Le statuette idolatriche e l’insegnamento del Nabucco
Nella quarta parte del Nabucco di Verdi, intitolata «L’idolo infranto», re Nabucodònosor si inginocchia e chiede perdono al «Dio degli Ebrei», ordinando di abbattere la statua gigantesca del dio Belo. La storia ci ricorda poi che diversi santi combatterono gli idoli e i riti pagani, da san Benedetto ai martiri san Bonifacio e san Vigilio, a conferma che il cristianesimo è inconciliabile con il sincretismo.
La notizia che in questi giorni ci giunge intorno alle statuette della Pachamama - la dea madre venerata nella religione degli Inca - gettate nel Tevere da Ponte Sant’Angelo, ai piedi del Castello sovrastato dalla statua di san Michele, fa pensare al IV atto di Nabucco, l’opera di Giuseppe Verdi che fece conoscere il grande musicista italiano al grande pubblico. Su libretto di Temistocle Solera, in scena per la prima volta alla Scala di Milano il 9 marzo 1842 con gran successo, è l’opera che narra degli ebrei vinti e soggiogati dai babilonesi di Nabucodònosor nel 586 a.C. e che contiene il notissimo coro Va’ pensiero, il lamento dell’esule, dal Salmo 137, nel ricordo della patria distrutta e della libertà perduta.
Il librettista Temistocle Solera, integrando con elementi di sua fantasia (come l’amore non corrisposto di Abigaille per Ismaele), si è ispirato innanzitutto al libro del profeta Daniele (14, 1-22); poi al dramma francese Nabuchodonosor di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornu, rappresentato nel 1836 al Théatre de l’Ambigu-Comique di Parigi, tradotto dopo circa due anni in italiano; infine, al ballo storico Nabuccodonosor di Antonio Cortesi, rappresentato alla Scala il 27 ottobre 1836.
Nella quarta parte del Nabucco, intitolata «L’idolo infranto», si vede il protagonista, il secondo re dell’impero neobabilonese, che cade in ginocchio ed esclama: «Dio degli Ebrei, perdono!»; gli promette che «l’ara, il tempio a Te sacro, sorgeranno» e che «i miei riti struggerò». Più tardi Nabucco entra nel magnifico tempio del dio Belo; vi trova i sacerdoti, i Magi e le guardie; ordina di abbattere la statua gigantesca dell’«idol funesto», che però cade infranto da sé: «divin prodigio!», tutti esclamano, mentre, inginocchiati, lodano l’«immenso Jehovah».
L’idolo demoniaco, nell’opera verdiana, cade come colpito da una forza superiore. Non come avvenne, per fare qualche esempio, con san Benedetto abate quando si stabilì nella località
che si chiama Cassino, posto sul fianco di alta montagna…, dove era stato un antichissimo tempio, nel quale da uno stolto popolo di contadini era venerato Apollo con i riti degli antichi pagani. Tutt'intorno erano cresciuti boschetti sacri al culto del demonio, nei quali, ancora ai tempi di Benedetto, folle d’insensati idolatri si affaticavano in sacrileghi sacrifici. Appena arrivatovi, il servo di Dio, spezzò l’idolo, rovesciò l’altare, incendiò i boschetti sacri e sullo stesso tempio di Apollo innalzò la cappella di san Martino e dove sorgeva l’ara del medesimo Apollo costruì l’oratorio di san Giovanni; infine con la continua predicazione conduceva alla vera fede le popolazioni che dimoravano attorno (San Gregorio Magno, Liber Dialogorum, II, 8: PL 66, 152).
Oppure come fece san Bonifacio, il quale
percorse l’intera Frisia, e, aboliti i riti pagani e stroncati i costumi depravati dei gentili, predicava dappertutto indefessamente la parola di Dio; dopo avere spezzato gli idoli dei templi pagani, costruì con grande cura delle chiese. Battezzò parecchie migliaia di uomini, donne, fanciulli (Vita S. Bonifatii, auctore Willibaldo, ed. Levison, p. 47).
E nemmeno come fece papa Liberio, che «battezzò» gli Ambarvalia pagani e li trasformò nelle cosiddette Rogazioni Maggiori, pregate il giorno di san Marco (25 aprile), come spiega in modo eccellente il beato cardinale Ildefonso Schuster a proposito della processione e Messa stazionale a San Pietro (Liber Sacramentorum, Vol. IV, Torino-Roma, 1930, p. 119):
Questa solenne processione che altra volta da San Lorenzo in Lucina si recava a San Pietro percorrendo la via Flaminia, il ponte Milvio e costeggiando il Tevere sino ai campi vaticani, sostituiva originariamente l’antica festa dell’Ambarvale o dei Robigalia pagani. Questa ricorreva ai 25 di aprile, e la gioventù romana soleva andare oltre il ponte Milvio a sacrificare a Robigo, il dio che preservava le biade dalla ruggine. La Chiesa romana, adottando la consuetudine popolare, ne ha elevato il significato, insegnando che non è il favore di Robigo, ma la vita devota, l’umile preghiera e l’intercessione dei Santi, sovrattutto del Pastor ovium san Pietro, quelle che disarmano la giustizia di Dio irritata dai nostri peccati.
La sorte di re Nabucco, poi, non è quella di san Vigilio di Trento, martire proprio per aver estirpato i residui dei culti idolatri.
L'enumerazione degli idoli pagani abbattuti, distrutti, bruciati potrebbe continuare con le tante immagini trascritte dall’iconografia cristiana (come si vede qui), ma bastino questi accenni. E se ci rattrista il sincretismo, che porta taluni a profanare chiese con riti in cui seguono idoli, pregando e cantando, ci consoli l’opera lirica.