Le Nozze di Cana secondo il Veronese, prodigio di bellezza
Paolo Calliari, detto il Veronese, realizzò il dipinto “Le Nozze di Cana” (oggi al Louvre) su commissione dei benedettini di Santa Giustina. Gesù è il centro della prospettiva e di tutta la composizione. Maria è accanto a Lui. E l’iconica fissità del Figlio è l’indizio che rivela l’origine del portentoso miracolo che si sta compiendo.
Paolo Calliari, detto il Veronese, Le Nozze di Cana, Parigi - Museo del Louvre
«Fate tutto quello che Egli vi dirà» (Gv 2, 5)
Alla bellezza, e alla conseguente fama, del refettorio del complesso monumentale di San Giorgio Maggiore a Venezia concorsero, negli anni Sessanta del XVI secolo, due celeberrimi artisti, Andrea Palladio e Paolo Calliari, meglio noto come “il Veronese”. La magnificenza dell’ambiente progettato dall’architetto, che intervenne, in realtà, su un edificio preesistente, fu ulteriormente evidenziata dal posizionamento della tela sulla grande parete di fondo, per la realizzazione della quale i monaci, nel contratto con l’artefice, esplicitarono precise indicazioni relative non solo al soggetto ma anche ai materiali da utilizzare. I più rari pigmenti - il lapislazzuli, il cinabro, l’orpimento… - furono profusi per dipingere un dipinto dalle dimensioni davvero imponenti (misura, infatti, quasi 70 metri quadrati), popolato da circa centotrenta figure.
Committente fu la ricchissima congregazione benedettina di Santa Giustina che accoglieva e ospitava, nel suo monastero isolano, dignitari di corte, nobili e principi, pellegrini di alto rango sociale che avrebbero saputo specchiarsi nella scena dipinta: la festa nuziale tramandata dal Vangelo di Giovanni fu trasportata dall’artista nel suo mondo contemporaneo ovvero nella società veneziana dell’epoca i cui fastosi banchetti, pubblici e privati, erano all’ordine del giorno. Lo spazio reale sembra, inoltre, fondersi con quello pittorico, prolungandolo il Veronese con una perfetta, quanto armoniosa, illusionistica profondità. Sembra, dunque, di trovarsi lì.
Il fatto è noto: Gesù, invitato alle nozze con alcuni dei Suoi discepoli e Sua Madre, sollecitato da quest’ultima trasforma l’acqua in vino, venuto inaspettatamente a mancare. Un pretesto, di per sé effimero, diventa, così, il primo segno pubblico della potenza divina di Cristo che si manifesta anche nel brulicante dipinto che appariva (e appare tuttora grazie a una copia in loco dell’originale trafugato in Francia) davanti allo sguardo di chiunque entrasse nel refettorio veneziano.
La visione è frontale: profili di edifici classici incorniciano, come quinte teatrali, una terrazza balaustrata sotto la quale è imbandita la tavola nuziale. Un arioso cielo azzurro sovrasta le architetture e i personaggi che, nei loro sontuosi abiti, descritti con precisione analitica, si muovono sincroni, come su un palcoscenico. Gesù è il centro della prospettiva e di tutta la composizione: è immobile, il viso inondato di luce, ed è proprio la sua iconica fissità l’indizio che rivela l’origine del portentoso miracolo che si sta compiendo sotto gli occhi degli astanti. Da Lui scaturisce quell’energia che si distribuisce tra le trame colorate della tela, per comporre le quali il pittore segue il testo evangelico.
Maria, seduta accanto al Figlio, allunga la mano su un bicchiere vuoto. Il servitore, alla destra del dipinto, versa vino nelle brocche dalle giare fino a poco prima ricolme d’acqua. Il coppiere scruta il contenuto del bicchiere, quasi a sincerarsi, o a compiacersi, della sua qualità. Sul lato opposto, un servo porge un calice allo sposo, mentre, tutt’intorno, i suoi ospiti sono indaffarati in chiacchiere e intrallazzi festosi. Il nostro sguardo si sofferma, curioso, su ognuno di loro ma, alla fine, è come calamitato dalla figura di Gesù, la cui presenza è la sola a dare significato a ogni momento della vita, peritura e caduca come ricorda la clessidra sul tavolo dei musici in primo piano.
Veronese, pur dando prova della sua magistrale creatività, non tralascia, infatti, il messaggio eucaristico: in perfetto asse con Gesù, nella parte superiore del dipinto, il trinciante da tinello sta squartando un agnello, anticipando il sacrificio di Cristo che darà la Sua vita per amore di tutti gli uomini.