Le lobby gay chiamano, il Parlamento Ue approva
Le lobby chiamano, il Parlamento europeo risponde. Via libera al Rapporto annuale dell’Ue sui diritti umani che mette nero su bianco gli interessi di gruppi Lgbt, femministi e abortisti, che condizionano le politiche degli Stati grazie a un sistema di potere sempre più tentacolare.
Le lobby chiamano, il Parlamento europeo risponde. È questa l’impressione che si ricava leggendo il Rapporto annuale dell’Ue sui diritti umani, pubblicato il 14 dicembre, che assieme ad alcuni principi condivisibili mette nero su bianco gli interessi di gruppi appartenenti alla galassia Lgbt, femminista e abortista, i quali da tempo condizionano le politiche degli Stati grazie a un sistema di potere sempre più tentacolare e alimentato con crescenti contributi pubblici. L’impressione, del resto, è confermata dalla stessa Ilga (International lesbian and gay association), che sul suo sito rivela come il rapporto “inizialmente non faceva alcun riferimento ai diritti delle persone Lgbti”, ringraziando il gruppo parlamentare dei Verdi-Alleanza Libera Europea per aver sostenuto tre emendamenti favorevoli alla causa arcobaleno.
In realtà, oltre alle modifiche in corso d’opera che fanno esultare l’Ilga per la riuscita attività di lobbying, tutto il testo è disseminato di passaggi volti a privilegiare il mondo Lgbt, in primis riferendosi continuamente a due concetti inconsistenti quali l’identità di genere e l’orientamento sessuale. In un passaggio chiave del rapporto si chiede alla Commissione e al Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) di implementare le linee guida sugli Lgbt del 2013, che stabiliscono tra le altre cose di “promuovere la diffusione dei diritti Lgbti nel lavoro di altre organizzazioni per i diritti umani quando una delegazione Ue vi entra in contatto o ne finanzia un progetto”. Già di per sé, questo è un primo elemento utile a capire perché qualsiasi rivendicazione dell’associazionismo gay venga oggi spacciata per diritto umano e perché tante organizzazioni non governative, create con finalità ben diverse dalla promozione del matrimonio e dell’adozione per tutti, facciano oggi a gara per diffondere la cultura Lgbt con i progetti più svariati.
Poiché il Seae risponde all’alto rappresentante per gli affari esteri, un ruolo cruciale nel favorire l’applicazione delle politiche gay-friendly lo avrà ancor di più Federica Mogherini, che l’Ilga ha infatti prontamente esortato all’azione. Tra l’altro, non è un mistero che la Mogherini sostenga l’agenda Lgbt, appoggiata anche dallo speciale rappresentante per i diritti umani, Stavros Lambrinidis, che dal suo insediamento nel 2012 sulla nuova poltrona dell’Ue ha fatto collezione di incontri e convegni con associazioni arcobaleno. Non solo il nuovo rapporto chiede di ampliare i poteri dello speciale rappresentante, ma sottolinea pure l’importanza strategica del lancio di “campagne di consapevolezza, finanziate anche attraverso l’Eidhr, sulla discriminazione e violenza diretta contro le persone Lgbt”.
A parte il fatto che veniamo già quotidianamente bombardati con campagne anti-discriminazione che poco hanno a che fare con il rispetto della persona e molto con l’ideologia, è interessante notare come tra i molteplici canali di finanziamento del gender vi sia appunto l’Eidhr (European instrument for democracy and human rights), un programma ideato per esportare nei Paesi extracomunitari la democrazia e i diritti umani, tra cui appunto si fanno rientrare anche quelli di stampo omosessualista. Il budget dell’Eidhr nel periodo 2014-2020 ammonta a oltre 1,3 miliardi di euro, una somma enorme destinata principalmente a finanziare i progetti delle varie organizzazioni coinvolte. Va inteso che nel caso delle associazioni Lgbt non si limita il campo di azione alla richiesta di depenalizzare gli atti omosessuali, ma si cerca di ottenere quanto già ottenuto in Occidente con le diverse leggi contrarie alla famiglia e che mirano a normalizzare l’omosessualità.
Dal rapporto votato a Strasburgo emerge inoltre la promozione dell’aborto, beffardamente sotto la voce “Diritti delle donne e dei bambini”, dove prima si mente sulle previsioni del Diritto umanitario internazionale (che mai prevede l’aborto) e poi si afferma che “la pianificazione familiare, la salute materna, il facile accesso alla contraccezione e all’aborto sicuro e la piena gamma di servizi di salute sessuale e riproduttiva sono elementi importanti nel salvare le vite delle donne, così come nel ridurre la mortalità infantile e materna”. Affermazioni doppiamente false, primo perché ci sono Paesi come l’Irlanda e la Polonia che hanno indici di mortalità materna tra i più bassi al mondo accanto a leggi tra le più restrittive in materia di aborto; e poi perché si rilancia la solita aberrante idea dell’abortismo, secondo cui per “salvare” i bambini bisognerebbe evitarne la nascita.
Un’ultima nota ci sembra meritevole di attenzione. Nel rapporto, il Parlamento europeo incoraggia l’Ue a seguire strettamente l’Universal Periodic Review, la procedura dell’Onu per uniformare le legislazioni nazionali sui diritti umani. È la conferma che gli organismi sovranazionali vogliono sottrarre agli Stati la competenza sui diritti umani, sempre meno fondati su criteri di verità, per assecondare quella logica mondialista che si è guadagnata il nome di pensiero unico.