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L'EDITORIALE

Le parole di Bagnasco e il compito di ciascuno di noi

Le immoralità private non diventino modelli pubblici. Nessuno escluso...
- Lo sgomento del Paese, di A. Bagnasco 
-
Il male sottile dell'Europa, di R. Cascioli

Editoriali 25_01_2011


Nessuno potrà dire che i vescovi sono rimasti in silenzio di fronte all’immoralità privata che diventa pubblica, allo spettacolo indecente che da giorni campeggia su Tv e giornali, al rincorrersi di intercettazioni, testimonianze e controtestimonianze sulle cene e i dopocena di Arcore, dipinti, a seconda dell’interrogata e dell’interrogante, ora come orge sfrenate, ora come ricevimenti nel più austero stile di Buckingham Palace.

Nella sua prolusione il cardinale presidente della Cei ha pronunciato parole inequivocabili riferite allo scandalo Ruby, che appare patetico – eppure è accaduto anche questo – voler far credere non fossero rivolte proprio all’indirizzo dell’inquilino di Palazzo Chigi. Ha parlato di «comportamenti contrari al pubblico decoro» e di «stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza», ricordando pure che chiunque accetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta».

Sistemato, per così dire, il Cavaliere – anche se non con la veemenza sperata dai suoi avversari, i quali, scopertisi improvvisamente nostalgici delle ingerenze ecclesiastiche, di fronte a Berlusconi sarebbero pronti anche a rispolverare i tribunali della santa Inquisizione pur di abbatterlo senza dover passare per le sempre fastidiose e alquanto incerte consultazioni elettorali – il cardinale Bagnasco non ha mancato di dire qualche parola sullo scontro tra poteri che è in atto, e di interrogarsi sull’«ingente mole di strumenti di indagine» messi in campo per accertare i reati a sfondo sessuale del premier.

Il presidente dei vescovi ha sottolineato con toni accorati il «miscelarsi in modo sempre più minaccioso la debolezza etica con la fibrillazione politica e istituzionale», ha detto che i poteri dello Stato «non solo si guardano con diffidenza ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni». Così, «passando da una situazione abnorme all’altra», ne risentono l’equilibrio generale e l’immagine generale del Paese.

L’appello più significativo da parte del cardinale non è stato tanto (o soltanto) quello sulla capacità «da parte di ciascuno di auto-limitarsi, di mantenersi cioè con sapienza entro i confini invalicabili delle proprie prerogative» - invito, questo sì, davvero bipartisan e rivolto proprio a tutti, Cavaliere compreso ma senza escludere politici, magistrati, mass-media. A colpire di più è stata la richiesta al Paese, alla società italiana tutta, di un sussulto morale e di una presa di coscienza della responsabilità educativa che ciascuno ha.

Non basta la famiglia: talvolta purtroppo, come si è visto nel caso Ruby, si scoprono genitori accondiscendenti con le aspirazioni delle figlie aspiranti starlette e con il loro modo spregiudicato di ottenere ciò che vogliono. Non bastano le agenzie educative, non basta la scuola. Bisogna che tutti, proprio tutti, avvertano il compito di educare le giovani generazioni abituate a seguire sogni fallaci, illusioni di successo, vite facili dove tutto si pretende sia a portata di mano.

In un passaggio dedicato alla coscienza, Bagnasco ha fatto notare come «lo stordimento attorno a un falso concetto di autonomia» sia «ciò che incrina la cultura odierna, quella secondo cui la persona si pensa tanto più felice quanto si sente prossima a fare ciò che vuole». I vescovi già nel 1981 denunciavano – come ricorda oggi il loro presidente – la desertificazione dei valori e l’infiacchimento delle coscienze attribuito al consumismo.

Di fronte allo sconcerto e al disagio morale che rende «sgomenti», bisogna non cedere al pessimismo e ripartire guardando a ciò che vale, a ciò che è vero, a ciò che costruisce, a ciò che perdona e redime, a ciò che di buono e di bello ancora – grazie a Dio – si ritrova nella nostra società che ha perso valori e riferimenti ma non si è ancora trasformata in un grande «bunga bunga».

Pensare che tutti i problemi del Paese abbiano un solo nome e un cognome, e magari risiedano ad Arcore, è una semplificazione buona per la campagna elettorale, non per chi guarda alla realtà delle cose con l’amore e la responsabilità di un padre e di un pastore.

Il cardinale non ha giustificato per nulla – ricorrendo ai ritriti slogan sul moralismo – i comportamenti immorali privati che assurgono ad esempio e modello pubblico. Ma non si è nascosto dietro a un dito, e da pastore ha annunciato la vita buona del Vangelo, chiamando tutti, nessuno escluso, alle proprie responsabilità.