Le lettere di Caterina, la "psicologa" di Dio
Le epistole di Santa Caterina da Siena rappresentano uno dei più importanti documenti della storia della Chiesa del Medioevo. I destinatari sono pontefici, re, semplici religiosi o uomini di potere. Ma come “minimo comun denominatore” hanno Dio e il come poterLo servire in giustizia e sapienza. Il lettore di oggi non può non rimanere esterrefatto davanti a una così vasta profondità psicologica, mistica e spirituale.
Scriveva la poetessa statunitense Emily Dickinson: “Una lettera mi è sempre parsa come l'immortalità”. E, certamente, rimarranno immortali Santa Caterina e le sue lettere, più di trecento. Il corpo epistolare della santa domenicana è - infatti - un vero scrigno di pietre preziose, una “cartina topografica” di sentimenti, di ammonimenti e di accorati appelli. Su queste epistole, diversi i libri scritti, diversi i dibattiti intellettuali e religiosi. In sintesi, non è sbagliato - certamente - affermare che le pagine vergate da Santa Caterina da Siena rappresentano uno dei più importanti documenti della storia della Chiesa del Medioevo. I destinatari? Scorrere i loro nomi ci fa comprendere la portata dell’epistolario cateriniano: pontefici e regnanti; semplici religiosi o grandi presbiteri; uomini aristocratici o di potere; e, in tutto questo elenco, vi è - senza dubbio - un “minimo comun denominatore”: Dio. Di come poterLo servire in giustizia e sapienza. Ogni punteggiatura, ogni carattere impresso in queste pagine trasuda della presenza di Cristo: Lui a dettare, Santa Caterina a trascrivere.
Santa Caterina riesce a comporre la ricchezza di queste mille e mille pagine grazie anche all’aiuto dei membri della cosiddetta “Bella brigata”: così era chiamato il gruppo di persone pronte ad aiutarla in ogni sua attività caritativa, il nucleo più importante di collaboratori della santa senese.
Parole e sentimenti, sue chiare riflessioni in merito ai più disparati temi: dalla vita religiosa alla vita sociale dell’epoca; dai problemi morali a quelli politici che interessavano tutta la Chiesa, l'impero, i regni e gli Stati dell'Europa trecentesca. E a tanti svariati temi corrispondono molteplici chiavi di lettura. Fra queste chiavi, merita particolare attenzione quella che apre a diverse riflessioni sul carattere letterario dell’opera. Il linguista Giacomo Devoto sottolinea nel suo Studio su Caterina da Siena (pubblicato nel 1941 dalla rivista Letteratura) le variazioni nello stile presenti nell’epistolario: queste si manifestano soprattutto nel differenziarsi del periodare o del ritmo della scrittura in rapporto alla necessità di esortare, spiegare o affermare. Le lettere, infatti, potrebbero essere anche considerate un vero e proprio vademecum del perfetto predicatore.
Le lettere - solitamente - seguono uno schema ben preciso: al “desiderio” della santa, espresso nella formula fissa dell’incipit della lettera, segue una parte di esposizione e di meditazione morale o spirituale. Di seguito, veniamo catapultati in una narrazione di “fatti”, di eventi storici connessi alla precedente esposizione. In questo schema libero e - al contempo - rigoroso, è alquanto significativo che l’esortazione non venga mai omessa. È da sottolineare, infatti, che i verbi “voglio” e “prego” sono i verbi più ripetuti all’interno delle lettere. Un esempio? La lettera a Papa Gregorio XI: “Voglio che siate uno albore d’amore, inestato nel verbo amore, Cristo crucifisso (...) Pregovi per l’amore di Cristo crocifisso, che, più tosto che potete, n’andiate al luogo vostro de’ gloriosi Petro e Pavolo. E sempre dalla parte vostra cercate d’andare sicuramente; e Dio dalla parte sua vi provedarà di tutte quelle cose che saranno necessarie a voi e al bene della sposa vostra”.
Sorprendono, coinvolgono e catturano le lettere della santa: il lettore di oggi non può non rimanere esterrefatto davanti a una così vasta profondità psicologica. Eppure gli studi di psicologia erano ben lontani dal Trecento europeo vissuto dalla santa. Ad esempio, nella Lettera a tre donne di Firenze troviamo scritto:
“Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù, perché la divina bontà v'ha tratto dal loto del mondo, non vogliate vollere il capo addietro e mirare l'arato: ma sempre mirate quello che vi bisogna di fare per conservare in voi il santo principio, e proponimento che avete fatto. Quale è quella cosa che ci conviene vedere e fare per conservare la buona volontà? Che sempre siate nella cella del cognoscimento di voi; e cognoscendo, voi non essere e l'essere vostro avere da Dio; e di cognoscere li difetti vostri, e la brevità del tempo”.
Caterina chiede alle tre donne di entrare in quella che definisce cella del cognoscimento; di indagare il proprio animo cercando di penetrare nei propri difetti. È, dunque, un’azione di introspezione quella che desidera la santa. Ma la seconda parte diventa ancor più interessante. “E cognoscendo, voi non essere e l'essere vostro avere da Dio”: in questa conoscenza del proprio essere, mettere da parte il proprio “io” per fare spazio a Dio.
Ma Caterina si rivela anche e soprattutto guida spirituale. Esorta i religiosi a guidare le vite spirituali degli uomini in maniera tale che le loro azioni possano modificare la storia. Chiede alla Chiesa di compiere il suo cammino sì verso Dio, ma anche nella storia in cui la protagonista indiscussa deve essere la verità: una “verità in funzione della carità e la dignità dell’uomo perfetta nella carità”. Così sintetizza la storica Giuliana Cavallini (1908-2004), illuminata e illuminante studiosa dell’opera della santa.
Quella di Caterina è una "scrittura mistica" che non prescinde mai, anche nel linguaggio, dal contesto umano. Caterina “con la mente parlava con il Signore, e con la lingua del corpo parlava con gli uomini”. Sono parole queste di chi conosceva bene Santa Caterina da Siena: il frate domenicano Raimondo da Capua (1330 circa-1399), confessore e primo biografo della santa.