Le nozze di Cana, il capolavoro di Veronese
Paolo Caliari, detto il Veronese, è noto tra l’altro per le sue decorazioni illusionistiche e i suoi ritratti. Ma la sua opera più famosa rimane Le nozze di Cana, una tela gigantesca - ricca di vicissitudini - dove rappresenta l’episodio del primo miracolo nella vita pubblica di Gesù.
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Abbiamo visto nelle scorse settimane i dipinti che raffigurano il battesimo di Gesù, nel suo trentesimo anno di vita. Un rito con il quale Giovanni Battista, che era profeta e di storica famiglia sacerdotale (Luca 1,5), presentò legalmente Gesù a tutto il popolo e lo consacrò, in forza dello Spirito Santo, come Messia Re (Luca 20,1-8; Atti 10,37-38; 13,24). Abbiamo poi assistito al ritiro di Cristo nel deserto, dove rimase per quaranta giorni e subì le tentazioni del demonio.
Poi tornò al fiume Giordano e il Battista lo indicò con queste parole: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1, 29). Da quel momento Gesù cominciò a radunare intorno a sé i primi discepoli: Giovanni di Zebedeo, Andrea e Simon Pietro, Filippo e Natanaèle (cfr. Gv 1, 35-51). Era verosimilmente il mese di marzo dell’anno 29. In quell’anno Gesù si recò in pellegrinaggio a Gerusalemme per la festa. Per la prima volta scacciò i mercanti del Tempio. Il Battista disse di lui: “Chi ne accetta la testimonianza [di Gesù], certifica che Dio è veritiero”. (Gv 3,33).
Sempre quell’anno, verso aprile, fu invitato a un banchetto di nozze a Cana di Galilea, insieme con i discepoli e sua madre, Maria. Durante la festa compì il primo miracolo della sua vita pubblica: cambiò l’acqua in vino. Uno dei dipinti più belli che racconta questo episodio è il grande quadro di Paolo Veronese, esposto al Louvre.
Paolo Caliari, detto il Veronese, nacque nel 1528 a Verona e morì il 19 aprile 1588 a Venezia. Nonostante godesse di una grande popolarità durante la sua vita, soprattutto a Venezia, fu ignorato dalla critica del suo tempo: solo Francesco Sansovino ne parlava nella sua “Guida” del 1556. Veronese costituì però con Tiziano e Tintoretto il triumvirato dei pittori veneziani del tardo Rinascimento.
Veronese è noto come grande colorista oltre che per le sue decorazioni illusionistiche (trompe-l'œil) ad affresco e olio. Le sue opere più note sono raffinati cicli narrativi, eseguiti in uno stile drammatico e colorato, con arrangiamenti maestosi e scintillanti. ll suo vero cognome rimane sconosciuto: il pittore si firmò Paolo Spezapedra (soprannome paterno), Paolo di Gabriele, Paolo da Verona o Paolo Caliaro. La tradizione della storia dell’arte parla di Paolo Caliari. Alla fine sarebbe stato conosciuto come “Veronese” per via della sua città natale.
Nacque da un padre architetto e tagliatore di pietre, settimo di dieci figli. Le prime esperienze artistiche le fece nel laboratorio del padre, dove imparò a modellare le materie in rilievo e dimostrò grande talento per i dettagli. Più tardi entrò come apprendista presso Antonio Badile, uno dei componenti della cosiddetta “scuola veronese”, dove affinò la prospettiva e l’architettura, ma si familiarizzò anche con la vivacità e il colore nella composizione delle figure pittoriche. Prima ancora di compiere vent’anni era famoso a Verona per la decorazione di alcune case e per la realizzazione di diverse pale d’altare per le chiese locali.
Nel 1552 si stabilì a Venezia e la sua fama crebbe. Grazie al sostegno di Tiziano e di Sansovino, ottenne insieme ad altri sei pittori (fra i quali Tintoretto) l’incarico di decorare la Biblioteca Marciana. Divenne l’artista preferito dai nobili e dagli ecclesiastici.
Nella regione di Verona intraprese la decorazione della Villa Barbaro (foto) di proprietà di Daniele Barbaro e di suo fratello Marcantonio. Avevano ingaggiato nel 1556 il famoso architetto Andrea Palladio per la costruzione della loro villa e poi affidato la decorazione pittorica al Veronese che Daniele Barbaro aveva conosciuto intorno al 1553, quando stava eseguendo le sue composizioni per l’Aula delle Udienze a Palazzo Ducale. Veronese realizzò in questa villa affreschi che segnano l’apice della sua arte, tra i quali bisogna citare l’Armonia Universale, o Amore Divino circondato dagli dei olimpici, Venere e Vulcano con Proserpina o anche Bacco e le ninfe. Decine di stanze sono decorate con affreschi del Veronese e ovunque lo spazio architettonico è sfidato attraverso l'uso di illusioni pittoriche (trompe-l'oeil).
In questo stesso periodo, tra il 1562 e il 1563, Veronese dipinse la più famosa delle sue opere, Le nozze di Cana, che gli era stata commissionata per il refettorio del monastero benedettino situato all’Isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia. Come in altri dipinti del Veronese raffiguranti un banchetto, la scena rispecchia le feste che erano comuni nella vita veneziana dell’epoca.
Le nozze di Cana è un dipinto che fa parte delle opere d’arte attribuite alla Francia con il Trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797 come contributi bellici a seguito della prima Campagna d’Italia. Il 31 luglio 1798, Le nozze di Cana entrò al Muséum Central des Arts, l’attuale Museo del Louvre. È esposto al primo piano, nell’attuale Salon Carré. Si tratta di un’opera d’arte straordinaria: una tela che misura 67 metri quadrati e raffigura 130 personaggi, molti dei quali, come Pietro l’Aretino (1492-1556), contemporanei dell’artista.
Lo straordinario quadro ha avuto molte vicissitudini. Nel 1815 l’Austria, potenza occupante l’Italia, chiese il ritorno a Venezia delle Nozze di Cana. Dominique-Vivant Denon (1747-1825), diplomatico francese (nonché incisore e scrittore), riuscì a convincere il curatore austriaco che la fragilità e le dimensioni della tela ne avrebbero reso molto difficile il trasporto. L'Austria ricevette in cambio del dipinto del Veronese La Madeleine chez le Pharisée di Charles Le Brun “per aggiungerlo alla collezione esistente nel refettorio del convento benedettino di San Giorgio Maggiore”.
Nel 1870, il dipinto fu messo in sicurezza all’Arsenale di Brest. Tornò al Louvre l’anno successivo. Nel 1939 si decise di evacuare parte delle collezioni. Una cassa contenente Le nozze di Cana fu caricata su un rimorchio noleggiato dalla Comédie-Française diretto a Chambord, poi a Louvigny e all’abbazia di Loc-Dieu. Nel novembre 1942 il dipinto tornò al Louvre. Nel 1947 la commissione di restauro giudicò il dipinto in buone condizioni, nonostante ”lo scrostamento del colore lungo il bordo della colonna sinistra (…) per il crollo del cilindro su cui era arrotolato il dipinto”.
Dal 1990 al 1992 il dipinto ha subito un restauro molto pubblicizzato. Si tratta di un restauro su ponteggio, in situ e rivolto al pubblico. La vasta superficie della tela ha richiesto la costituzione di un team di sei restauratori, dai princìpi, metodi e mezzi messi in opera rigorosamente identici e che hanno raggiunto, attraverso la loro grande esperienza e talento, un risultato unico dove nessuna traccia delle sei mani era percettibile. Al termine del restauro, il 3 giugno 1992, durante la manipolazione, l’opera si è strappata in più punti nelle parti secondarie della composizione.
Il restauro del supporto fu subito intrapreso da Yves Lepavec, ma fu un altro incidente che fece discutere: si scoprì che il mantello di uno dei personaggi non era sempre dello stesso colore. Sorse la domanda se il colore fino ad allora noto al pubblico fosse quello originale o una riverniciatura (un restauro selvaggio di un secolo precedente). Al termine del restauro, l’avvocato Arno Klarsfeld e la modella Carla Bruni fecero campagna per la restituzione del dipinto al refettorio benedettino di San Giorgio Maggiore a Venezia. Ma la loro lotta non ebbe successo. Tuttavia una copia fedele è esposta nella sua collocazione originaria nel refettorio di San Giorgio Maggiore.
Veronese è un precursore dello stile barocco e la sua arte è associata spesso al manierismo. Usa colori accesi, raffigura scene molto dettagliate, personaggi nettamente svincolati dallo sfondo, con forti contrasti, architetture teatrali. La sua tavolozza chiara, le sue ombre colorate, il suo universo poetico, la grazia sensuale dei suoi personaggi e il suo senso dell’arredamento lo rendono un maestro della pittura del XVI secolo. I suoi murales più famosi restano quelli che decorano Villa Barbaro, a Maser. È anche famoso per le sue serie di ritratti con volti incredibilmente naturali (era particolarmente interessato ai volti).
Alla sua morte nel 1588, Veronese non lasciò una scuola, ma il suo lavoro influenzerà tutta la pittura successiva e molti artisti come Velásquez o Rubens, poi, nel XIX secolo, Delacroix e Cézanne.
Ma Veronese è importante anche per un altro motivo: ha partecipato alla Battaglia di Lepanto, il 7 ottobre 1571. Ha anche immortalato ciò che ha visto in un dipinto intitolato “Allegoria della battaglia di Lepanto”, realizzato nel 1573, che è esposto nella Galleria dell’Accademia di Venezia. Ha partecipato a quella battaglia, con la Lega cristiana (Lega santa) voluta da san Pio V, insieme ad altri 60.000 combattenti provenienti da diversi Paesi europei, guidati da Giovanni d’Austria. Ha vinto insieme a loro, dando nuova linfa al cuore dei cristiani. Ha festeggiato con loro quella vittoria. Una vittoria della fede.