerà un voto al Congresso a maggioranza qualificata per abolire il Dipartimento federale e, con la maggioranza risicata di cui dispongono i Repubblicani i numeri non ci sono, a meno di non convincere qualche Democratico a disertare. Ma sarà sempre possibile ridurre il Dipartimento ai minimi termini. E il principio, intanto, è passato: l’istruzione non è compito del governo federale, ma delle famiglie, prima di tutto, e in via sussidiaria delle istituzioni che rappresentano le comunità locali fino, al massimo, al livello dello Stato.
Prima di tutto è bene distinguere il Dipartimento dell’Educazione degli Usa dal nostro Ministero dell’Istruzione. Il primo non gestisce direttamente le scuole pubbliche del paese che restano appannaggio dei singoli Stati. Si tratta di un’amministrazione relativamente piccola, finanziata mediamente con appena il 2% del budget federale annuale. Ed è molto recente, istituita durante l’amministrazione Carter nel 1979, con una legge votata da un Congresso a maggioranza democratica. Serve, tuttavia, per dare un indirizzo all’educazione pubblica, vigilare sul rispetto dei diritti civili nelle scuole e concedere prestiti agli studenti. I Repubblicani, a partire da Reagan nel 1981, hanno sempre visto con sospetto questa nuova istituzione, temendo politicizzazione e indottrinamento liberal. Ma non l’hanno mai abolita. Anzi, hanno contribuito ad ampliare i prestiti agli studenti che, attualmente ammontano a quasi 1.700 miliardi di dollari concessi a 43 milioni di debitori in tutto il paese.
Linda McMahon, attuale segretaria all’Educazione avrà dunque il primo e più difficile compito di tagliare sui prestiti federali concessi agli studenti. Una voce di spesa che finora era stata trattata come una “mangiatoia” elettorale, soprattutto dai presidenti e dai candidati democratici. E si può solo immaginare quanta opposizione ci sarà in Congresso. Un’altra fonte di dissenso è quella dei sindacati degli insegnanti. «Ci vediamo in tribunale!» è stato il laconico e chiaro commento di Randi Weingarten, della Federazione Americana degli Insegnanti. Alcune cause sono già in corso, una intentata da procuratori generali democratici contro i licenziamenti nel Dipartimento che ne impedirebbero già il regolare funzionamento, un’altra dei genitori degli studenti con disabilità che temono di perdere le agevolazioni sinora concesse e infine altre due cause contro il taglio degli incentivi a sostegno dell’insegnamento di qualità.
Il guanto di sfida è stato comunque lanciato. E la sfida riguarda principi fondamentali sull’educazione che possiamo leggere già nell’introduzione dell’ordine esecutivo di Trump: « Il futuro luminoso della nostra nazione si basa su famiglie responsabili, comunità impegnate e ottime opportunità educative per ogni bambino. Purtroppo, l'esperimento di controllare l’educazione americana attraverso programmi e fondi federali, e la burocrazia irresponsabile che questi programmi e fondi sostengono, ha chiaramente deluso i nostri figli, i nostri insegnanti e le nostre famiglie». In sintesi: l’educazione parte dalla famiglia e non dallo Stato. Un principio che, per altro, sarebbe anche nella nostra Costituzione italiana, se solo qualcuno lo ricordasse.