Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
NORVEGIA

Le renne battono i parchi eolici. E le follie verdi Ue?

La Corte suprema norvegese ha stabilito che due parchi eolici danneggiano l’allevamento tradizionale delle renne dei Sami e 151 turbine sono illegali. La decisione si fonda sulla norma di un trattato Onu che protegge le minoranze. E apre a conseguenze in altri Paesi. Ma intanto l’Ue prosegue, gravando sui cittadini, con la sua costosa ideologia green.

Attualità 18_10_2021

Alle renne è consentito vivere in pace, lo ha deciso la Corte suprema norvegese che ha bloccato uno dei maggiori impianti eolici europei. L’Unione europea, intanto, gioisce per l’enorme debito accumulato, sulle nostre spalle, con il successo dei green bond da 135 miliardi, ma le divisioni tra i Paesi e gli scontri con la Commissione si fanno sempre più pesanti.

La Corte suprema norvegese, lunedì 11 ottobre, ha stabilito che due parchi eolici danneggiano gli allevatori di renne Sami e 151 turbine sono illegali; i giudici hanno dichiarato nulle le licenze rilasciate dal Governo per costruire e gestire le turbine, perché violano il Patto internazionale sui diritti civili e politici. L’articolo 27 di tale trattato delle Nazioni Unite afferma che i membri delle minoranze etniche “non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo”. L’allevamento tradizionale delle renne dei Sami è quindi una forma di pratica culturale protetta, questa la valutazione del tribunale norvegese. Due parchi eolici nella Norvegia occidentale stanno danneggiando gli allevatori Sami, perché non solo hanno invaso i loro pascoli ma anche, con la loro rumorosa attività, creato seri danni alla salute e alle abitudini delle renne.

Non è immediatamente chiaro quali saranno le conseguenze della sentenza, ma gli avvocati dei pastori hanno chiesto che le 151 turbine sulla penisola di Fosen vengano abbattute. Fosen Vind è un complesso di sei parchi eolici onshore (sulla terraferma) in Norvegia, commissionato nel 2018-20. Con una capacità nominale di un gigawatt, il progetto è il secondo parco eolico onshore più grande d’Europa e con la sua produzione ha più che raddoppiato la capacità di generazione di energia eolica della Norvegia. Un danno non da poco per la produzione “green” della Norvegia. “La loro costruzione è stata dichiarata illegale e sarebbe illegale continuare a farle funzionare”, ha detto Andreas Bronner, che rappresenta un gruppo di pastori che hanno denunciato i danni subiti da uno dei due parchi eolici. Ole Berthelsen, un portavoce del Ministero norvegese per il petrolio e l’energia, ha preso tempo e anticipato che, a suo parere, il “verdetto della Corte suprema crea la necessità di chiarire la situazione” e il Governo valuterà il da farsi. Tom Kristian Larsen, direttore generale di Fosen Vind, si è detto sorpreso per la decisione perché la società che gestisce gli impianti aveva ottenuto tutte le concessioni “dalle autorità dopo un processo lungo e dettagliato che ha sentito tutte le parti”.

Il precedente creatosi con la decisione della Corte suprema norvegese, emblematico in sé, potrebbe provocare conseguenze impensabili in moltissimi altri Paesi. I gruppi Sami contano fino a 100.000 persone sparse tra Svezia, Finlandia, Norvegia e Russia e molti di loro si guadagnano da vivere allevando renne semidomestiche per commerciare e consumare la loro carne e le loro pelli. Orbene, le minoranze etniche, religiose e linguistiche sono centinaia in Europa e almeno 12 sono le comunità linguistiche in Italia. Possiamo solo immaginare cosa accadrà quando i pastori sardi o una delle altre 11 comunità di albanesi, catalani, croati, francesi, francoprovenzali, friulani, germanici, greci, ladini, occitani e sloveni diffuse nel territorio italiano, vorranno far valere le proprie ragioni e quelle dei propri animali da pascolo e allevamento nei confronti degli impianti eolici presenti nel territorio regionale dove vivono? E i diritti degli animali, durante la transumanza, dove li mettiamo?

Nell’Ue, al di là dell’entusiasmo dovuto al successo della raccolta di denari sul mercato finanziario per attuare il Green Deal, un debito per le future generazioni da almeno 135 miliardi di euro, emergono profonde divisioni sulle misure verdi che si vogliono introdurre con il piano “Fit for 55”. L’ultimo scontro è dei giorni scorsi quando il piano della Commissione europea di introdurre un mercato del carbonio separato per il trasporto su strada e il settore dell’edilizia, accanto all’attuale sistema comunitario di scambio delle emissioni (Ets), è stato ampiamente criticato dai ministri dell’Ambiente dei Paesi dell’Ue per i danni e aggravi economici che può arrecare a imprese e cittadini.

Alle giuste recriminazioni dei governi nazionali ha risposto ancora una volta il vicepresidente Frans Timmermans, ricattando i Paesi europei: “Credo che il fondo sociale per il clima, che è parte integrante del nuovo Ets, possa davvero aiutarci ad affrontare queste questioni, ma sia chiaro: niente questo secondo Ets, niente fondi sociali per il clima”. Nemmeno le misure europee per ‘calmierare’ i prezzi energetici, presentate dal commissario per l’Energia Kadri Simson il 13 ottobre, hanno soddisfatto le aspettative.

L’annuncio che gli Stati membri abbiano ricevuto “10,8 miliardi di euro in più nei primi nove mesi del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020”, unito all’affermazione “non c’è limite a quanto di questo fondo possa essere utilizzato per proteggere le famiglie vulnerabili (…), anche applicando un’aliquota fiscale ridotta sull’energia utilizzata dalle imprese, dalle famiglie ma anche esentando completamente i consumatori vulnerabili”, ha generato reazioni contrastanti. I rappresentanti dei consumatori si sono detti soddisfatti, ma restano in attesa delle misure che ogni singolo governo dovrà adottare, mentre i rappresentanti degli industriali (in particolare quelli ad alto consumo energetico come alluminio, zinco, fertilizzanti etc.), le ritengono assolutamente insufficienti e minacciano de-localizzazioni di impianti, chiusure temporanee e ripercussioni sui prezzi finali per i consumatori.

Pastori e renne norvegesi son dovuti andare nei tribunali per veder rispettati i loro diritti, che dovranno fare i cittadini europei per distogliere l’Europa dalle follie verdi?