Le unioni di fatto affossano il matrimonio
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Gli ultimi dati Istat rilevano una riduzione del vincolo del matrimonio: nel 2023 i primi matrimoni sono stati 139.887 (con una diminuzione del 4,3% rispetto al 2022). Frutto della progressiva diffusione delle unioni di fatto, che invece crescono.
Le famiglie presentano oggi fisionomia e caratteristiche molto differenti rispetto al passato, anche recente, per effetto dei profondi cambiamenti socio-culturali in atto. È sufficiente entrare in una scuola dell’infanzia per accorgersi di quanto i contesti familiari siano differenti rispetto ad un unico modello di famiglia conosciuto in epoche storiche precedenti. Accanto alla famiglia legittima troviamo la convivenza “more uxorio”, accanto alla coppia eterosessuale, quella omosessuale.
In Europa si assiste alla crisi dell’istituto matrimoniale e parallelamente si registra un progressivo aumento dei matrimoni civili, delle unioni libere e conseguentemente del numero di figli nati fuori dal matrimonio. In Italia l’incidenza del fenomeno è più contenuta rispetto ad altri paesi europei: nuovi comportamenti familiari hanno iniziato a diffondersi dalla metà degli anni ‘70, con tempi e intensità diverse nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno. Dalla metà degli anni ‘90 il quadro inizia a mutare più rapidamente e i comportamenti familiari “innovativi” diventano sempre più evidenti.
L’ultimo rapporto ISTAT conferma la tendenza alla diminuzione della nuzialità che si osserva in Italia da oltre quarant’anni: nel 2023 sono stati celebrati in Italia 184.207 matrimoni, in diminuzione rispetto all’anno precedente (-2,6%). I dati provvisori dei primi otto mesi del 2024 mettono in luce un’ulteriore diminuzione (-6,7%), a conferma di una costante riduzione della celebrazione dei matrimoni negli ultimi quarant’anni.
I dati rilevano una importante riduzione della propensione a sancire la prima unione con il vincolo del matrimonio: nel 2023 i primi matrimoni in Italia sono stati 139.887 (con una diminuzione del 4,3% rispetto all’anno precedente) e rappresentano una quota pari al 75,9% rispetto al totale delle celebrazioni. La minore propensione a sancire con il vincolo matrimoniale la prima unione è da mettere in relazione con la progressiva diffusione delle unioni di fatto (convivenze more uxorio). Le libere unioni e le famiglie ricostituite non coniugate (nelle quali uno o entrambi i partners provengono da un matrimonio precedente) sono sempre più frequenti. Le convivenze more uxorio rappresentano un fenomeno in forte crescita essendo più che triplicate tra il biennio 2000-2001 e il biennio 2022-2023 (da circa 440mila a più di 1 milione e 600mila).
Parallelamente si registra un continuo aumento della quota dei matrimoni celebrati solo con rito civile: nel 2023 circa 6 matrimoni su 10 (pari al 58,9%) sono stati celebrati col rito civile, in continuità con il valore dell’anno precedente (56,4%) e in linea con l’aumento tendenziale osservato nel periodo pre-pandemico (52,6% nel 2019). Il rito civile è chiaramente più diffuso nelle seconde nozze (95,0%), essendo spesso una scelta obbligata, e nei matrimoni con almeno uno sposo straniero. La scelta del rito civile va però diffondendosi sempre di più anche tra i primi matrimoni (47,5% nel 2023).
La legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà) ha introdotto in Italia l'istituto dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Nel corso del secondo semestre 2016 si sono costituite 2.336 unioni civili (coppie da tempo in attesa di ufficializzare il proprio legame). Al boom iniziale ha fatto poi seguito una progressiva stabilizzazione. Le 3.019 unioni civili tra coppie dello stesso sesso costituite presso gli Uffici di Stato Civile dei Comuni italiani nel 2023 evidenziano un aumento rispetto all’anno precedente (+7,3%), ma i dati provvisori dei primi otto mesi del 2024 delineano un calo (-2,1%) rispetto allo stesso periodo del 2023. Le unioni civili costituiscono un fenomeno sostanzialmente ridotto in rapporto alle celebrazioni matrimoniali.
L’andamento dei divorzi è stato sempre crescente dal 1970 (anno di introduzione del divorzio nell’ordinamento italiano) fino al 2015, anno in cui il numero dei divorzi ha subito una forte impennata (+57,5% in un solo anno). Tale aumento è da mettere in relazione all’entrata in vigore di due leggi: il Decreto legge 132/2014, che ha introdotto le procedure consensuali extragiudiziali senza più il ricorso ai Tribunali per separazione e divorzi (direttamente presso gli Uffici di Stato Civile o tramite negoziazioni assistite da avvocati) e soprattutto la Legge 55/2015 (c.d. “Divorzio breve”) che ha fortemente ridotto l’intervallo di tempo tra separazione e divorzio (dodici mesi per le separazioni giudiziali e sei mesi per quelle consensuali) determinando un significativo aumento dei divorzi.
Nel 2023 le separazioni sono state complessivamente 82.392 (-8,4% rispetto all’anno precedente). I divorzi sono stati 79.875, il 3,3% in meno rispetto al 2022. Il D.lgs. 149/2022 (c.d. riforma Cartabia), in vigore dal 28.02.2023, ha introdotto la possibilità di contestuale proposizione della domanda di separazione e di quella divorzile, con l’intento di velocizzare i processi in materia di famiglia. Non è però possibile ancora rilevare gli effetti della riforma in quanto lacune normative e varie sentenze interpretative successive hanno di fatto rallentato l’operatività delle nuove procedure (si pensi alla controversa questione circa la possibilità di proporre il cumulo delle domande in caso di separazione e divorzio congiunti, ritenuto ammissibile dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 28787 del 16.10.2023).
Accanto alla scelta dell’unione di fatto come modalità alternativa al matrimonio, sono in continuo aumento le convivenze pre-matrimoniali, le quali hanno certamente un effetto di rilievo sulla posticipazione del matrimonio. Ma è soprattutto la sempre più prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine a determinare il rinvio delle nozze. Questo fenomeno è dovuto a molteplici fattori: l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà del lavoro stesso. Tali fattori, unitamente ad un mutamento dei modelli culturali, pesano sulla decisione di formare una famiglia e di contrarre matrimonio (la quota di giovani che resta nella famiglia di origine fino alla soglia dei 35 anni è pari al 61,2%).
Il risultato emergente da questi dati è che la famiglia naturale composta dalla coppia coniugata con figli non è più il modello dominante. Se questi sono i numeri rappresentativi dello “status” familiare in Italia, quale importanza può ancora rivestire il matrimonio civile? E quale valore il matrimonio canonico? Quali trasformazioni sono in atto sui reciproci diritti e doveri coniugali? Quale sarà il “destino” della famiglia?